Sta facendo molto discutere l’accordo tra la Santa Sede e Pechino per la nomina dei vescovi cinesi. Parecchi esponenti ecclesiastici e fedeli sono contrari, ma il compromesso raggiunto potrebbe consentire a Papa Francesco di risolvere un’annosa questione e inaugurare rapporti più cordiali con la maggiore potenza asiatica.
LA LUNGA DIVISIONE DEI CATTOLICI CINESI
La dicotomia interna della Chiesa cinese, divisa tra l’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi (Zhōngguó tiānzhǔjiào àiguó huì 中国 天主教 爱国 会) e la Chiesa clandestina(sotterranea, dìxià 地下), viene in qualche modo avviata a soluzione, nell’ottica di un percorso di pace in un mondo globalizzato e devastato anche per motivi religiosi. Con l’accordo appena raggiunto si cerca una rinnovata comunione tra il popolo di Dio cinese, guidato da vescovi nominati illegittimamente dal Governo di Pechino e fuori dalla comunione con Roma, cui si aggiungono i vescovi nominati dal Papa, ma non riconosciuti dalle Autorità locali, i vescovi legittimati ex post e quelli considerati legittimi in quanto, prima di essere nominati dal Governo, hanno autonomamente provveduto a chiedere l’investitura episcopale al Romano Pontefice. L’accordo, definito provvisorio, non è ancora stato reso noto, probabilmente per consentire un reciproco adeguamento in itinere delle criticità che si dovessero eventualmente verificare. Le reazioni suscitate da questa sorta di appeasement sono molteplici e svelano nodi irrisolti e questioni che risalgono al passato e che intercettano una cultura, quella confuciana, cui Xi Jinping attinge copiosamente per dare spessore all’ideologia comunista, di non facile comprensione per la mentalità occidentale.
I PRODROMI DELL’ACCORDO
La Santa Sede aveva già posto da diversi anni le basi per un dialogo proficuo, delineando procedure percorribili, in particolare dopo la Lettera del 2007 destinata ai fedeli cinesi, in cui il Papa Benedetto XVI ricordava l’importanza della profonda unità della Chiesa, fondata sulla stessa fede e sul comune Battesimo, sull’Eucaristia e sull’Episcopato, perpetuato da Pietro fino al Romano Pontefice mediante la successione apostolica (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 26). La lettera non evitò momenti di tensione per l’ordinazione illegittima di alcuni vescovi, che comunque mantenevano vivo, come scritto da papa Ratzinger nel suo libro Luce del mondo (2010), l’anelito alla comunione con la Chiesa universale. I contatti sono proseguiti su un piano squisitamente religioso, senza aprire la questione dei rapporti diplomatici, che costituiscono ancora un ostacolo enorme, risalente agli inizi del Novecento, dopo la caduta dell’Impero Qing, nella contrastata nascita della Repubblica cinese, dilaniata da tre decenni di guerra civile, cui misero fine le truppe di Mao quando conquistarono, nel 1949, il controllo della Cina continentale fondando la Repubblica Popolare Cinese, mentre le forze conservatrici, identificate nel Guomindang, riparavano a Taiwan, dove fondarono la Repubblica di Cina.
CHIESA E REPUBBLICA POPOLARE CINESE
La contrapposizione tra blocchi della Guerra fredda, che esplicitava il contrasto tra il mondo liberale occidentale e i regimi comunisti, e la politica interna del Partito comunista cinese, tesa a evitare ogni interferenza straniera che potesse minacciare il nuovo modello socialista, determinarono la rottura tra Cina e Santa Sede che si consumò negli anni Cinquanta, dalla bolla di Papa Pio XII Cupimus Imprimis del 1952 a quella Ad Sinarum Gentem del 1954, fino a quella Ad Apostolorum Principis del 1958.
La Chiesa mantenne così una presenza costante e pregnante solo nell’isola di Formosa e a Hong Kong. Nel continente, invece, soprattutto al tempo della rivoluzione culturale e durante i disordini che culminarono con i fatti di Tiananmen del 1989, molti cattolici, con i loro pastori, divennero un facile bersaglio ideologico. Con la svolta operata da Deng Xiaoping e l’avvento di Giovanni Paolo II, la pazienza della Chiesa cinese cominciò a dare i suoi frutti. Questi anni di persecuzione spiegano perciò le inquietudini del cardinale emerito di Hong Kong e di molti cattolici, preoccupati dalle scelte vaticane.
LO SCOGLIO DI TAIWAN
Una seconda considerazione riguarda il rispetto del principio dell’unica Cina, per cui non viene considerato interlocutore chiunque abbia un qualsivoglia rapporto diplomatico con Taiwan. La Santa Sede riconosce la Repubblica di Cina e, da un punto di vista cinese, il solo approcciarsi a chi non riconosca come Governo legittimo quello di Pechino è prova di un enorme sforzo diplomatico, che in Occidente non è percepito nella sua reale portata. D’altro canto a Taipei ha sede la nunziatura apostolica, a capo di una comunità cattolica viva e influente, per la quale il Papa ha evitato di nominare un nuovo nunzio, lasciando in loco solo un incaricato di affari. La scelta, oculata in una prospettiva di pacificazione col continente, ha però procurato una dolorosa reazione dei fedeli taiwanesi, esplicitata dai vescovi in una recente visita ad limina Apostolorum.
IL BEIJING CONSENSUS
La terza considerazione riguarda la credibilità della Cina del terzo millennio. Lo Stato di Mezzo ha elaborato nuove modalità di relazioni internazionali, volte a modellare una politica estera funzionale alle dottrine economiche e sociali che hanno supportato la trasformazione avvenuta in Cina dopo il 1978. Il modello, che si esplicita nel Beijing consensus, tassello indispensabile per il successo del faraonico progetto delle vie della seta (l’OBOR), con cui Xi Jinping sta mettendo in gioco non solo il proprio potere, ma il futuro di più di un miliardo di persone, è infatti fondato su una sostanziale apertura verso il mondo esterno, di cui la Chiesa cattolica è certamente protagonista come autentica portavoce, soprattutto con Papa Francesco, delle istanze degli ultimi, dispersi nelle periferie del mondo, e della necessità del dialogo come unica speranza di pace. In questo contesto le aspirazioni del Dragone a conquistare una leadership indiscussa a livello mondiale superano di molto la tradizione di un Paese che, per quanto autodefinitosi sempre al centro del mondo (Zhōngguó 中国), guardava soprattutto al proprio “cortile di casa”. Oggi questa ipotesi di accordo con la Chiesa mette alla prova la reale volontà di apertura del Governo di Pechino, e, per la Chiesa, la realizzazione concreta di un rinnovato slancio missionario che approcci tutti gli uomini di buona volontà, come ricorda la Gaudium et Spes (39, 40).
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