Dopo il 9/11. Dopo anni di arresti e mancati attentati. Dopo le bombe inesplose di Time Square e quelle deflagrate a Chelsea (Manhattan) e nel New Jersey del settembre 2016. Dopo una sequela di tentativi più o meno riusciti, ecco compiersi un nuovo attentato terroristico in tipico stile jihadista nella capitale simbolica degli Stati Uniti.
Un attentato compiuto seguendo il tristemente noto modello del camion contro la folla, inaugurato già negli anni Ottanta ma relativamente nuovo per l’Occidente. L’Europa lo ha sperimentato in particolare dal 2014, in corrispondenza dell’ascesa dello Stato Islamico che, tra Nizza, Londra e Berlino ha già provocato oltre un centinaio di morti. Da ultimo, l’esortazione all’uso del camion per uccidere civili era stato rilanciato con forza nel 2016 da Abu Mohammed Al Adnani, ministro della propaganda dello Stato Islamico, il quale, nel preconizzare la fine dell’entità statuale del Califfato, avvertiva:
“Monoteisti, ovunque siate cosa farete per aiutare i vostri fratelli dello Stato Islamico, attaccati da tutte le nazioni? Alzatevi e difendete il vostro stato, dovunque voi siate. Se potete uccidere un infedele americano o europeo – specialmente gli schifosi francesi – o un australiano o un canadese o un qualsiasi infedele, inclusi i cittadini delle nazioni che ci stanno facendo la guerra, allora abbiate fiducia in dio e uccidete in ogni modo. Uccidete il militare e il civile, sono la stessa cosa. Se non potete trovare un proiettile o una bomba, usate una pietra per rompergli la testa, o un coltello, o investitelo con l’automobile o gettatelo dall’alto, o strangolatelo oppure avvelenatelo. […] Se i tiranni vi hanno sbarrato la porta per raggiungere lo Stato Islamico aprite la porta del Jihad in casa loro. Davvero apprezziamo di più un’azione piccola commessa in casa loro che un grande gesto qui, perché così è più efficace per noi e più dannoso per loro. Terrorizzate i crociati, notte e giorno, fino a che ciascuno non avrà paura del proprio vicino […] Saremo sconfitti e voi vittoriosi se prenderete Mosul o Sirte o Raqqa o tutte le altre città e noi torneremo come all’inizio? No, la sconfitta è perdere la volontà e il desiderio di combattere”.
Saremo sconfitti e voi vittoriosi se prenderete Mosul o Sirte o Raqqa o tutte le altre città e noi torneremo come all’inizio? No, la sconfitta è perdere la volontà e il desiderio di combattere
Quali che ne siano la matrice e le motivazioni precise dell’attentato di Halloween 2017, esso è stato compiuto seguendo questo stesso impulso omicida. L’autore della strage è stato identificato in Sayfullo Habibullaevic Saipov, cittadino uzbeko con passaporto americano dal 2010 residente a Tampa, Florida. Lo stesso luogo dove si erano addestrati a volare gli attentatori delle Torri Gemelle.
Ma questo, ancor prima di costituire un indizio, è solo un altro dettaglio che serve a comprendere meglio come gli Stati Uniti siano già da molto tempo nel mirino del terrorismo di matrice islamista, non meno degli altri paesi nel mondo. In America è attiva e presente anzitutto la rete di Al Qaeda, il cui pensiero eversivo è stato introdotto sin dagli anni Novanta. E più recentemente ha attecchito anche lo Stato Islamico. Che ha fatto breccia negli Stati Uniti per una somma di ragioni, non ultima la svolta interventista in Siria e Iraq, dove il Pentagono ha contribuito sensibilmente alla caduta di Mosul e Raqqa, capitali del Califfato.
I precedenti
Questo ultimo evento di sangue segue di poche settimane la strage di matrice incerta a Las Vegas (2 ottobre 2017), che a sua volta è stata preceduta dalle bombe di Boston (15 aprile 2013), dalla sparatoria di Dallas durante un concorso sulle caricature di Maometto (3 maggio 2015), dalla sparatoria in un centro reclute di Chattanooga (16 luglio 2015), dalle stragi in un centro sociale di San Bernardino (2 dicembre 2015) e in una discoteca di Orlando (11 giugno 2016). Infine, da numerosi altri attentati sventati dalle forze di polizia. Tutti di chiara impronta islamista.
Tutto questo riporta all’attenzione anche un altro problema: la mancanza negli Stati Uniti di un vero e proprio servizio di sicurezza interno che studi e prevenga questi fenomeno come metodo di lavoro. Nonostante abbiano 17 agenzie di intelligence, infatti, gli americani delegano la sicurezza interna e il contro-terrorismo esclusivamente all’FBI. Ma il Federal Bureau of Investigation è una forza di polizia federale e, come tale, agisce solo in presenza di una precisa notizia di reato.
Al contrario dei servizi di sicurezza e di contro-terrorismo di gran parte dei Paesi europei (compreso quello italiano). I quali, non essendo dotati di poteri di polizia giudiziaria, operano col dichiarato scopo di prevenire le minacce e non invece la loro esecuzione. Indagano cioè la fase preparatoria e non la fase esecutiva di una possibile minaccia.
C’è dunque una profonda differenza tra i due modelli – europeo e americano – poiché un servizio di sicurezza interno come quello italiano è pensato per esercitare un’attività anzitutto informativa e in ambienti anche solo potenzialmente minacciosi, senza che si abbia ancora notizia dell’imminenza di un crimine. Cosa che l’FBI non è autorizzata a fare.
È evidente che il principio americano segue la ratio secondo cui questo tipo di attività non è lecita perché lede i diritti dei cittadini, che potrebbero essere coinvolti in indagini anche quando non sono direttamente inquadrati in un contesto criminale. Il modello europeo, invece, esercitando una pressione informativa sugli ambienti più “sensibili” sotto il profilo della sicurezza interna, può agire nella prevenzione costante di atti di terrorismo ben prima che si pianifichi l’esecuzione di un crimine.
Ciò nonostante, né il modello europeo né quello americano hanno dato i risultati sperati. Almeno non secondo l’opinione pubblica, spaventata da un’ondata di attentati senza precedenti contro obiettivi civili. Le forze di sicurezza effettivamente non hanno potuto prevenire l’insorgere di numerosi fatti di sangue, ma va detto che decine sono quelli sventati in tutto l’Occidente negli ultimi anni. Questo perché la minaccia è grave e diffusa, e la volontà di spargere terrore da parte delle frange più estreme dell’Islam radicale non conosce fine né limiti. E di certo, non si è conclusa con la sconfitta territoriale del Califfato.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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