Come nei sondaggi che avevamo evidenziato, se non peggio, il Brasile al primo turno elettorale evidenzia una profonda spaccatura ideologica nell’espressione del voto. Crollano le percentuali di terzi incomodi a quella che sin dall’inizio è apparsa come la reale sfida per la leadership nel paese: da un lato il partito lulista (Partido dos Trabalhadores, PT) e dall’altro l’estrema destra (Partido Social Liberal – PSL) rispettivamente Fernando Haddad (che guadagna il 29,3% circa dei voti) e Jair Bolsonaro (che ottiene il 46% circa dei voti). Due opposti che si ritroveranno al vaglio dell’elettorato il prossimo 28 ottobre per il verdetto finale che lascia già abbastanza perplessi. Ovviamente nulla è ancora stato scritto e molto dipenderà dal ripristino di una campagna elettorale che sino ad oggi ha visto poco dell’effettiva programmazione politica del PSL. Infatti, Bolsonaro, a seguito dell’attentato subito il 6 settembre, non è potuto essere attore protagonista della propria campagna elettorale e quindi solo in questa seconda fase potrà realmente rispondere in prima persona del programma che intenderà attuare se diventerà presidente. Dall’altro lato Haddad è alle prese con una faticosa risalita nei sondaggi essendo passato da eventuale vicepresidente di un governo guidato da Lula a leader di un movimento orfano del suo candidato più forte. Un passaggio di consegne avvenuto solo a inizio settembre e che ha visto Haddad protagonista di un’intensa campagna ricca di slogan lulisti (per evitare di perdere contatto con quell’elettorato fortemente legato al carisma di Lula). Il risultato per Haddad, se considerato sulla base di queste premesse, non è stato per nulla negativo, ma evidenzia come lo stesso candidato non possa ridurre l’intensità del proprio lavoro in questa seconda fase. La strada da qui al 28 ottobre per il PT sarà costellata non solo da uno sforzo immane nel tentativo di scardinare lo scetticismo di chi non ha votato il PT per l’assenza di Lula, ma anche e soprattutto da un’intensa trattativa diplomatica per tessere nuove alleanze con gli sconfitti del primo turno. Non a caso Haddad si è sin da subito detto disponibile verso chiunque voglia aprire un dialogo e costruire una maggioranza e ciò non fa altro che proiettare il PT in una rete di trattative politiche volte ad erodere consensi e alleanze al PSL e a Bolsonaro.
Ma come detto, nulla è ancora stato scritto e il passato dimostra come la forbice dei consensi può restringersi o allargarsi nel secondo turno elettorale. Nel 2014 la stessa Rousseff aveva ottenuto al primo turno oltre il 41% dei consensi per poi ritrovarsi al secondo turno elettorale con 51,6% dei voti ovvero un vantaggio esiguo e costruito su alleanze poi ribaltate in apertura del 2016 (nella fattispecie parliamo del Partito del Movimento Democratico Brasiliano – PMDB). Come detto molto dipenderà dal percorso che i due partiti contendenti faranno da qui al 28. Interessante oggi osservare come sia confermata la provenienza geografica del voto: come nel 2014 il PT è oggetto del favore delle aree più povere del paese e quindi di quelle che usufruiscono maggiormente degli investimenti sociali intrapresi dalle amministrazioni socialiste che si sono susseguite negli anni passati. A dare il sostegno alla compagine politica neoliberale sono le regioni del sud del paese ovvero quelle catalizzatrici del dinamismo economico del paese. Da qui partono gli investimenti e l’imprenditoria privata del paese e qui albergano gli interessi verso la possibilità di un forte ridimensionamento dell’attivismo economico del settore pubblico in favore di un espansionismo dell’investimento privato.
Ma ad oggi possiamo solo concentrare la nostra attenzione sul verdetto del 7 ottobre ovvero sulla conformazione del nuovo parlamento brasiliano. 513 seggi che fino a ieri vedevano ben 58 seggi assegnati a PT, 49 al PMDB e solo 10 al PLS. Per il resto altri 253 seggi son finiti con il confluire nella nuova maggioranza capitanata dal PMDB del presidente (oggi uscente) Temer e i restanti 152 sono rimasti fedeli al PT. Il senato invece vedeva 23 seggi al PMDB, 9 al PT e 0 per il PSL. Con il voto di ieri invece in Parlamento il PLS ottiene ben 52 seggi contro i 56 del PT mentre il PMDB scende a 34 seggi (rispecchiando il malcontento nei confronti dell’operato di Temer) e per il resto esiste una frammentazione dei seggi tale da spingere alla conclusione che ogni decisione legislativa dovrà passare da un forte lavoro diplomatico volto a consolidare alleanze politiche oggi ancora (in alcuni casi) ancora in divenire. Per il senato invece il PMDB scende a 12 seggi (a conferma di quanto accaduto in parlamento) mentre il PSL passa da 0 a 4 seggi contro i 6 del PT (anche qui si riscontra un calo). Ecco dunque il quadro dell’organo legislativo del Brasile che da qui al 28 ottobre dovrà trovare una propria stabilità sulla base di nuove e vecchie alleanze che se da un lato potranno dare stabilità a una leadership, dall’altra ne potranno minare il percorso qualunque esso sia.
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