Armenia
Asia Centrale
Aggiornata al Maggio 2017 - Diviso tra l’Impero Russo e l’Impero Ottomano, tra il 1915 e il 1918 il popolo armeno conosce la prima vera deportazione ed eliminazione sistematica della storia contemporanea, perpetrata dagli Ottomani. Ancora oggi in Turchia è vietato riconoscere tale massacro come genocidio e non è un caso se la Comunità Europea ha posto il riconoscimento della responsabilità di tale carneficina da parte turca come condizione per il suo ingresso nell’UE. A seguito della Rivoluzione d’Ottobre, nel 1918 l’Armenia è temporaneamente indipendente dalla Russia e, insieme alla Georgia e all’Azerbaijan, forma la Repubblica Transcaucasica, poi trasformata in Repubblica Socialista Sovietica Federativa nel 1922. La vera indipendenza arriva con la fine dell’URSS nel 1991. Il primo Presidente della nuova Repubblica è Levon Ter-Petrosian. Sotto il suo governo, il Paese affronta il sanguinoso conflitto nel Nagorno Karabakh (30 mila morti), l’area contesa tra Armenia e Azerbaijan che nel 1994, raggiunta una tregua diventa un’enclave armena in territorio azero. I rapporti tra i due Paesi restano estremamente delicati e i confini sono tuttora presidiati dalle truppe armene. Nel 1998 il Paese conosce miglioramenti economici e sociali grazie al governo del nuovo Presidente Ṙobert K’očaryan, che resterà in carica per dieci anni. A sostituirlo, nel 2008, è Serž Azati Sargsyan, in passato Ministro della Difesa, Primo Ministro nel 2007 e leader del partito repubblicano che ha conquistato la maggioranza alle legislative del 2012. Alle presidenziali del febbraio 2013 Sargsyan viene confermato al suo secondo mandato, con oltre il 58%, dei voti ed è il Presidente attualmente in carica. Sargysian si è più volte impegnato nel corso del suo mandato presidenziale a trovare una risoluzione pacifica del conflitto in Nagorno Karabakh, intrattenendo numerosi negoziati con le autorità azere. Nonostante una tregua concordata tra i due schieramenti, nell’aprile 2016 i due eserciti hanno ripreso le ostilità. Gli scontri a fuoco hanno provocato decine di morti e feriti in entrambi gli schieramenti, riaprendo una questione territoriale che non riguarda solo una mera disputa sui confini: importanti interessi economici dipendono dalla stabilità di questa regione che sia Russia e Turchia si contendono.
Nei primi anni Novanta, il conflitto nel Nagorno Karabakh con l’Azerbaijan ha influito negativamente sul sistema produttivo del Paese, causando l’interruzione del flusso commerciale est-ovest (il cui asse principale, che attraversava tutto il Paese, era percorso dalla ferrovia T’bilisi-Baku), il ridimensionamento di tutte le attività economiche (con cali nell’ordine del 10% annuo), la chiusura di molti stabilimenti industriali e un’emigrazione continua, in particolare verso la Russia. Per risollevarsi, il governo ha avviato la privatizzazione di circa il 90% della superficie agricola e adottato un sistema fiscale più efficace, regolamentato e al passo coi tempi. Il settore industriale, supportato dall’afflusso di capitali stranieri, è oggi attivo nei comparti chimico, tessile, meccanico e dei materiali edili, con una preminenza accordata all’agroalimentare. Gli scambi internazionali si svolgono principalmente con Russia, Germania, Ucraina e Usa. Tra le materie prime, sono presenti giacimenti di oro, argento, ferro, rame, carbone, molibdeno e gas naturale. Tra il 2001 e il 2006, il PIL pro capite è triplicato, grazie anche alla crescita del settore terziario. In seguito alla contrazione dell’economia russa, il tasso di crescita si è ridimensionato assestandosi a un 2,3% nel 2015. Il paese, considerato uno dei più densamente popolati dell’Asia centrale, ha registrato una decrescita demografica importante negli ultimi decenni per via dell’emigrazione. Il trend sembra essersi sensibilmente alzato negli ultimi anni, grazie anche ad un miglioramento dell’economia, che ha favorito il ritorno in patria di molti armeni. Strade devastate e l’assenza di una rete ferroviaria dimostrano come allo sviluppo economico non sia seguito uno sviluppo adeguato delle infrastrutture.
La situazione sociale in Armenia, tornata alla normalità dopo gli scontri seguiti alle presidenziali del 2008, sembra nuovamente destabilizzata dal ritorno alle urne nel 2013. Le ultime elezioni sono state infatti segnate da controversie, accuse di brogli e un attentato al candidato Hayrikyan. Tensioni politiche a parte, la capitale Yerevan è considerata una città sicura con un tasso di delinquenza particolarmente basso, caratteristica tipica anche delle altre maggiori città armene. Ai confine con l’area del Nagorno Karabakh, si è registrato un aumento della tensione per la fine del cessate il fuoco tra l’esercito armeno e le milizie azere dove si verificano saltuariamente scontri armati. I confini con l’Azerbaijan sono chiusi, mentre i rapporti con la Turchia, con cui l’Armenia ha ripreso i contatti solo a partire dal 2009, rimangono delicati. Campi minati sono segnalati lungo tutta l’area di confine con entrambi i Paesi. Si registrano non di rado scontri a fuoco tra bande appartenenti alla grande criminalità organizzata, impegnata prevalentemente nel traffico di stupefacenti. Il rischio che il Paese divenga obiettivo di attacchi terroristici non è elevato. L’Armenia è invece un Paese ad alto rischio sismico poiché nel suo sottosuolo si intersecano varie linee di faglia; l’ultimo grave terremoto del 1988 ha causato 55mila vittime, nel nord del Paese. A Metsamor (circa 30 chilometri dalla Capitale) esiste una centrale nucleare costruita nel 1976. Non avendo la centrale un guscio protettivo di contenimento, in caso di terremoto le conseguenze potrebbero essere disastrose.
Capitale: Yerevan
Ordinamento: Rep. semipresidenziale
Superficie: 29.743 km²
Popolazione: 2.970.495
Religioni: cristiana ortodossa (95%)
Lingue: armeno (ufficiale), russo
Moneta: dram armeno (AMD)
PIL: 5.600 USD
Livello di criticità: Medio
Aggiornata al Maggio 2017 - Diviso tra l’Impero Russo e l’Impero Ottomano, tra il 1915 e il 1918 il popolo armeno conosce la prima vera deportazione ed eliminazione sistematica della storia contemporanea, perpetrata dagli Ottomani. Ancora oggi in Turchia è vietato riconoscere tale massacro come genocidio e non è un caso se la Comunità Europea ha posto il riconoscimento della responsabilità di tale carneficina da parte turca come condizione per il suo ingresso nell’UE. A seguito della Rivoluzione d’Ottobre, nel 1918 l’Armenia è temporaneamente indipendente dalla Russia e, insieme alla Georgia e all’Azerbaijan, forma la Repubblica Transcaucasica, poi trasformata in Repubblica Socialista Sovietica Federativa nel 1922. La vera indipendenza arriva con la fine dell’URSS nel 1991. Il primo Presidente della nuova Repubblica è Levon Ter-Petrosian. Sotto il suo governo, il Paese affronta il sanguinoso conflitto nel Nagorno Karabakh (30 mila morti), l’area contesa tra Armenia e Azerbaijan che nel 1994, raggiunta una tregua diventa un’enclave armena in territorio azero. I rapporti tra i due Paesi restano estremamente delicati e i confini sono tuttora presidiati dalle truppe armene. Nel 1998 il Paese conosce miglioramenti economici e sociali grazie al governo del nuovo Presidente Ṙobert K’očaryan, che resterà in carica per dieci anni. A sostituirlo, nel 2008, è Serž Azati Sargsyan, in passato Ministro della Difesa, Primo Ministro nel 2007 e leader del partito repubblicano che ha conquistato la maggioranza alle legislative del 2012. Alle presidenziali del febbraio 2013 Sargsyan viene confermato al suo secondo mandato, con oltre il 58%, dei voti ed è il Presidente attualmente in carica. Sargysian si è più volte impegnato nel corso del suo mandato presidenziale a trovare una risoluzione pacifica del conflitto in Nagorno Karabakh, intrattenendo numerosi negoziati con le autorità azere. Nonostante una tregua concordata tra i due schieramenti, nell’aprile 2016 i due eserciti hanno ripreso le ostilità. Gli scontri a fuoco hanno provocato decine di morti e feriti in entrambi gli schieramenti, riaprendo una questione territoriale che non riguarda solo una mera disputa sui confini: importanti interessi economici dipendono dalla stabilità di questa regione che sia Russia e Turchia si contendono.
Nei primi anni Novanta, il conflitto nel Nagorno Karabakh con l’Azerbaijan ha influito negativamente sul sistema produttivo del Paese, causando l’interruzione del flusso commerciale est-ovest (il cui asse principale, che attraversava tutto il Paese, era percorso dalla ferrovia T’bilisi-Baku), il ridimensionamento di tutte le attività economiche (con cali nell’ordine del 10% annuo), la chiusura di molti stabilimenti industriali e un’emigrazione continua, in particolare verso la Russia. Per risollevarsi, il governo ha avviato la privatizzazione di circa il 90% della superficie agricola e adottato un sistema fiscale più efficace, regolamentato e al passo coi tempi. Il settore industriale, supportato dall’afflusso di capitali stranieri, è oggi attivo nei comparti chimico, tessile, meccanico e dei materiali edili, con una preminenza accordata all’agroalimentare. Gli scambi internazionali si svolgono principalmente con Russia, Germania, Ucraina e Usa. Tra le materie prime, sono presenti giacimenti di oro, argento, ferro, rame, carbone, molibdeno e gas naturale. Tra il 2001 e il 2006, il PIL pro capite è triplicato, grazie anche alla crescita del settore terziario. In seguito alla contrazione dell’economia russa, il tasso di crescita si è ridimensionato assestandosi a un 2,3% nel 2015. Il paese, considerato uno dei più densamente popolati dell’Asia centrale, ha registrato una decrescita demografica importante negli ultimi decenni per via dell’emigrazione. Il trend sembra essersi sensibilmente alzato negli ultimi anni, grazie anche ad un miglioramento dell’economia, che ha favorito il ritorno in patria di molti armeni. Strade devastate e l’assenza di una rete ferroviaria dimostrano come allo sviluppo economico non sia seguito uno sviluppo adeguato delle infrastrutture.
La situazione sociale in Armenia, tornata alla normalità dopo gli scontri seguiti alle presidenziali del 2008, sembra nuovamente destabilizzata dal ritorno alle urne nel 2013. Le ultime elezioni sono state infatti segnate da controversie, accuse di brogli e un attentato al candidato Hayrikyan. Tensioni politiche a parte, la capitale Yerevan è considerata una città sicura con un tasso di delinquenza particolarmente basso, caratteristica tipica anche delle altre maggiori città armene. Ai confine con l’area del Nagorno Karabakh, si è registrato un aumento della tensione per la fine del cessate il fuoco tra l’esercito armeno e le milizie azere dove si verificano saltuariamente scontri armati. I confini con l’Azerbaijan sono chiusi, mentre i rapporti con la Turchia, con cui l’Armenia ha ripreso i contatti solo a partire dal 2009, rimangono delicati. Campi minati sono segnalati lungo tutta l’area di confine con entrambi i Paesi. Si registrano non di rado scontri a fuoco tra bande appartenenti alla grande criminalità organizzata, impegnata prevalentemente nel traffico di stupefacenti. Il rischio che il Paese divenga obiettivo di attacchi terroristici non è elevato. L’Armenia è invece un Paese ad alto rischio sismico poiché nel suo sottosuolo si intersecano varie linee di faglia; l’ultimo grave terremoto del 1988 ha causato 55mila vittime, nel nord del Paese. A Metsamor (circa 30 chilometri dalla Capitale) esiste una centrale nucleare costruita nel 1976. Non avendo la centrale un guscio protettivo di contenimento, in caso di terremoto le conseguenze potrebbero essere disastrose.