«L’Europa sta affrontando una minaccia tradizionale che però si sta presentando con un volto nuovo. Per sconfiggere il terrorismo jihadista serve aumentare la cooperazione con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Sahel e creare un’agenzia europea di intelligence». Ne è convinto David Odalric de Caixal i Mata, direttore generale dell’osservatorio SECINDEF Israel-USA International Consulting Counterterrorism. Ecco la seconda parte di una lunga intervista rilasciata a Oltrefrontiera News.

È possibile una cooperazione tra le agenzie di intelligence europee?

Per quanto riguarda la valutazione, l’applicazione e lo sviluppo di politiche antiterrorismo comuni, l’UE e i suoi Stati membri hanno fatto finora pochissimi tentativi. Ciò potrebbe essere spiegato, tra gli altri fattori, dalla mancata condivisione di dati sensibili – dovuta a problemi ​​ nello scambio di informazioni d’intelligence – nonché dal mancato consenso unanime su come coordinare questo tipo di lavoro. In tal senso, le idiosincrasie dello Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia creato all’interno dell’Unione europea, sommate al sistema di governance multilivello, potrebbero contribuire a complicare i tentativi di gestire in modo appropriato le risorse a disposizione e portare avanti azioni efficaci nella lotta contro il terrorismo. Sebbene l’Unione Europea abbia raggiunto un certo grado di riconoscimento nell’ultimo decennio, l’opinione della maggioranza degli esperti è che l’UE abbia ricoperto finora un ruolo subordinato rispetto a quello svolto dai singoli Stati membri. Nell’ambito delle politiche sviluppate per la lotta contro il terrorismo, c’è da risolvere il dilemma tra la necessità di migliorare la cooperazione e la riluttanza degli Stati membri a condividere le competenze e fare affidamento su un equilibrio tra le singole comunità nazionali e la comunità europea. Ciò che è necessario è creare un’agenzia europea di intelligence per prevenire e combattere il terrorismo jihadista, ma a causa di queste divisioni all’interno dell’UE penso che sarà molto difficile ottenere questo tipo di cooperazione.

Molti esperti invocano l’adozione del modello di sicurezza israeliano per l’Europa. È una strada percorribile?

La possibilità che un aereo della EgyptAir in volo da Parigi al Cairo fosse l’obiettivo di un attacco terroristico, organizzato con la complicità dei dipendenti dell’aeroporto Charles De Gaulle, ha reso necessaria secondo molti l’“israelizzazione” della sicurezza in Europa. Fino a poco tempi fa i servizi segreti di Francia e Belgio non avevano capito che lo Stato Islamico intendeva effettivamente lanciare una Intifada a livello europeo, come hanno dimostrato gli attacchi di questi anni in diversi Paesi d’Europa. Oggi i servizi di intelligence europei sono consapevoli che ci saranno in futuro altri attacchi. Inoltre, sono stati ammessi errori grossolani di sottovalutazione del rischio soprattutto da parte dei servizi segreti del Belgio, e lo stesso governo di Bruxelles ha parlato di negligenze. È una verità inevitabile, come scrive The Economist, che gli europei dovranno adattarsi al fatto che le loro città sono ora un bersaglio del terrorismo, il che però non significa cedere al terrore. Ciò ha fatto sì che si sia imposta una nuova scuola di pensiero: solo l’“israelizzazione” del Vecchio Continente potrà prevenire e impedire altri massacri.

I cittadini europei sono pronti a un cambiamento di mentalità del genere e a modificare le proprie abitudini quotidiane?

Gli europei rimangono riluttanti perché questa opzione comporterebbe gravi restrizioni alle loro libertà individuali. Eppure, come emerso da un servizio dell’emittente televisiva Fox News, gli attacchi di Parigi del novembre 2015 si sarebbero potuti impedire se l’esecutivo francese avesse deciso di affidarsi a un software per il tracciamento dei terroristi, cosa che non ha fatto perché quel software era di origine israeliana. Questa tecnologia di raccolta dati avrebbe permesso alle autorità francesi di “unire tutti i punti” delle comunità estremiste islamiste presenti nel Paese, utilizzando le informazioni provenienti dalle agenzie di intelligence di tutto il mondo, tra cui l’Interpol. Questo sistema analizza e confronta i rapporti di intelligence frammentati provenienti da diversi database nazionali e internazionali, fornendo informazioni aggiornate sui potenziali terroristi. Israele, come noto, è una delle poche democrazie al mondo che deve affrontare una sfida costante. Confina con regimi autoritari o totalitari e con Paesi in guerra. Per questo motivo ogni giorno è chiamato a tutelare la sua sicurezza nazionale, così come quella delle minoranze, dei gruppi etnici e delle confessioni religiose che vivono nel Paese. La maggior parte degli israeliani si identifica con la cultura e con il sistema di vita dell’Occidente. Adesso è il momento che anche l’Occidente prenda esempio da Israele.

Un altro passaggio importante è il contrasto a ogni forma di radicalizzazione. Qual è, in quest’ottica, l’obiettivo che si prefiggono SECINDEF e dell’osservatorio Ocatry (Osservatorio contro la minaccia terrorista e la radicalizzazione jihadista)?

La missione di Secindef e dell’osservatorio Ocatry è collaborare con i servizi segreti e le forze di polizia per fornire loro tutte le informazioni utili per combattere il terrorismo e prevenire la radicalizzazione jihadista. Ci poniamo come un luogo di confronto aperto a esperti della materia, analisti, militari, giornalisti, psicologi, studenti universitari. Da una parte l’obiettivo è realizzare lavori di ricerca e progetti accademici focalizzati sulla prevenzione della radicalizzazione jihadista nelle comunità musulmane d’Europa e sui finanziamenti che arrivano da determinati Paesi per indottrinare nelle carceri, nelle moschee, nei centri giovanili e nelle associazioni islamiche. Dall’altra puntiamo a fornire una formazione adeguata in intelligence, antiterrorismo, geopolitica, geostrategia internazionale, radicalizzazione e profilazione, dando così un contributo concreto alla lotta contro il terrorismo jihadista.

Segue dalla Parte I