Il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il presidente eritreo Isaias Afwerki hanno firmato una dichiarazione che pone fine allo stato di guerra tra i due Paesi. La firma del documento è arrivata oggi, lunedì 9 luglio, dopo lo storico incontro tra i due leader avvenuto ieri ad Asmara, capitale dell’Eritrea, il primo dopo oltre un ventennio di gelo diplomatico seguito alla guerra del 1998-2000. L’intesa per la fine dello stato di guerra prevede la ripresa del traffico aereo e navale e la possibilità per le persone di circolare tra i due Paesi, la riapertura delle ambasciate, il riallacciamento delle linee telefoniche tra i due Stati. Inoltre l’Eritrea concederà all’Etiopia, priva di sbocchi sul mare, l’utilizzo dei suoi porti.
Il disgelo tra i due Paesi arriva a pochi mesi dall’entrata in carica del nuovo primo ministro etiope, il riformatore Abiy Ahmed di etnia oromo, il gruppo etnico maggioritario nel Paese marginalizzato dal governo centrale di Addis Abeba. Prima della sua nomina era impensabile che l’Etiopia avrebbe accettato di riconoscere all’Eritrea il controllo di Badammé, motivo del conflitto scoppiato nel 1998. Alla guerra di confine, in cui morirono oltre 70mila persine, fu posto formalmente fine con la firma di un accordo di pace nel dicembre del 2000. Tuttavia, da allora l’Etiopia si è sempre rifiutata di accettare la sentenza definitiva di una Commissione indipendente in base alla quale il territorio conteso era stato assegnato all’Eritrea.
Storia della crisi tra i due Paesi
Tra Etiopia ed Eritrea i rapporti sono tesi da decenni. A fasi alterne al confine tra i due Paesi si sono verificati scontri o attacchi diretti da parte dell’esercito etiope che rivendicava il controllo di Badammé, località situata nella regione di Gasc-Barca, assegnata all’Eritrea da una commissione ad hoc istituita dalle Nazioni Unite per porre fine alle dispute territoriali riaccesesi alla fine degli anni Novanta.
La disputa tra i due Paesi affonda però le proprie radici già nella metà del secolo scorso. Con il ritiro dei colonizzatori italiani, nel 1950 l’Eritrea diventava un’unità autonoma federata all’Etiopia. Ma nel 1962 la degradazione a semplice provincia dell’impero etiope scatenò una reazione indipendentista guidata dal Fronte Popolare per la Liberazione dell’Eritrea (FPLE). La guerra si concluse nel 1991 con la conquista di Asmara e Assab da parte del Fronte. Due anni dopo venne proclamata l’indipendenza nazionale dell’Eritrea con la nomina di Isaias Afewerki a presidente, dittatore tuttora in carica.
Nel 1998 le tensioni con l’Etiopia, relative alla striscia di territorio della città di Badammé al confine tra i due Stati, sono sfociate in una guerra che si è conclusa formalmente nel 2000 con la firma del Trattato di Algeri e l’invio di una missione di pace delle Nazioni Unite (UNMEE, United Nations Mission in Ethiopia and Eritrea), il cui mandato è stato ritirato nel 2008.
Da allora, gli attriti non sono mai definitivamente scemati in quanto Addis Abeba ha continuato a non riconoscere lo status di annessione di Badammé all’Eritrea, mantenendo le sue truppe nell’area di confine, fortemente militarizzata. Negli ultimi anni i due governi hanno proseguito a lanciarsi puntualmente accuse reciproche di attacchi o di sostegno a gruppi ribelli. Nel 2012 l’Etiopia ha attaccato una base militare eritrea accusando il governo di Asmara di sostenere attività terroristiche oltre i suoi confini. I disordini più gravi risalgono soprattutto al 2016. Nel febbraio di due anni fa Addis Abeba ha accusato l’Eritrea di fomentare manifestazioni antigovernative verificatesi nella regione etiope di Oromia. Mentre a giugno dello stesso anno c’è stato uno sconfinamento in territorio eritreo di truppe del TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, membro della coalizione EPRDF-Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front al potere in Etiopia) nella zona di Tserona, 130 km a sud di Asmara, nell’Eritrea meridionale. Con la nomina nell’aprile scorso di Abiy Ahmed a primo ministro dell’Etiopia l’inizio della fase di disgelo, culminata oggi con la firma della dichiarazione che pone fine allo stato di guerra.
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