Dopo che il procuratore generale della Spagna Juan Manuel Maza ha chiesto l’incriminazione del president catalano Carles Puigdemont e dei suoi ministri per «ribellione e sedizione», l’ex presidente catalano è scappato a Bruxelles. Dove, insieme a cinque dei suoi più stretti consiglieri, intende ora chiedere asilo politico al Belgio.
«Non è all’ordine del giorno» del governo, ha risposto lapidario il premier belga Charles Michel, interpellato sull’argomento. Intanto, però, le indiscrezioni danno per imminente un mandato d’arresto per il leader degli indipendentisti catalani. Fatto che metterebbe in forte imbarazzo la capitale d’Europa e che aggiunge a questa storia un ulteriore elemento di criticità.
Dal 30 ottobre 2017 il parlamento catalano è ufficialmente sciolto, ma la farsa prosegue. In Spagna, infatti, non accenna a placarsi la tempesta politica e c’è persino chi teme che i Mossos d’Esquarda, la polizia catalana, possano non eseguire l’eventuale ordine d’arresto che dovesse pervenire loro dalla procura generale. Questo, se ce ne fosse ancora bisogno, evidenzia ancor più la gravità di una situazione che è sfuggita di mano ai suoi protagonisti sin dall’inizio.
Le indiscrezioni danno per imminente un mandato d’arresto per il leader degli indipendentisti catalani. Fatto che metterebbe in forte imbarazzo la capitale d’Europa
La vicenda dell’indipendenza della Catalogna ha dimostrato non solo la poca serietà dei decisori politici spagnoli, ma anche l’incapacità pressoché totale da parte loro nel pianificare una qualsivoglia strategia che facesse fronte a una così importante questione democratica, quando la soluzione tutto sommato era piuttosto semplice.
Questo perché la democrazia non è un concetto astratto, ma si basa su precise regole che chiamiamo “leggi dello stato”. Sarebbe bastato applicarle, per evitare la brutta figura a una delle più note monarchie costituzionali del mondo. Invece, da questo punto di vista né la corona “garante dell’unità e della democrazia” né il governo centrale di Madrid hanno saputo porre alcun argine all’eversione premeditata da Barcellona. Che, per parte sua, non ha mai nascosto di voler raggiungere l’obiettivo della secessione.
La vicenda dell’indipendenza della Catalogna ha dimostrato l’incapacità dei decisori politici spagnoli di pianificare una strategia che facesse fronte a una così importante questione democratica
Solo quando ci si è accorti che nessuna delle parti aveva intenzione di retrocedere, si è provato a richiamare alla mente le leggi e la Costituzione. Ma ormai era tardi, e così Madrid ha potuto tamponare la deriva incipiente col solo strumento che ancora sembra rispondere correttamente agli stimoli del potere costituito: la magistratura.
Fallita ogni mediazione e fuggiti i buoi dalla stalla, è la procura generale a tentare ora di ripristinare l’iter democratico che è stato sconvolto dagli indipendentisti. Con quali risultati, lo vedremo presto. Il 21 dicembre, intanto, Madrid ha annunciato che si voterà per il rinnovo del parlamento regionale. In teoria, anche Carles Puigdemont potrebbe votare, se non si troverà già in carcere.
In conclusione, come doveva essere ovvio sin dall’inizio di questa storia, l’indipendenza della Catalogna non ci sarà né ci poteva essere. Eppure, l’episodio è un precedente pericoloso e destabilizzante per l’Unione Europea, perché ha dimostrato plasticamente quanto le democrazie avanzate d’Europa siano fragili e impreparate a far fronte anche a crisi modeste.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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