Gli americani, si sa, adorano le teorie del complotto. A cinquantasette anni dall’assassino del presidente John Kennedy, avvenuto il 13 novembre del 1963 a Dallas, più della metà degli americani adulti è ancora convinta che Kennedy non venne ucciso dal killer solitario Lee Harvey Oswald, ma fu vittima di una complessa cospirazione organizzata dalla CIA in combutta con Cosa Nostra e con ambienti del complesso militare industriale statunitense. Una percentuale più bassa, ma comunque significativa, ritiene invece che il giovane presidente cadde vittima di sicari cubani inviati da Fidel Castro. Solo una minoranza giudica attendibili le conclusioni dell’inchiesta della Commissione Warren istituita per volere del presidente Lyndon B. Johnson per far luce sugli eventi.
Non ci si deve quindi stupire se molti americani pensano oggi che gli attentati dell’11 settembre 2001 non siano stati organizzati “solo” da Osama Bin Laden, ma siano frutto di una più ampia cospirazione che vede coinvolti ambienti vicini alla Casa regnante saudita. Questa volta, però, la teoria non si basa sulle rivelazioni di testimoni più o meno attendibili o di mitomani in cerca di popolarità , ma su quanto scritto nel 2016 dai membri delle Commissioni Intelligence della Camera e del Senato degli Stati Uniti in un rapporto intitolato Inchiesta congiunta sulle attività dei Servizi di Intelligence prima e dopo gli attacchi terroristici del settembre 2001. Si tratta di un’inchiesta avviata all’indomani degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono e conclusa nel dicembre del 2002.
Delle migliaia di pagine del rapporto, che pongono in drammatica evidenza l’incapacità dimostrata dalla comunità d’intelligence americana di mettere insieme e analizzare informazioni che, se adeguatamente condivise tra CIA ed FBI, avrebbero contribuito a sventare gli attentati, quattro anni fa solo 28 hanno attirato l’attenzione dei media e del pubblico: 28 pagine (ma in realtà sono 29) che sono state protette dal segreto di stato per 15 anni e che soltanto dopo proteste e pressioni politiche e mediatiche (è stato addirittura aperto un sito, www.28pages.org), sono state finalmente desecretate dall’amministrazione Obama il 15 luglio del 2016.
Cosa dice l’inchiesta
Cosa contengono queste 28 pagine di tanto delicato se due presidenti, uno repubblicano, George W. Bush, e uno democratico, Barack Obama, le hanno coperte col segreto per tanti anni? Ebbene, contengono informazioni tratte da documenti della CIA e dell’FBI e da testimonianze di funzionari di ambedue questi organismi ascoltati dalla Commissione bicamerale, che è eufemistico definire imbarazzanti sia per il governo dell’Arabia Saudita che per le Amministrazioni USA che hanno preceduto quella guidata dall’attuale presidente Donald Trump: il primo emerge come possibile complice degli attentatori dell’11 settembre, le seconde come le responsabili di un “cover up”, dunque di un silenzio ufficiale spiegabile soltanto con la volontà di salvaguardare l’alleanza e i legami economici che uniscono Washington e Riad da oltre mezzo secolo. Scrivono infatti i membri della Commissione nella loro relazione: «Mentre si trovavano negli Stati Uniti alcuni dei dirottatori dell’11 settembre ricevettero supporto e assistenza da personaggi che possono ritenersi collegati al governo saudita. Ci sono informazioni da fonti dell’FBI secondo le quali almeno due di questi personaggi erano funzionari dell’intelligence saudita».
Il profilo dei complici dei dirottatori
I due personaggi principali di cui si parla nelle 28 pagine rimaste segrete per un quindicennio sono Omar Bayoumi e Omar Bassnan, entrambi cittadini sauditi ed entrambi fuggiti dagli Stati Uniti poche settimane dopo gli attentati di New York e di Washington. Secondo l’FBI, Omar Bayoumi era “chiaramente un funzionario dell’intelligence saudita” con uno stipendio pagato sia da compagnie di stato saudite che direttamente dalla moglie dell’ambasciatore saudita a Washington, il principe Bandar, con assegni tratti dal suo conto corrente personale per somme che sono decisamente aumentate quando il commando di 19 terroristi di Al Qaeda che avrebbero poi compiuto gli attentati (15 dei quali di cittadinanza saudita) è arrivato negli Stati Uniti. È stato Bayoumi che ha accolto al loro arrivo a San Diego nel febbraio del 2000 due dei dirottatori, Nawaf Al Hazmi e Khalid Al Midhar, trovando loro un appartamento in affitto e firmando col suo nome come garante il relativo contratto. Ma, soprattutto, è stato lui ad avergli «fornito informazioni sulle scuole di volo».
Omar Bassnan, che secondo il rapporto «aveva molti legami con il governo saudita», lavorava in stretto collegamento con Bayoumi e viveva durante il soggiorno a San Diego dei due terroristi sauditi in un appartamento vicinissimo al loro. In un colloquio con un informatore dell’FBI si è addirittura vantato di aver fatto «più di Bayoumi a sostegno dei due dirottatori».
Anche Bassnan riceveva fondi dall’ambasciatore saudita e dalla moglie. Durante una perquisizione del suo appartamento l’FBI ha trovato tracce documentali di rimesse per 74.000 dollari provenienti dai conti della famiglia del principe ambasciatore. Sul conto della moglie di Bandar è stato trovato un ordine di bonifico permanente a favore di Bassnan per «servizi di assistenza» non meglio specificati (la famiglia Bandar viveva a Washington, a 5.000 chilometri da San Diego).
Le 28 pagine contengono molte altre dettagliate notizie su altri personaggi legati al governo saudita e con provati legami con Al Qaeda sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo. Uno dei capi di Al Qaeda, Abu Zubaydah, arrestato in Pakistan nel marzo del 2002, aveva indosso al momento della cattura una rubrica telefonica che conteneva, tra l’altro, il numero riservato del telefono della casa di Aspen, in Colorado, del principe Bandar (il quale, è bene ricordarlo, si vantava di pranzare almeno una volta alla settimana con il presidente Bush e col vice presidente Dick Cheney) e quello del capo delle sue guardie del corpo.
Le accuse del senatore repubblicano Bob Graham
Secondo l’ex senatore repubblicano Bob Graham – già membro del Comitato Intelligence del Senato e co-presidente della Commissione bicamerale che ha indagato sugli attentati e redatto il rapporto del 2016 – intervistato dalla CNN due anni fa alla vigilia del quindicesimo anniversario dell’attacco alle Torri gemelle ha dichiarato che «le informazioni contenute nelle 28 pagine rafforzano la tesi secondo cui i 19 dirottatori – molti dei quali neanche parlavano inglese né erano mai stati prima negli Stati Uniti – non hanno agito da soli nel predisporre il sofisticato complotto dell’11 settembre». Per quanto attiene al comportamento delle istituzioni americane, il senatore ha aggiunto: «Io non uso più la parola “cover up”, insabbiamento, per descrivere quello che è successo. Trovo più accurata la definizione di «frode aggressiva» («aggressive deception» ). Il governo federale ha tentato di riscrivere il racconto dell’11 settembre per negare il ruolo dei sauditi in questa orribile storia».
Conclusioni
Sono parole molto dure che due anni fa hanno in parte guastato negli Stati Uniti il clima politicamente corretto delle celebrazioni del quindicesimo anniversario degli attentati, ma che nel frattempo non hanno comunque guastato le eccellenti relazioni che legano Washington a Riad, rafforzatesi con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Forse le 28 pagine non contengono la prova definitiva, l’impronta digitale del pollice saudita che dimostrerebbe il coinvolgimento diretto e consapevole del governo del Regno arabo in quello che è stato un atto di guerra contro l’America.
È certo, però, che si tratta di informazioni di gran lunga più attendibili e definitive di quelle fornite a suo tempo da un disertore iracheno, nome in codice “Curve Ball”, che servirono per giustificare, di fronte al mondo e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la seconda guerra in Iraq del 2003 e che erano, per tardiva ammissione della stessa fonte, «completamente inventate». Lo stesso disertore, intervistato dalla BBC nel programma La Grande Menzogna.
Nel maggio del 2016 il Senato americano ha approvato una legge intitolata “Giustizia contro gli sponsor del terrorismo” (JASTA, Justice Against Sponsor of Terrorism) e il 9 settembre successivo anche la Camera dei rappresentanti ha dato il proprio voto favorevole. La nuova legge potrebbe consentire alle famiglie delle vittime dell’11 settembre di chiedere, sulla base delle 28 pagine del rapporto, risarcimenti miliardari al Regno saudita. Scenario improbabile, almeno per ora. Obama alla fine del suo secondo mandato ha opposto il proprio veto al varo della legge. Con Trump alla Casa Bianca la legge si è poi arenata al Senato.
Alfredo Mantici
Ex capo del Dipartimento Analisi del Sisde, Direttore Analisi dI Babilon magazine e detective nel noto reality "Celebrity Hunted"
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