Da quando nel giugno del 2017 il 32enne Mohammed bin Salman, MbS, fu nominato erede al trono il suo scopo dichiarato è stato cambiare il volto dell’Arabia Saudita, attirando investimenti esteri e mostrandosi come un innovatore, ma in tanti hanno storto in naso davanti a questa apparente opera di modernizzazione. Quel che invece sembra aver cambiato il giovane principe è stata la tradizionale abitudine usata da Riad ad agire dietro le scene nei contesti internazionali.
Ad opporsi al suo programma di riforme e a quella che viene vista un’opera di “occidentalizzazione” ci sarebbe un nutrito gruppo di studiosi e di religiosi sauditi che non aspetta altro che il suo allontanamento e vedrebbe come come ottima ragione il caso del giornalista ucciso a Istanbul Jamal Khashoggi.
Nella sua ascesa al potere, ma anche successivamente, MbS si è guadagnato l’astio di molti principi e di membri influenti della famiglia reale che hanno perso i privilegi e le vecchie posizioni. Alcuni sono stati sequestrati l’anno scorso all’interno del Ritz-Carlton di Riad con l’accusa di corruzione, ad altri è stato negato il permesso di viaggiare e altri ancora sono stati messi a tacere con la minaccia di essere rapiti. Uno dei figli dell’ex re Abdullah, che è stato anche governatore di Riad, è in carcere, mentre uno dei suoi fratelli si nasconde in Europa con la paura di essere catturato.
Tra i possibili nemici interni di MbS c’è il principe Ahmed bin Abdulaziz al Saud, di 73 anni, che è stato uno dei candidati a succede al re Salman, suo fratello. Ahmed è uno dei figli ancora in vita del fondatore del regno e insieme al re fa parte del blocco dei “Sudairi Seven”, una potente fazione della famiglia reale che ha condiviso la tradizione di trasferire lo scettro del potere da fratello a fratello. Quando tuttavia MbS è stato nominato erede al trono si è interrotta la catena di successione dinastica. Il principe Ahmed ha infiammato i cuori dei rivali di MbS il mese scorso quando è apparso in un raro video girato a Londra in occasione di una manifestazione di protesta contro la famiglia reale e la guerra in Yemen. Parlando alla folla, Ahmed sembra aver chiesto a chi protestava il motivo per cui criticava lui o gli altri membri della famiglia reale saudita invece di incolpare suo fratello e suo nipote, re Salman e il giovane bin Salman. L’anziano principe avrebbe anche auspicato la fine della guerra in Yemen “oggi prima ancora di domani”. Molti osservatori hanno visto in tali affermazioni un tentativo di prendere le distanze dalla leadership saudita, ma successivamente Ahmed bin Abdulaziz si è preoccupato di smentire i suoi commenti, spiegando che sarebbero stati interpreti male. Ahmed avrebbe infatti aggiunto di aver semplicemente detto che il re e suo figlio sono i responsabili delle decisioni dello Stato. Intanto, è rimasto nella capitale britannica e non sembra intenzionato a tornare in Arabia Saudita. Come conseguenza, molti detrattori di MbS hanno giurato pubblicamente fedeltà ad Ahmed bin Abdulaziz e su Twitter sono comparsi account anonimi che, inneggiando al principe, lo hanno indicato come sostituto di MbS e possibile nuovo re.
Il principe Mohammed bin Nayef, ex erede al trono, resta rinchiuso nella propria casa, dopo che l’anno scorso suo cugino più giovane, Mohammed bin Salman appunto, gli ha confermato gli arresti domiciliari. La moglie e le due figlie di Mohammed bin Nayef all’inizio del 2018 hanno scoperto che i loro conti correnti aperti presso una banca saudita erano stati completamente prosciugati. Il principe gode all’estero di una buona reputazione, in particolare tra i Paesi occidentali, grazie all’impegno dimostrato nella lotta al terrorismo jihadista. La sua campagna contro Al Qaeda iniziata nel 2003 gli ha fruttato anche una medaglia da parte della CIA, riconoscimento che gli venne conferito nel 2015, alcune settimane prima che gli fosse negato il titolo di erede al trono. Secondo la versione dei sauditi, Mohammed bin Nayef avrebbe rinunciato lui stesso al trono a favore di MbS. Bin Nayef ha però anche la fama di essere un uomo particolarmente spietato, per il modo in cui ha perseguitato e torturato oppositori e attivisti, e molti in Arabia Saudita lo accusano di aver strumentalizzato la guerra al terrorismo per strozzare le voci dissidenti. MbS silurò il cugino, che era a capo del Ministero degli Interni, privando lo stesso dicastero dei suoi poteri in materia di intelligence e controterrorismo. Come alternativa, è stata istituita un’agenzia, la Presidency of State Security, che fa riferimento direttamente al re e che può condurre indagini, ricerche, catturare e perseguire penalmente e civilmente le persone senza alcun controllo giuridico. Le nuove norme sul controterrorismo hanno ampliato il potere di controllo del regime, come la possibilità di imprigionare gli oppositori per periodi anche lunghi e con motivi pretestuosi quali l’offesa generica alla religione e alla giustizia. I contrasti tra MbS e suo cugino sarebbero da far risalire a quando l’attuale erede al trono venne nominato Ministro della Difesa e al momento in cui gli vennero attribuiti importanti compiti, come la gestione della politica estera, dell’economia e la guida della compagnia petrolifera nazionale, il gigante Saudi Aramco. Le divergenze tra Mohammed bin Nayef e Mohammed bin Salman si sarebbero estese in passato anche alla crisi con il Qatar. La famiglia reale saudita si sarebbe spaccata intorno alle posizioni dei due cugini, i membri più anziani avrebbero appoggiato il primo, incline a una soluzione più morbida, mentre quelli più giovani avrebbero sposato le idee di MbS, favorevole a un blocco economico.
Re Salman, le cui condizioni di salute non gli permettono di concentrarsi più di poche ore al giorno sugli affari del regno, stando ad alcune cancellerie occidentali, dovrebbe provare a limitare i margini di manovra del suo figlio prediletto. L’unico capace di convincere il re a dividere il potere di MbS con altri rispettabili esponenti della famiglia regnante è il pacato e saggio principe Khalid, non a caso inviato da Riad a trattare con Ankara per il caso Khashoggi. Il fratello di Khalid, Turki al Faisal, è stato per molto tempo amico dell’editorialista del Washington Post, all’epoca in cui Khashoggi lavorava per l’establishment saudita e prima che diventasse un aperto contestatore dell’erede al trono MbS.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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