Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accettato di incontrare il leader nordcoreano Kim Jong-un. Dopo mesi di tensioni e di scambi di accuse e minacce, nel corso dei quali si è temuto più volte che l’escalation dal piano dialettico sfociasse in quello militare, il capo della Casa Bianca ha accolto l’invito al dialogo del dittatore nordcoreano fatto arrivare a Washington attraverso la mediazione di Chung Eui-yong, il consigliere per la sicurezza nazionale della Corea del Sud. Seoul non ha fornito ulteriori dettagli sul meeting, indicando semplicemente il limite di fine maggio.
Chung ha riferito brevemente a Trump della cena di quattro ore avuta a Pyongyang lunedì 5 marzo con Kim Jong Un e gli ha consegnato la lettera recapitatagli dal dittatore. La risposta del presidente americano arriva dopo la promessa di una moratoria sul programma missilistico e nucleare da parte della Corea del Nord. Un eventuale incontro tra i due leader sarebbe un evento senza precedenti. Nella storia degli Stati Uniti non è infatti mai accaduto che un presidente in carica incontrasse uno degli esponenti della famiglia Kim che in questi decenni si sono succeduti al potere in Corea del Nord. Jimmy Carter incontrò il grande Leader e fondatore della Corea del Nord Kim Il Sung, nonno dell’attuale presidente. Dopo di lui, fu Bill Clinton a vedere a Pyongyang il caro leader Kim Jong Il, padre di Kim. Entrambe le visite si erano svolte però quando i due presidenti USA avevano già concluso il loro mandato.
Nell’ultimo anno Trump e Kim si erano bersagliati a vicenda con insulti e attacchi feroci e nulla sembrava presagire un cambiamento di tale portata. Il faccia a faccia con il presidente nordcoreano sarebbe stato interpretato sul piano globale come un riconoscimento del regime e per questo motivo l’Amministrazione Trump l’aveva sempre evitato. Anche se, era stato proprio il tycoon newyorchese durante la campagna per le presidenziali del 2016 a prospettare l’ipotesi di un pranzo con Kim a base di hamburger.
Il messaggio di Kim conferma il suo impegno a favore della denuclearizzazione, ha specificato un alto ufficiale della Casa Bianca. Ma le promesse della Corea del Nord non bastano a sanare i dubbi degli americani, intenzionati a continuare a esercitare la massima pressione su Pyongyang. «Le sanzioni – ha twittato Trump – rimarranno fino a quando non sarà raggiunto un accordo». Nonostante le evidenti aperture della Corea del Nord, gli Stati Uniti mantengono dunque la massima cautela. Durante il secondo mandato del presidente George W. Bush, sottolinea il Washington Post, la Corea del Nord aveva acconsentito a congelare in parte lo sviluppo dell’atomica in cambio di un alleggerimento delle sanzioni internazionali. Niente andò per il verso giusto perché il patto venne violato da nuovi test missilistici.
«Trump è apparso molto chiaro – ha confermato un portavoce della Casa Bianca – non è disposto a concedere alcuna ricompensa per l’offerta di dialogo della Corea del Nord e, anzi, si aspetta che Kim traduca in fatti quello che ha detto». Il segretario di Stato Rex Tillerson ha invitato al realismo: «Segnali postivi – ha affermato dall’Etiopia, dove si trova in visita – ma teniamo gli occhi aperti».
I possibile scenari
Victor Cha, la cui candidatura al ruolo di ambasciatore USA in Corea del Sud era stata annullata per il suo disaccordo a un attacco preventivo in Corea del Nord, dalle colonne del New York Times traccia due possibili strade ai negoziati. La prima potrebbe essere l’offerta di rifornimenti energetici, assistenza economica e alleggerimento delle sanzioni in cambio della rinuncia non solo al programma nucleare ma anche a quello missilistico di lungo raggio, un punto quest’ultimo del quale non si discute da tempo. La seconda implicherebbe l’offerta di una normalizzazione dei rapporti e la promessa di un trattato di pace per la Guerra di Corea che metta fine allo stato di ostilità tra i due Paesi. Tuttavia, al netto degli ultimi passi in avanti, avverte Cha, lo spettro di un confronto militare diretto non può dirsi del tutto da escludere. Se l’incontro tra Trump e Kim dovesse andar male, la diplomazia sarebbe a un punto morto.
Ancora due le analisi possibili sulla svolta del dittatore nordcoreano, entrambe riproposte dal Washington Post. La prima, condivisa dalla Casa Bianca, è che a spingere Kim a più miti consigli sia stato il “cappio al collo” che pende attorno al capo del suo regime. Con un Paese in ginocchio, e con di fronte la possibilità di un intervento militare americano, Kim sarebbe passato a una linea più morbida. Gli USA, infatti, avevano esplorato anche l’ipotesi di attacchi limitati, tra cui la cosiddetta opzione preventiva “bloody nose”, vale a dire un attacco diretto ai siti missilistici nordcoreani.
Al contrario, alcuni analisti scorgono maggiore sicurezza nell’atteggiamento di Kim Jong Un poiché avrebbe portato a termine il programma nucleare e pertanto, come lui stesso sostiene, sarebbe in grado di colpire il territorio americano. Raggiunto questo obiettivo, Kim si sentirebbe dunque pronto a trattare con gli USA sul piede della parità. Più probabile, però, che a spingerlo al dialogo sia stato il moderato presidente sudcoreano Moon Jae-in. Resta da capire adesso se e quando si terrà questo storico confronto.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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