Gestione dei flussi migratori, sviluppo sostenibile, collaborazione tra organizzazioni non profit e settore privato. Sono stati questi i temi principali affrontati nella due giorni di lavori di Coopera, la Conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo tenutasi a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, il 24 e 25 gennaio.
Un appuntamento atteso per fare il punto sull’applicazione della legge n. 125 del 2014, che ha riformato in modo profondo il settore della cooperazione con la creazione dell’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) e il riconoscimento di un ruolo definito a quelle imprese che intendo investire in modo responsabile in progetti di sviluppo oltreconfine.
Tradotto, significa più risorse a disposizione per i progetti che l’Agenzia porta avanti, o si appresta a sdoganare, in tutto il mondo. Per prossimità geografica, per interessi strategici (vedi la fresca missione militare in Niger e gli investimenti effettuati soprattutto nei settori energetico e delle infrastrutture dalle nostre compagnie di bandiera) e condivisione di emergenze (su tutte quella dei migranti), l’interlocutore principale per la cooperazione italiana rimane l’Africa.
L’Italia è infatti il quarto donatore dell’Africa tra i paesi del G7 e, non a caso, tra gli ospiti più importanti arrivati dall’estero alla conferenza di Roma c’è stato Faustin Archange Touadera, presidente della Repubblica Centrafricana, Paese da anni falcidiato dalla guerra civile e nel quale opera dal 2014 un nostro contingente militare nell’ambito della missione Eufor RCA e al fianco dei soldati francesi (missione Sangaris) e dei Paesi dell’Unione Africana (missione Misca).
Per aiutare Paesi in emergenza perenne come la Repubblica Centrafricana, così come per sperare di tamponare alla fonte i flussi migratori in modo da intercettare e neutralizzare chi ha in mano le tratte di esseri umani, non sono sufficienti però solo aiuti economici o, come nel caso del Niger, l’invio di soldati. Lo ha spiegato lo stesso primo ministro Paolo Gentiloni, intervenuto al termine dei lavori di Coopera: «Non basta far arrivare quattrini, bisogna mettere l’Africa nelle condizioni di crescere con le proprie forze».
Con la diffusione di un Manifesto per cambiare il futuro, il mondo della cooperazione italiano si è dato appuntamento al 2021 per una nuova conferenza nazionale. Tra i punti più interessanti il rafforzamento delle «competenze delle associazioni della diaspora attraverso la formazione e l’assistenza tecnica per garantire una loro capacità d’iniziativa autonoma nella progettazione in cooperazione internazionale», il supporto alla «formazione delle PMI italiane volta a facilitare la loro partecipazioni alle procedure di evidenza pubblica anche con la creazione di una piattaforma delle iniziative pubblico-private per favorire l’incrocio tra domanda e offerta tra profit e non profit» e la promozione della «costituzione di un fondo da parte di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) a supporto degli investimenti per interventi in infrastrutture, PMI e sul cambiamento climatico nei Paesi partner che farà leva su risorse pubbliche nazionali, europee e su quelle messe a disposizione da CDP».
In una terra come l’Africa, “aggredita” da competitor che hanno ben altri mezzi a loro disposizione (la Cina su tutti e, subito dietro, Francia, Turchia e Paesi del Golfo), per l’Italia la strada della cooperazione è d’altronde l’unica concretamente praticabile per incidere realmente in questo continente. Ai protagonisti della conferenza di Roma, e a chi guiderà il prossimo governo del Paese, il compito di tradurre in sostanza gli impegni presi con i partner della sponda sud del Mediterraneo.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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