Cina (PRC)

Asia dell'est
La repubblica popolare cinese di stampo comunista è difficilmente identificabile nelle tradizionali categorie di forme di stato e di governo. Tutte le cariche dello stato sono diretta emanazione del partito comunista, dal momento che vige il monopartitismo. Tuttavia, anche se l’uomo al comando è Xi Jinping, segretario del PCC, le decisioni politiche sono ponderate e discusse tra i 9 membri in cima alla piramide verticistica dello stesso. Tale suddivisione del potere è il retaggio della volontà di Deng Xiaoping, successore di Mao, per evitare un eccessivo accentramento del potere nelle mani di un solo uomo, come avvenne con il suo predecessore. Questo aspetto è sintetizzato nella cosiddetta “Democrazia interna al partito”. Un altro fattore a dividere gli esperti circa l’adeguatezza del termine dittatura è la “Ferrea selezione meritocratica” degli uomini del PCC. Gli studiosi la definiscono meritocrazia verticale, in quanto alla base vige una sorta di eleggibilità quasi “Democratica”, che lascia progressivamente spazio ad una meritocrazia fondata su titoli di studio ed esperienze politiche, per le cariche più alte. La Cina attuale è eredità di un impero dinastico millenario, entità politica tra le più antiche al mondo. Sotto l’ultima dinastia dei Qing avvennero episodi che hanno ancora oggi molte ripercussioni nell’identità cinese. A metà del XIX secolo si assistette ad una crescita demografica vorticosa, che coincise con una recessione economica senza precedenti, figlia anche di una carestia apocalittica. Tra le varie proteste e rivolte ricordiamo quella dei Taiping, che provocò tra i 20 e 70 milioni di morti, il cui leader incarnava i primi rozzi tratti utopici del socialismo, che animarono la rivoluzione culturale di Mao. Proprio in questo secolo ricordiamo la più grande ferita all’identità culturale cinese, che ancora non si è rimarginata, e che ha ripercussioni nell’agire politico e nel sentire comune. Con le due guerre dell’oppio (1839-42 e 1856-60) gli inglesi, per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, fecero vere e proprie attività di narcotraffico di stato, aprendo con la forza i porti asiatici al commercio della droga. La Cina tentò una svolta protezionista, ma la risposta quasi immediata fu la guerra. La tecnologia occidentale era nettamente superiore, perciò l’esito apparve scontato. Molte città portuali diventarono protettorati e Hong Kong una vera e propria colonia inglese. Nell’ultimo anno di guerra, 1860, un “incidente diplomatico” scatenò l’ira degli inglesi, che reagirono mettendo a ferro e fuoco il Palazzo d’Estate, reggia dell’imperatore. Di una costruzione di più di 200 edifici rimasero solo macerie. Il restauro venne evitato per mantenere visibile la più grande ferita storica di questo stato millenario. Terminò qui l’autoreferenzialità cinese e il grande senso di superiorità che aveva contraddistinto la Cina. Da adesso si guarda al modello occidentale, in una corsa all’ammodernamento che l’ha contraddistinta fino ai giorni nostri, al grido di “Mai più”. Nei primi del Novecento il potere imperiale conobbe una veloce e inarrestabile disgregazione che nel 1912, con l’abdicazione dell’ultimo imperatore Pu Yi, portò alla conclusione del Celeste Impero. In seguito, le guerre civili fra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Tse-tung (1927-1937 e 1945-1949) e l’invasione giapponese durante la II guerra mondiale (1937-1945), mutarono per sempre i destini della Cina. In seguito alla vittoria dei comunisti sul Kuomintag di Chiang Kai-shek - che si ritirò nell’isola di Taiwan con il governo nazionalista – il Paese fu guidato da Mao, leader del Partito Comunista Cinese già dal 1943 e fautore della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese il primo ottobre 1949. Da quella data, il Paese avviò una grandiosa opera di ricostruzione, varando la prima Costituzione e il primo Piano Quinquennale. Alla fine degli anni Cinquanta, una scelta estrema di collettivizzazione (politica del Grande balzo in avanti) per superare l’occidente in campo economico e fronteggiare una grave carestia, trascinarono la Cina in una crisi profonda. La rivoluzione culturale del decennio successivo e l’avvento del culto di Mao inaugurarono una nuova era, che fu superata solo con Deng Xiaoping, che assunse de facto il potere alla morte di Mao nel 1976. Questi incoraggiò un sistema di responsabilità familiare, aumentando il tenore di vita e il reddito pro capite. Ma la fame di riforme democratiche e il malcontento giovanile animarono nel 1989 le rivolte studentesche, di cui piazza Tienanmen a Pechino divenne il simbolo. Le riforme economiche introdotte da Xiaoping furono portate avanti da Jiang Zemin e successivamente da Hu Jintao, che nel 2007 introdusse il principio della proprietà privata. Fu primo vero passo per la democratizzazione della Cina, contraddistinta però ancora oggi da un controllo esasperato dell’informazione e dalla censura della libertà di stampa. Nel novembre 2012 gli succedette Xi Jinping, che nel marzo 2013 è subentrato anche alla guida del Paese. In occasione del VI Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (2015), è stata riconosciuta la leadership totalizzante di Xi Jinping, il quale oltre alla carica di segretario generale del Partito, ha accentrato una quantità impressionante di poteri nelle sue mani, al punto da essere definito dalla stampa estera un novello Mao. La Cina inoltre sta compiendo un grande sforzo per uscire dal pantano Covid e i piani dell’amministrazione sono inscrivibili nel piano quinquennale 2021-2025 (vedi sezione economia). Xi pone l’accento sulla volontà di migliorare sensibilmente la qualità della vita dei cittadini, aumentandone il welfare, che fungerebbe anche da elemento legittimante per l’impalcatura politica cinese, spesso sotto attacco da dissidenti interni ed esterni. Aspetto in netta contrapposizione con la feroce repressione degli Uiguri nella provincia dello Xinjiang, minoranza musulmana che il governo centrale cerca di esorcizzare mediante la “Sinizzazione” dell’area. Le relazioni internazionali invece rimangono molto tese con gli Stati Uniti: svariati esperti a bassa voce gridano al pericolo di una vera e propria “Nuova Guerra Fredda”. I temi caldi riguardano le contese territoriali nel Mar Cinese, che potrebbero mettere a repentaglio gli interessi americani e quelli dei suoi alleati. La Nine Dash Line è una cartina avveniristica cinese, che con segni tratteggiati, mostra l’ideale espansionistico di Pechino, di cui Taiwan rappresenta lo snodo centrale. Stretta nella morsa delle alleanze americane, tra cui il Giappone, l’India e l’Australia, assistiamo ad un progressivo avvicinamento cinese al colosso russo, per temi caldi quali la difesa. Aspetto di notevole importanza quest’ultimo, viste le svariate riforme in ambito militare di Xi negli ultimi anni. La spesa militare è in continuo aumento, 6,6% quest’anno, l’ammodernamento è un imperativo, così come anche la sviluppo di testate nucleari che reggano il confronto con l’America, e anche una lotta alla corruzione nelle alte cariche dell’esercito sta portando ad una sua progressiva razionalizzazione, incentrata soprattutto sullo sviluppo di una flotta più potente, per perseguire gli obiettivi geopolitici di lungo periodo. Cina attivissima anche negli “Aiuti allo sviluppo”, soprattutto in Africa e in America Latina, dove i suoi investimenti porteranno a nuove sfere di influenza ed opportunità commerciali. Anche la “Corsa allo spazio” continua ad infiammare l’agenda politica, che racconta la volontà di Pechino di dotarsi una centrale spaziale in orbita terrestre, quasi ultimata, e addirittura di una centrale di ricerca robotica sulla Luna, progetto più a lungo termine. Lo spazio cyber è anch’esso di rilievo: la Cina detiene capacità di prim’ordine, che è solita usare per furti intellettuali, che le hanno permesso sviluppi notevoli, e per influenzare ed esercitare pressione interna ed esterna. Tutto questo in una chiave di lettura sempre incentrata sulla competizione con gli Stati Uniti.
La Cina è oggi la prima potenza economica al mondo, dietro solo agli Stati Uniti per alcuni indicatori, sopra per altri. La scalata economica degli ultimi decenni è stata incentivata anche dalla reperibilità di una grande quantità di manodopera a basso costo, che ha permesso di delocalizzare in Cina le attività produttive di molte imprese occidentali e giapponesi. Trend che osserviamo oggi essere in controtendenza rispetto al passato, con l’affermarsi del fenomeno del decoupling. Di fatti oggi molte aziende stanno chiudendo le cosiddette filiali cinesi per una serie di motivi, tra cui l’eccessiva interconnessione con il colosso asiatico, per una svolta autarchica esacerbata dalla pandemia, che prende il nome di reshoring, e per altre motivazioni, che in alcuni casi comprendono anche il mancato rispetto dei basilari diritti per i lavoratori in suolo asiatico. Nonostante la pandemia, la Cina è stato uno degli unici paesi a registrare una crescita positiva nel 2020, anche se il tasso del +2,3% è stato il più basso registrato dal 1976. Il primo trimestre del 2021 invece segna un aumento record del 18,3%, il maggiore aumento percentuale dal 1992. Tuttavia, bisogna considerare che il paese è stato il primo a sperimentare il lockdown, ed anche il primo ad uscirvi. Prendendo invece le previsioni di crescita teorizzate dagli analisti, il 2021, nella sua totalità, dovrebbe assestarsi circa al +6%. Per capire invece la poderosa crescita economica del dragone asiatico, che non ha eguali nella storia dell’umanità, ricordiamo che nel 1980 l’88% della popolazione cinese sprofondava nella povertà assoluta. Se quasi 90 persone su cento vivevano con meno di due dollari al giorno, oggi se ne contano tra le due e le tre. Il reddito medio pro capite in quell’anno si assestava intorno a 193 dollari, mentre oggi è di 18.777, superiore a quello americano di 15.973. Questo indicatore, PPA, è secondo Stanley Fischer, uno dei più importanti economisti contemporanei, il miglior metro di paragone, che ci mostra una Cina addirittura superiore agli Stati Uniti. Proseguendo invece con la strabiliante capacità produttiva cinese, osserviamo come siano riusciti a costruire “L’equivalente dell’intero patrimonio europeo in soli 15 anni”, mentre nel 2005 Pechino costruiva l’equivalente in metri quadrati della Roma di oggi, in soli 15 giorni. La Cina è per di più il primo produttore al mondo di: riso, frumento, patate, arachidi, tabacco e tè, ed è tra i primi per mais e soia. Negli ultimi decenni, sul piano industriale i maggiori sviluppi si sono registrati nei settori delle imprese di trasformazione, dell’energia, dei trasporti aerei e delle telecomunicazioni. Crescono il settore siderurgico e metallurgico, così come l’industria chimica e le attività manifatturiere. La Cina è inoltre fra i primi produttori mondiali di carbone, petrolio, gas naturale, ferro, tungsteno, zinco, piombo, nichel, antimonio, manganese, molibdeno, mercurio, rame, bauxite, stagno. È il quinto produttore mondiale di petrolio e tra i primi quindici per disponibilità di riserve. Ed essendo soprattutto il più grande produttore di navi, acciaio, alluminio, mobili, abbigliamento, tessuti, telefoni cellulari e computer, la Cina è a tutti gli effetti il “Centro produttivo del mondo”. Oltre ad essere anche il maggior consumatore della maggior parte dei prodotti. Anche il nucleare gioca un ruolo fondamentale per il paese, sia in termini militari che energetici. Xi ha infatti affermato di voler portare lo stato con maggiori emissioni al mondo alla completa decarbonizzazione entro il 2060, e l’impegno passa anche e soprattutto dall’uso dell’energia nucleare. Mentre in ambito militare, dopo aver rispinto i tentativi russo-americani di limitare gli sviluppi di altre testate nucleari tramite accordi di non proliferazione, Pechino cerca di raggiungere i due colossi nelle loro capacità belliche. Il piano quinquennale 2021-2025 ci fa capire anche gli obiettivi e le strategie del prossimo futuro: il governo ha di fatti deciso di puntare maggiormente sul mercato interno, anche in risposta alla pandemia globale e alla guerra doganale cominciata da Trump. Il principio è definito dal termine dual circulation, improntato verso l’autosufficienza, dove il 5G e i super computer quantistici giocheranno un ruolo di prim’ordine. Sotto la lente d’ingrandimento appaiono anche le regioni più arretrate della Cina. Si stima che nei prossimi mesi verranno esibiti gli obiettivi numerici in termini di crescita economica e qualità della vita, dopo il viaggio di Xi Jinping per studiarne le ragioni dell’arretratezza, sulle orme del suo predecessore Deng Xiaoping.
Escludendo le frequenti manifestazioni di protesta contro il governo a Pechino e gli episodi di terrorismo nella regione dello Xinjiang, la Cina potrebbe essere considerato un Paese sicuro. La microcriminalità è diffusa soprattutto nell’hinterland di Pechino e nelle altre grandi aree metropolitane del Paese, mentre le grandi organizzazioni criminali cinesi - conosciute come Triadi - operano come vere e proprie società e sono dedite al traffico di stupefacenti (in particolare, oppiacei) e d’ immigrati clandestini (concentrati soprattutto a Hong Kong, Yunnan e Guangxi), attività da cui derivano i maggiori introiti. Sul fronte internazionale, la crescente competizione con gli Stati Uniti guida l’agenda di Pechino. Secondo la “Trappola di Tucidide”, teoria della politica internazionale, il conflitto sarebbe inevitabile. Di fatti, come avvenne nella guerra del Peloponneso tra Sparta e Atene, quando una potenza egemone viene minacciata dal crescere di una potenza emergente, la transizione di potere teoricamente non può che generare uno scontro armato per il predominio. Lo snodo critico è rappresentato dalle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale e Orientale. Washington non vuole cedere, né rischiare di perdere parte della sua influenza nell’area, mentre le esercitazioni navali ed aeree di entrambe le potenze stanno diventando una prassi. L’irrisolta questione tibetana invece, rende critica ogni forma di rapporto di quel Paese con la Cina, a partire dal semplice ingresso nella regione. È infatti sconsigliata qualsiasi forma di assembramento nelle province di Gansu, Qinghai, Sichuan e nel territorio autonomo del Tibet. Anche le zone di confine con l’India sono da evitare, specialmente la regione dell’Aksai Chin, dove gli scontri armati non sono così sporadici. Inoltre, l’imprevedibilità e il pessimo stato di alcune vie di comunicazione rendono i viaggi di notte evitabili, soprattutto nelle zone più disabitate, dove anche i collegamenti telefonici internazionali non sono sempre garantiti. E dal momento che le condizioni di detenzione sono aspre, è meglio evitare comportamenti socialmente inaccettabili per il regime, come ad esempio fotografare uomini in uniforme, fare ricerche internet su questioni critiche, o fare uso di stupefacenti, a volte punibili anche con pena capitale. In Cina esiste inoltre un discreto rischio terroristico legato alla questione separatista degli Uiguri, minoranza turca a confessione islamica insediatasi da secoli nella regione dello Xinjiang, al confine con il Kazakhstan. Gli Uiguri sono vittime di una forte repressione da Pechino: internati in “Campi di rieducazione”, le donne subiscono la sterilizzazione forzata, mentre episodi di violenza e intimidazioni non sono rare al loro interno. Mentre se liberi, da decenni viene limitata la loro libertà di culto e di espressione. Queste politiche repressive hanno portato molti uiguri a lasciare lo Xinjiang per affiliarsi alle milizie dell’ISIS e a combattere in Siria e in Iraq. Nella lista di aree a rischio rientrano i confini con l’Afghanistan e il Pakistan, perché privi di ogni tipo di sorveglianza, così come le aree confinanti con il Vietnam e la Birmania. Sul fronte interno, la Cina resta uno dei pochi Paesi avanzati al mondo in cui il governo esercita sistematicamente la censura: controlli sugli accessi a Internet nei luoghi pubblici, parole che non forniscono informazioni se inserite nei motori di ricerca, arresti che seguono a manifestazioni di stampo politico o religioso, sono solo alcune delle azioni delle autorità per mantenere il pieno controllo sul Paese. Censura che secondo diverse fonti è stata utilizzata anche per contenere i dati dei decessi causati dal Covid. È ormai chiaro che la pandemia si inserisce nei teatri di scontro per la leadership globale. Chi si alzerà meglio e distribuirà più aiuti sarà visto come un partner più affidabile. Tuttavia, in un paese senza libertà di stampa, i dati appaiono quanto mai incerti, sfruttati e manipolati come strumento di legittimazione del regime. Sul versante cibernetico, i rappresentanti di 34 imprese di piattaforme internet stanno cercando, mediante accordi, di garantire una più equa competizione nei mercati, esorcizzando la formazione di monopoli, snodo critico degli ultimi anni. A fine 2020 sono stati ultimati i negoziati con l’UE sul Comprehensive Agreement on Investment, per sanare le disparità riguardo l’accesso ai mercati, che trattava i temi critici dei rapporti tra i due colossi economici. Sotto la lente d’ingrandimento anche la questione lavoro forzato, soprattutto per le merci provenienti dalla regione dello Xinjiang. Attraverso questo accordo gli europei volevano garanzie per il rispetto dei diritti dei lavoratori, in un’ottica soprattutto di diseguaglianza di costo della manodopera, che poneva l’Unione in una posizione di disparità con il colosso asiatico. Il mancato rispetto ed evoluzione della questione ha portato l’Occidente in toto, capitanato dall’Europa, a sanzioni nei confronti della Cina, che sta creando impasse diplomatici, anche a causa della risposta cinese di colpire con altrettante sanzioni alcune personalità europee. Per quanto concerne il clima, l’elevato tasso di inquinamento atmosferico è una delle più gravi minacce all’ambiente e alla salute dei cittadini. Minacce concrete sono rappresentate inoltre dalle periodiche piogge torrenziali, dai tifoni e dai terremoti. Le aree a maggiore rischio sismico sono le provincie di Sichuan, Heilongjiang, Lijiang (nel bacino del Fiume Giallo) ed Hebei e la regione di Pechino.
Capitale: Pechino
Ordinamento: Repubblica popolare
Superficie: 9.596.961 km²
Popolazione: 1,444,216,102
Religioni: Ateismo 94%, buddhismo, taoismo, cristianesimo, islamismo
Lingue: cinese (mandarino), cantonese
Moneta: yuan (RMB)
PIL: 17,624.255 USD (PIL pro capite PPA prezzi costanti)
Livello di criticità: Basso
La repubblica popolare cinese di stampo comunista è difficilmente identificabile nelle tradizionali categorie di forme di stato e di governo. Tutte le cariche dello stato sono diretta emanazione del partito comunista, dal momento che vige il monopartitismo. Tuttavia, anche se l’uomo al comando è Xi Jinping, segretario del PCC, le decisioni politiche sono ponderate e discusse tra i 9 membri in cima alla piramide verticistica dello stesso. Tale suddivisione del potere è il retaggio della volontà di Deng Xiaoping, successore di Mao, per evitare un eccessivo accentramento del potere nelle mani di un solo uomo, come avvenne con il suo predecessore. Questo aspetto è sintetizzato nella cosiddetta “Democrazia interna al partito”. Un altro fattore a dividere gli esperti circa l’adeguatezza del termine dittatura è la “Ferrea selezione meritocratica” degli uomini del PCC. Gli studiosi la definiscono meritocrazia verticale, in quanto alla base vige una sorta di eleggibilità quasi “Democratica”, che lascia progressivamente spazio ad una meritocrazia fondata su titoli di studio ed esperienze politiche, per le cariche più alte. La Cina attuale è eredità di un impero dinastico millenario, entità politica tra le più antiche al mondo. Sotto l’ultima dinastia dei Qing avvennero episodi che hanno ancora oggi molte ripercussioni nell’identità cinese. A metà del XIX secolo si assistette ad una crescita demografica vorticosa, che coincise con una recessione economica senza precedenti, figlia anche di una carestia apocalittica. Tra le varie proteste e rivolte ricordiamo quella dei Taiping, che provocò tra i 20 e 70 milioni di morti, il cui leader incarnava i primi rozzi tratti utopici del socialismo, che animarono la rivoluzione culturale di Mao. Proprio in questo secolo ricordiamo la più grande ferita all’identità culturale cinese, che ancora non si è rimarginata, e che ha ripercussioni nell’agire politico e nel sentire comune. Con le due guerre dell’oppio (1839-42 e 1856-60) gli inglesi, per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, fecero vere e proprie attività di narcotraffico di stato, aprendo con la forza i porti asiatici al commercio della droga. La Cina tentò una svolta protezionista, ma la risposta quasi immediata fu la guerra. La tecnologia occidentale era nettamente superiore, perciò l’esito apparve scontato. Molte città portuali diventarono protettorati e Hong Kong una vera e propria colonia inglese. Nell’ultimo anno di guerra, 1860, un “incidente diplomatico” scatenò l’ira degli inglesi, che reagirono mettendo a ferro e fuoco il Palazzo d’Estate, reggia dell’imperatore. Di una costruzione di più di 200 edifici rimasero solo macerie. Il restauro venne evitato per mantenere visibile la più grande ferita storica di questo stato millenario. Terminò qui l’autoreferenzialità cinese e il grande senso di superiorità che aveva contraddistinto la Cina. Da adesso si guarda al modello occidentale, in una corsa all’ammodernamento che l’ha contraddistinta fino ai giorni nostri, al grido di “Mai più”. Nei primi del Novecento il potere imperiale conobbe una veloce e inarrestabile disgregazione che nel 1912, con l’abdicazione dell’ultimo imperatore Pu Yi, portò alla conclusione del Celeste Impero. In seguito, le guerre civili fra i nazionalisti di Chiang Kai-shek e i comunisti di Mao Tse-tung (1927-1937 e 1945-1949) e l’invasione giapponese durante la II guerra mondiale (1937-1945), mutarono per sempre i destini della Cina. In seguito alla vittoria dei comunisti sul Kuomintag di Chiang Kai-shek - che si ritirò nell’isola di Taiwan con il governo nazionalista – il Paese fu guidato da Mao, leader del Partito Comunista Cinese già dal 1943 e fautore della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese il primo ottobre 1949. Da quella data, il Paese avviò una grandiosa opera di ricostruzione, varando la prima Costituzione e il primo Piano Quinquennale. Alla fine degli anni Cinquanta, una scelta estrema di collettivizzazione (politica del Grande balzo in avanti) per superare l’occidente in campo economico e fronteggiare una grave carestia, trascinarono la Cina in una crisi profonda. La rivoluzione culturale del decennio successivo e l’avvento del culto di Mao inaugurarono una nuova era, che fu superata solo con Deng Xiaoping, che assunse de facto il potere alla morte di Mao nel 1976. Questi incoraggiò un sistema di responsabilità familiare, aumentando il tenore di vita e il reddito pro capite. Ma la fame di riforme democratiche e il malcontento giovanile animarono nel 1989 le rivolte studentesche, di cui piazza Tienanmen a Pechino divenne il simbolo. Le riforme economiche introdotte da Xiaoping furono portate avanti da Jiang Zemin e successivamente da Hu Jintao, che nel 2007 introdusse il principio della proprietà privata. Fu primo vero passo per la democratizzazione della Cina, contraddistinta però ancora oggi da un controllo esasperato dell’informazione e dalla censura della libertà di stampa. Nel novembre 2012 gli succedette Xi Jinping, che nel marzo 2013 è subentrato anche alla guida del Paese. In occasione del VI Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (2015), è stata riconosciuta la leadership totalizzante di Xi Jinping, il quale oltre alla carica di segretario generale del Partito, ha accentrato una quantità impressionante di poteri nelle sue mani, al punto da essere definito dalla stampa estera un novello Mao. La Cina inoltre sta compiendo un grande sforzo per uscire dal pantano Covid e i piani dell’amministrazione sono inscrivibili nel piano quinquennale 2021-2025 (vedi sezione economia). Xi pone l’accento sulla volontà di migliorare sensibilmente la qualità della vita dei cittadini, aumentandone il welfare, che fungerebbe anche da elemento legittimante per l’impalcatura politica cinese, spesso sotto attacco da dissidenti interni ed esterni. Aspetto in netta contrapposizione con la feroce repressione degli Uiguri nella provincia dello Xinjiang, minoranza musulmana che il governo centrale cerca di esorcizzare mediante la “Sinizzazione” dell’area. Le relazioni internazionali invece rimangono molto tese con gli Stati Uniti: svariati esperti a bassa voce gridano al pericolo di una vera e propria “Nuova Guerra Fredda”. I temi caldi riguardano le contese territoriali nel Mar Cinese, che potrebbero mettere a repentaglio gli interessi americani e quelli dei suoi alleati. La Nine Dash Line è una cartina avveniristica cinese, che con segni tratteggiati, mostra l’ideale espansionistico di Pechino, di cui Taiwan rappresenta lo snodo centrale. Stretta nella morsa delle alleanze americane, tra cui il Giappone, l’India e l’Australia, assistiamo ad un progressivo avvicinamento cinese al colosso russo, per temi caldi quali la difesa. Aspetto di notevole importanza quest’ultimo, viste le svariate riforme in ambito militare di Xi negli ultimi anni. La spesa militare è in continuo aumento, 6,6% quest’anno, l’ammodernamento è un imperativo, così come anche la sviluppo di testate nucleari che reggano il confronto con l’America, e anche una lotta alla corruzione nelle alte cariche dell’esercito sta portando ad una sua progressiva razionalizzazione, incentrata soprattutto sullo sviluppo di una flotta più potente, per perseguire gli obiettivi geopolitici di lungo periodo. Cina attivissima anche negli “Aiuti allo sviluppo”, soprattutto in Africa e in America Latina, dove i suoi investimenti porteranno a nuove sfere di influenza ed opportunità commerciali. Anche la “Corsa allo spazio” continua ad infiammare l’agenda politica, che racconta la volontà di Pechino di dotarsi una centrale spaziale in orbita terrestre, quasi ultimata, e addirittura di una centrale di ricerca robotica sulla Luna, progetto più a lungo termine. Lo spazio cyber è anch’esso di rilievo: la Cina detiene capacità di prim’ordine, che è solita usare per furti intellettuali, che le hanno permesso sviluppi notevoli, e per influenzare ed esercitare pressione interna ed esterna. Tutto questo in una chiave di lettura sempre incentrata sulla competizione con gli Stati Uniti.
La Cina è oggi la prima potenza economica al mondo, dietro solo agli Stati Uniti per alcuni indicatori, sopra per altri. La scalata economica degli ultimi decenni è stata incentivata anche dalla reperibilità di una grande quantità di manodopera a basso costo, che ha permesso di delocalizzare in Cina le attività produttive di molte imprese occidentali e giapponesi. Trend che osserviamo oggi essere in controtendenza rispetto al passato, con l’affermarsi del fenomeno del decoupling. Di fatti oggi molte aziende stanno chiudendo le cosiddette filiali cinesi per una serie di motivi, tra cui l’eccessiva interconnessione con il colosso asiatico, per una svolta autarchica esacerbata dalla pandemia, che prende il nome di reshoring, e per altre motivazioni, che in alcuni casi comprendono anche il mancato rispetto dei basilari diritti per i lavoratori in suolo asiatico. Nonostante la pandemia, la Cina è stato uno degli unici paesi a registrare una crescita positiva nel 2020, anche se il tasso del +2,3% è stato il più basso registrato dal 1976. Il primo trimestre del 2021 invece segna un aumento record del 18,3%, il maggiore aumento percentuale dal 1992. Tuttavia, bisogna considerare che il paese è stato il primo a sperimentare il lockdown, ed anche il primo ad uscirvi. Prendendo invece le previsioni di crescita teorizzate dagli analisti, il 2021, nella sua totalità, dovrebbe assestarsi circa al +6%. Per capire invece la poderosa crescita economica del dragone asiatico, che non ha eguali nella storia dell’umanità, ricordiamo che nel 1980 l’88% della popolazione cinese sprofondava nella povertà assoluta. Se quasi 90 persone su cento vivevano con meno di due dollari al giorno, oggi se ne contano tra le due e le tre. Il reddito medio pro capite in quell’anno si assestava intorno a 193 dollari, mentre oggi è di 18.777, superiore a quello americano di 15.973. Questo indicatore, PPA, è secondo Stanley Fischer, uno dei più importanti economisti contemporanei, il miglior metro di paragone, che ci mostra una Cina addirittura superiore agli Stati Uniti. Proseguendo invece con la strabiliante capacità produttiva cinese, osserviamo come siano riusciti a costruire “L’equivalente dell’intero patrimonio europeo in soli 15 anni”, mentre nel 2005 Pechino costruiva l’equivalente in metri quadrati della Roma di oggi, in soli 15 giorni. La Cina è per di più il primo produttore al mondo di: riso, frumento, patate, arachidi, tabacco e tè, ed è tra i primi per mais e soia. Negli ultimi decenni, sul piano industriale i maggiori sviluppi si sono registrati nei settori delle imprese di trasformazione, dell’energia, dei trasporti aerei e delle telecomunicazioni. Crescono il settore siderurgico e metallurgico, così come l’industria chimica e le attività manifatturiere. La Cina è inoltre fra i primi produttori mondiali di carbone, petrolio, gas naturale, ferro, tungsteno, zinco, piombo, nichel, antimonio, manganese, molibdeno, mercurio, rame, bauxite, stagno. È il quinto produttore mondiale di petrolio e tra i primi quindici per disponibilità di riserve. Ed essendo soprattutto il più grande produttore di navi, acciaio, alluminio, mobili, abbigliamento, tessuti, telefoni cellulari e computer, la Cina è a tutti gli effetti il “Centro produttivo del mondo”. Oltre ad essere anche il maggior consumatore della maggior parte dei prodotti. Anche il nucleare gioca un ruolo fondamentale per il paese, sia in termini militari che energetici. Xi ha infatti affermato di voler portare lo stato con maggiori emissioni al mondo alla completa decarbonizzazione entro il 2060, e l’impegno passa anche e soprattutto dall’uso dell’energia nucleare. Mentre in ambito militare, dopo aver rispinto i tentativi russo-americani di limitare gli sviluppi di altre testate nucleari tramite accordi di non proliferazione, Pechino cerca di raggiungere i due colossi nelle loro capacità belliche. Il piano quinquennale 2021-2025 ci fa capire anche gli obiettivi e le strategie del prossimo futuro: il governo ha di fatti deciso di puntare maggiormente sul mercato interno, anche in risposta alla pandemia globale e alla guerra doganale cominciata da Trump. Il principio è definito dal termine dual circulation, improntato verso l’autosufficienza, dove il 5G e i super computer quantistici giocheranno un ruolo di prim’ordine. Sotto la lente d’ingrandimento appaiono anche le regioni più arretrate della Cina. Si stima che nei prossimi mesi verranno esibiti gli obiettivi numerici in termini di crescita economica e qualità della vita, dopo il viaggio di Xi Jinping per studiarne le ragioni dell’arretratezza, sulle orme del suo predecessore Deng Xiaoping.
Escludendo le frequenti manifestazioni di protesta contro il governo a Pechino e gli episodi di terrorismo nella regione dello Xinjiang, la Cina potrebbe essere considerato un Paese sicuro. La microcriminalità è diffusa soprattutto nell’hinterland di Pechino e nelle altre grandi aree metropolitane del Paese, mentre le grandi organizzazioni criminali cinesi - conosciute come Triadi - operano come vere e proprie società e sono dedite al traffico di stupefacenti (in particolare, oppiacei) e d’ immigrati clandestini (concentrati soprattutto a Hong Kong, Yunnan e Guangxi), attività da cui derivano i maggiori introiti. Sul fronte internazionale, la crescente competizione con gli Stati Uniti guida l’agenda di Pechino. Secondo la “Trappola di Tucidide”, teoria della politica internazionale, il conflitto sarebbe inevitabile. Di fatti, come avvenne nella guerra del Peloponneso tra Sparta e Atene, quando una potenza egemone viene minacciata dal crescere di una potenza emergente, la transizione di potere teoricamente non può che generare uno scontro armato per il predominio. Lo snodo critico è rappresentato dalle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale e Orientale. Washington non vuole cedere, né rischiare di perdere parte della sua influenza nell’area, mentre le esercitazioni navali ed aeree di entrambe le potenze stanno diventando una prassi. L’irrisolta questione tibetana invece, rende critica ogni forma di rapporto di quel Paese con la Cina, a partire dal semplice ingresso nella regione. È infatti sconsigliata qualsiasi forma di assembramento nelle province di Gansu, Qinghai, Sichuan e nel territorio autonomo del Tibet. Anche le zone di confine con l’India sono da evitare, specialmente la regione dell’Aksai Chin, dove gli scontri armati non sono così sporadici. Inoltre, l’imprevedibilità e il pessimo stato di alcune vie di comunicazione rendono i viaggi di notte evitabili, soprattutto nelle zone più disabitate, dove anche i collegamenti telefonici internazionali non sono sempre garantiti. E dal momento che le condizioni di detenzione sono aspre, è meglio evitare comportamenti socialmente inaccettabili per il regime, come ad esempio fotografare uomini in uniforme, fare ricerche internet su questioni critiche, o fare uso di stupefacenti, a volte punibili anche con pena capitale. In Cina esiste inoltre un discreto rischio terroristico legato alla questione separatista degli Uiguri, minoranza turca a confessione islamica insediatasi da secoli nella regione dello Xinjiang, al confine con il Kazakhstan. Gli Uiguri sono vittime di una forte repressione da Pechino: internati in “Campi di rieducazione”, le donne subiscono la sterilizzazione forzata, mentre episodi di violenza e intimidazioni non sono rare al loro interno. Mentre se liberi, da decenni viene limitata la loro libertà di culto e di espressione. Queste politiche repressive hanno portato molti uiguri a lasciare lo Xinjiang per affiliarsi alle milizie dell’ISIS e a combattere in Siria e in Iraq. Nella lista di aree a rischio rientrano i confini con l’Afghanistan e il Pakistan, perché privi di ogni tipo di sorveglianza, così come le aree confinanti con il Vietnam e la Birmania. Sul fronte interno, la Cina resta uno dei pochi Paesi avanzati al mondo in cui il governo esercita sistematicamente la censura: controlli sugli accessi a Internet nei luoghi pubblici, parole che non forniscono informazioni se inserite nei motori di ricerca, arresti che seguono a manifestazioni di stampo politico o religioso, sono solo alcune delle azioni delle autorità per mantenere il pieno controllo sul Paese. Censura che secondo diverse fonti è stata utilizzata anche per contenere i dati dei decessi causati dal Covid. È ormai chiaro che la pandemia si inserisce nei teatri di scontro per la leadership globale. Chi si alzerà meglio e distribuirà più aiuti sarà visto come un partner più affidabile. Tuttavia, in un paese senza libertà di stampa, i dati appaiono quanto mai incerti, sfruttati e manipolati come strumento di legittimazione del regime. Sul versante cibernetico, i rappresentanti di 34 imprese di piattaforme internet stanno cercando, mediante accordi, di garantire una più equa competizione nei mercati, esorcizzando la formazione di monopoli, snodo critico degli ultimi anni. A fine 2020 sono stati ultimati i negoziati con l’UE sul Comprehensive Agreement on Investment, per sanare le disparità riguardo l’accesso ai mercati, che trattava i temi critici dei rapporti tra i due colossi economici. Sotto la lente d’ingrandimento anche la questione lavoro forzato, soprattutto per le merci provenienti dalla regione dello Xinjiang. Attraverso questo accordo gli europei volevano garanzie per il rispetto dei diritti dei lavoratori, in un’ottica soprattutto di diseguaglianza di costo della manodopera, che poneva l’Unione in una posizione di disparità con il colosso asiatico. Il mancato rispetto ed evoluzione della questione ha portato l’Occidente in toto, capitanato dall’Europa, a sanzioni nei confronti della Cina, che sta creando impasse diplomatici, anche a causa della risposta cinese di colpire con altrettante sanzioni alcune personalità europee. Per quanto concerne il clima, l’elevato tasso di inquinamento atmosferico è una delle più gravi minacce all’ambiente e alla salute dei cittadini. Minacce concrete sono rappresentate inoltre dalle periodiche piogge torrenziali, dai tifoni e dai terremoti. Le aree a maggiore rischio sismico sono le provincie di Sichuan, Heilongjiang, Lijiang (nel bacino del Fiume Giallo) ed Hebei e la regione di Pechino.

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