Con il mondo interamente concentrato sul dramma siriano, è passato sotto silenzio l’annuncio dell’apertura di una base navale della Marina inglese in Bahrein. La base, che si trova nel porto di Mina Salman, nella capitale Manama, ospiterà almeno 500 militari britannici e ufficialmente sarà una support facility, in appoggio alle operazioni delle grandi navi nel Golfo Persico.
La sua inaugurazione, però, non può essere letta solo in chiave “logistica”, per almeno quattro ragioni. La prima è meramente storica: Mina Salman rappresenta il ritorno di Londra nel Golfo dopo il ritiro avviato all’inizio degli anni Settanta e dopo l’abbandono della storica base di HMS Juffair, sempre in Bahrein. Questo senza dimenticare che l’indipendenza stessa del Bahrein dall’egemonia persiana fu ottenuta dagli al-Khalifa nel XIX secolo, proprio grazie a un accordo con la Gran Bretagna (rinuncia alla pirateria in cambio di difesa militare da parte di Londra).
Da questo punto storico deriva la seconda ragione: decidere di aprire una base militare in Bahrein rappresenta oggi una diretta scelta di campo nello scontro – sinora indiretto – tra Arabia Saudita e Iran. Il Bahrein vive da anni uno stato di aperto conflitto interno tra la monarchia sunnita degli al-Khalifa e la componente sciita del Paese, maggioritaria. Una crisi che ha determinato il diretto intervento dei militari sauditi nel 2011 a difesa della famiglia regnante tra le critiche della Repubblica islamica, che per bocca dei propri leader considera il Bahrein come la «14ma provincia dell’Iran». In questi anni non si contano le volte in cui Manama ha accusato Teheran di aver addestrato, finanziato e armato i ribelli sciiti per compiere attentati all’interno del Paese.
I motivi del contrasto
Le restanti ragioni da analizzare sono di natura economica e geopolitica. La terza motivazione concerne le commesse militari. Dopo la Brexit le commesse militari inglesi verso l’Arabia Saudita – grande protettore del Bahrein – sono aumentate esponenzialmente, raggiungendo oltre 1,1 miliardi di sterline solo nella prima metà del 2017. Proprio Riad, tra le altre cose, è stata una delle prime mete visitate da Theresa May dopo la nomina a Downing Street.
Non solo: qualche settimana fa, durante il viaggio di Mohammed Bin Salman (MbS) a Londra, May ha tenacemente difeso le relazioni con Riad dagli attacchi del leader del Labour Corbyn relativi alla guerra in Yemen. Sulle commesse militari Londra sta trovando un forte concorrente (o alleato?) nella Francia di Macron: alla fine di marzo 2018, dopo essersi recato negli Emirati, Macron ha visitato Riad, intrattenendosi in un lungo colloquio privato proprio con il principe saudita MbS. La visita è stata estremamente cordiale e fortemente incentrata sulla minaccia iraniana al Regno wahhabita. Qualche settimana dopo, Mohammed Bin Salman è arrivato a Parigi per concludere la firma di un importante accordo intergovernativo nel settore della Difesa, di cui ancora non sono noti i dettagli precisi.
La scadenza del JCPOA
Tutta questa partita ci porta alla quarta ragione, di natura geopolitica: dopo la decertification di Trump dell’accordo nucleare con l’Iran, si avvicina ora la scadenza del 12 maggio, quando gli Stati Uniti dovranno scegliere se restare o meno nel JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action). Scegliendo di rimandare l’accordo al Congresso, Trump ha espressamente lanciato la palla nel campo degli europei, affermando che, se davvero ci tengono ad avere Washington nella partita, devono impegnarsi direttamente a rinegoziare con Teheran.
In particolare, secondo la Casa Bianca è necessario rinegoziare il ruolo iraniano nella regione mediorientale e il programma missilistico. A sorpresa è stato proprio Macron a farsi portavoce in Europa delle ragioni americane: in questi mesi, quindi, su spinta francese è stato rilanciato il Gruppo E4 (Gran Bretagna, Francia, Germania + Italia), per convincere l’Iran a fare un passo indietro da alcuni teatri di scontro, particolarmente dallo Yemen. In più Macron sta spingendo per approvare nuove sanzioni europee contro la Repubblica islamica, per quanto concerne il programma missilistico.
Su quest’ultimo punto è nato un vero e proprio scontro diplomatico all’interno dell’Ue: Francia, Gran Bretagna e Germania, si sono dette in favore di nuove sanzioni, mentre l’Italia, sostenuta secondo la Reuters dall’Austria, ha espresso parere negativo. La posizione italiana pare essere legata al timore di perdere gli accordi commerciali con Teheran, soprattutto dopo l’approvazione nella scorsa Legge di Bilancio della norma che permette a Invitalia – agenzia del Tesoro – di assicurare (in prima istanza) investimenti in Paesi ad alto rischio come l’Iran.
Un chicco in più
Difficile prevedere come finirà il braccio di ferro all’interno dell’Unione. Ciò che è più semplice constatare è la chiara scelta di campo di Londra (e Parigi) a sostegno dell’alleanza filo-saudita. Un sostegno che, dopo l’annuncio di Bin Salman sulla disponibilità a inviare soldati in Siria, avrà certamente un impatto diretto in diverse aree calde del Medio Oriente.
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