Ali Abdullah Saleh, l’ex presidente dello Yemen che pochi giorni fa aveva aperto al dialogo con l’Arabia Saudita rompendo l’alleanza con gli Houthi, è stato ucciso da un cecchino mentre fuggiva da Sanaa in direzione di Marib. La notizia è stata data dalla tv Al-Masirah controllata dai ribelli sciiti che ha trasmesso anche un video che mostra il suo cadavere. Successivamente la morte di Saleh è stata confermata dal suo partito, il General People’s Congress.
L’accordo tra Saleh e Riad
Governare lo Yemen è come «ballare sulla testa dei serpenti». Parole di Ali Abdullah Saleh. Il 75enne ex presidente yemenita, inghiottito dall’ondata delle primavere arabe a inizio 2012 dopo aver governato il Paese per trent’anni con il pugno di ferro, è riemerso a galla nel 2014 sostenendo la rivolta dei ribelli sciiti Houthi. In questi ultimi giorni aveva tentato una fuga solitaria in avanti per riprendersi il potere.
Il 2 dicembre Saleh si era dichiarato disponibile a dialogare con l’Arabia Saudita, rompendo l’alleanza con il capo dei ribelli sciiti Abdul Malik al-Houthi. In cambio della sua collaborazione, aveva chiesto a Riad di porre fine al blocco del traffico da e verso gli aeroporti e i porti del Paese. La mossa era stata accolta favorevolmente da Casa Saud che, forte del sostegno delle milizie fedeli all’ex presidente yemenita, puntava a stringere con più efficacia la morsa attorno agli Houthi.
Sanaa ha pagato sin da subito a carissimo prezzo questo patto. Dal 29 novembre la città è infatti teatro di scontri tra l’ex Guardia presidenziale agli ordini di Saleh e i ribelli. I primi hanno preso il controllo delle strade chiave della città puntando a entrare nel distretto di Al-Jarraf, roccaforte degli Houthi. I secondi hanno attaccato il sobborgo meridionale di Hadda, dove vivono alcuni componenti della famiglia di Saleh, e bombardato la casa di Sheikh Mabkhout al-Mashriqi, membro degli Hashid, una delle tribù che nel 2014 facilitò l’avanzata dei ribelli fino al centro di Sanaa attraverso la provincia settentrionale di Amran. Si combatte anche a Sanhan, località natale di Saleh situata a sud rispetto alla capitale.
Impossibile fare una conta esatta dei morti, che però potrebbero già essere stati oltre 120. Un numero destinato a crescere considerato che da questa notte i caccia sauditi hanno ripreso a bombardare postazioni degli Houthi nei pressi dell’aeroporto internazionale e a difesa dei palazzi governativi. Intensificando i raid aerei, Riad punta ad agevolare l’avanzata delle milizie di Saleh nelle aree di Sanaa in mano ai ribelli. Ma l’impresa non è semplice. Gli Houthi, infatti, sono in netta superiorità numerica: decine di migliaia di uomini contro i circa mille che rispondono all’ex presidente.
Il retroscena dell’intesa
Secondo fonti yemenite ben informate citate da Al Jazeera, il patto tra Saleh e Riad risale all’inizio del 2017 e a mediarlo erano stati gli Emirati Arabi Uniti. Per uscire dall’impasse di un conflitto che sta ponendo in una situazione di forte imbarazzo internazionale l’Arabia Saudita da più di due anni (oltre che costringerla a sborsare miliardi di dollari in armamenti), l’erede al trono Mohammed Bin Salman avrebbe deciso di ascoltare il consiglio di Abu Dhabi acconsentendo a un accordo con Saleh.
L’erede al trono saudita si sarebbe però opposto al ritorno al potere di Saleh, accettando invece l’ipotesi di un governo retto da suo figlio Ahmed Saleh, capo dell’esercito al tempo in cui il padre era ancora presidente e ambasciatore yemenita negli Emirati dove ha vissuto stabilmente negli ultimi cinque anni.
La pista che conduce ad Ahmed Saleh era apparsa concreta e a caldeggiarla era stato il principe ereditario degli Emirati Mohammed bin Zayed. Un primo contatto c’era già stato nel giugno scorso, quando ad Abu Dhabi Ahmed al-Asiri, ex portavoce militare della coalizione a guida saudita, aveva incontrato il figlio di Saleh. L’alternativa a questo scenario potrebbe condurre all’ex primo ministro Khaled Bahah.
Il futuro dello Yemen
Con l’uccisione dell’ex presidente Saleh si apre un nuovo fronte della guerra yemenita. La tensione resta altissima anche oltre le mura di Sanaa. Il 3 dicembre gli Houthi hanno attaccato contigenti degli Emirati nella zona di Mokka, dichiarando di aver effettuato il lancio di un missile Scud modificato Burkan-2 (capace in teoria di colpire obiettivi oltre i 1.400 chilometri) per distruggere una centrale nucleare nell’area di Dubai. Ma la versione è stata smentita da Abu Dhabi.
La situazione potrebbe presto degenerare ulteriormente anche a sud, dove ci sono stati scontri tra i militari fedeli ad Hadi e milizie legate al leader secessionista Aydarous al-Zubaidi, che starebbero impedendo al presidente legittimo di rientrare ad Aden.
Di fronte a questo continuo accavallamento di fronti, il conflitto in Yemen è destinato a mietere ancora a lungo vittime specie tra i civili. Finora i morti sono stati più di 8.750 e oltre 20 milioni le persone bisognose di aiuti umanitari per quella che è stata definita la più grave emergenza alimentare al mondo. Si muore anche di colera: per questa malattia i decessi da aprile sono già stati più di 220. L’omicidio di Saleh, adesso, non può che rendere ancora più profonda questa crisi.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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