Uno sguardo dell’Italia sull’Azerbaigian è una raccolta di articoli e interviste pubblicata da Domenico Letizia, giornalista pubblicista, presidente dell’Istituto di Ricerca di Economia e Politica Internazionale (IREPI). Su gentile concessione dell’autore pubblichiamo l’introduzione al volume firmata da Antonio Stango.
Questa raccolta di articoli e interviste testimonia un’attenzione costante, da diversi anni, di Domenico Letizia per una regione la cui importanza geopolitica non può essere sottovalutata. Il Caucaso, infatti, svolge da secoli una funzione preziosa come uno dei nodi di scambio fra Oriente e Occidente e tale funzione si è notevolmente accresciuta con la necessità, per l’Europa, di accedere con sicurezza a diverse fonti di approvvigionamento energetico che gravitano sulla regione del Caspio.
Inoltre l’Azerbaigian ha un ruolo politico chiave per la sua collocazione – non soltanto geografica, ma anche e soprattutto storica e culturale – fra la Russia, l’Iran e la Turchia: tre dei principali attori delle relazioni internazionali, con i quali, nel bene o nel male, è inevitabile confrontarsi.
Quattro sono le principali aree tematiche che ricorrono negli articoli: il conflitto del Nagorno-Karabakh; la situazione e le prospettive di sviluppo economico e commerciale, in particolare per quanto riguarda le relazioni tra l’Azerbaigian e l’Italia; il modello di Stato laico, che proprio in quanto laico può consentirsi un’apertura al multiculturalismo che sarebbe altrimenti impossibile; e l’attenzione delle istituzioni dell’Azerbaigian per le pari opportunità di genere. Letizia sceglie infatti di evidenziare le caratteristiche positive del Paese, impegnato a cercare di superare i limiti e i condizionamenti determinati dalla storia e dai delicati equilibri della regione.
Se l’estrazione, il trasporto e l’esportazione di idrocarburi costituiscono la base per la ricchezza economica dell’Azerbaigian (alla quale si affianca una produzione agricola rilevante e in via di ulteriore valorizzazione), una ricchezza anche maggiore a mio parere consiste nella citata laicità dello Stato, tanto più se si considera che alcuni suoi vicini adottano una formula politica basata su interpretazioni estremiste di una religione e sulla discriminazione di chiunque non vi si adegui.
L’esempio nella regione di uno Stato la cui popolazione è in maggioranza di tradizione islamica e che consente non una semplice tolleranza, ma la libera convivenza nel reciproco rispetto di persone praticanti diverse religioni o che non ne praticano alcuna è un fattore di stabilità; ed è in questo che ritengo possa trovarsi la chiave per la soluzione di molte delle minacce alla sicurezza internazionale che traggono origine dal fondamentalismo o che da esso sono alimentate.
Non è un caso che l’Azerbaigian sia particolarmente attivo nel “Decennio internazionale per l’avvicinamento delle culture” (2013-2022) proclamato dall’UNESCO, con l’organizzazione di forum e altri eventi di alto livello che mirano a rendere quel principio qualcosa di più di una proclamazione di intenti.
In un sistema delle Nazioni Unite tutt’altro che perfetto, occorre del resto utilizzare in modo coerente almeno alcuni dei suoi meccanismi. L’Azerbaigian si è impegnato, ad esempio, rispetto agli otto “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” fissati dalle Nazioni Unite nel 2000 per conseguire entro il 2015 progressi significativi: sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo; rendere universale l’istruzione primaria; promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; ridurre la mortalità materna; combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; e promuovere un partenariato mondiale per lo sviluppo.
C’è un altro principio, di estrema importanza, per la diffusione del quale l’UNESCO dovrebbe fare molto di più e la cui mancata attuazione condiziona pesantemente la regione: quello della storia condivisa. Nel caso del conflitto del Nagorno-Karabakh, con una situazione sul campo ‘congelata’ dal 1994 (ma con gravi episodi di violazioni del cessate il fuoco, anche negli ultimi anni), la speranza che un giorno si possa giungere ad una valutazione condivisa da parte di Armenia ed Azerbaigian è oggi quasi inconsistente.
Tuttavia, occorre non abbandonare i tentativi di favorire un processo di pacificazione – che non potrà che basarsi sull’analisi obiettiva dei dati di fatto e sul rispetto del diritto internazionale. I dati di fatto includono, tra l’altro, il massacro di Khojali del 1992 – cui sono dedicati diversi degli articoli qui raccolti e le cui responsabilità dovrebbero essere sottoposte a una corte internazionale – e l’occupazione da parte armena non soltanto del Nagorno-Karabakh, ma anche di sette distretti azerbaigiani adiacenti, cosa che ha fra le sue conseguenze il dislocamento di centinaia di migliaia di azeri.
Notevole a questo proposito la sentenza del 16 giugno 2015 sul caso “Chiragov e altri contro Armenia” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo: che – chiamata a pronunciarsi su un ricorso contro la Repubblica di Armenia presentato nel 2005 da sei cittadini azeri, costretti con la forza ad abbandonare il distretto di Lachin, ha stabilito che l’Armenia aveva violato l’Articolo 1 (protezione della proprietà) del Protocollo numero 1 alla Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché l’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’Articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione stessa. La Corte, infatti, respingendo la tesi del governo armeno secondo il quale esisterebbe uno Stato indipendente del Nagorno-Karabakh (peraltro non riconosciuto nemmeno dall’Armenia) e le proprie truppe non vi sarebbero coinvolte, ha affermato che l’Armenia esercita sul Nagorno-Karabakh e su quei distretti un controllo effettivo. Bene fa dunque Letizia a richiamare quella sentenza, nonché le quattro Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 1993 e vari atti del Parlamento Europeo e dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa che chiedono il ritiro delle forze armate armene e il ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian.
L’Italia – come ricordano alcuni degli articoli e le interviste agli ambasciatori dei due Paesi che qui si propongono – è fra i principali partner dell’Azerbaigian sia nell’interscambio commerciale che nello sviluppo di infrastrutture. A mio avviso, dovrebbe quindi svolgere un ruolo maggiore nell’ambito dei tentativi internazionali di trovare una soluzione al conflitto, affidati dal 1994 soprattutto al “Gruppo di Minsk”. La presidenza annuale della OSCE nel 2018 e la partecipazione alla ‘trojka’ della stessa OSCE nel 2019 sono per l’Italia una sfida, della quale il Nagorno-Karabakh è uno degli aspetti più rilevanti.
Redazione
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