Una coltellata che gli è valsa l’elezione. L’odio sociale e la difficile situazione del Brasile hanno portato Jair Messias Bolsonaro, già soprannominato “Il Trump brasiliano”, a ottenere un 55,2% con il PSL, che gli è valso la presidenza del paese. A seguire, la nomina di 13 nuovi governatori che spazzano via la vecchia gestione di sinistra che resiste solo nel nord est. Per il resto, si chiude l’epoca di Lula e del progetto progressista che in tredici anni al potere ha prodotto ben poco rispetto alle speranze dei brasiliani.
Con una campagna elettorale dai toni aggressivi e un continuo ricorso a cavalli di battaglia come la lotta alla corruzione, ai criminali, e alla necessità di maggiore sicurezza e armi per la difesa personale, l’astro nascente dell’ultradestra carioca ha superato il favorito Fernando Haddad ed è passato in testa, a partire già dallo scorso settembre quando una coltellata all’addome, ricevuta da un suo “odiatore politico”, ha cambiato la narrazione della campagna elettorale e gli ha spalancato le porte della presidenza.
«Gli va riconosciuto il merito di aver capito, da solo, che la corruzione diffusa è un tema fortissimo, così come la tragedia dei 62.000 morti ammazzati all’ anno, record imbattibile in un Paese non in guerra. I rappresentanti dei partiti tradizionali, il Pt di Lula in primis, non sono riusciti a seguirlo, essendo piuttosto i responsabili di quei disastri» scrive di lui il Corriere della Sera.
Da trent’anni al congresso dove ha cambiato ben nove partiti, ex capitano dell’esercito e noto per le sue posizioni estreme (specie in tema di diritti), Bolsonaro è un personaggio difficilmente inquadrabile, di certo trasversale, che è riuscito a imporre la sua povertà di linguaggio – a tratti davvero volgare – e a portare dalla sua i contadini, gli elettori evangelici, i milioni di poveri della favelas, e tutte quelle persone che temono anzitutto la condizione violenta in cui è precipitato il paese, complici l’ammiccamento a una conduzione dittatoriale della presidenza e la difesa strenua della famiglia tradizionale.
Dietro alla sua elezione c’è chi spera (e anche chi teme) il gonfiarsi ulteriore delle bandiere del populismo, che già sventolano alte in Nord America e in buona parte d’Europa. Di certo, l’economia viene prima di tutto. E da oggi per il Brasile parte una sfida in salita. Ma la sostanza è che la saturazione del popolo per l’incapacità politica di tradurre parole in fatti ha prodotto Bolsonaro: a chi gli chiede un governo di cambiamento, dunque, ora il neopresidente dovrà rispondere colpo su colpo. E, a proposito d’Italia, si attende di capire se darà seguito alla promessa, come dichiarato, di riportare l’ex terrorista Cesare Battisti in Italia perché sconti i crimini per i quali è stato condannato in contumacia. Per il governo di Roma, sarà un primo test della serietà del personaggio.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
Il bivio tra democrazia e dittatura
19 Nov 2024
L’economista Giorgio Arfaras, in libreria dal 1° novembre con il saggio Filosofi e Tiranni, edito da Paesi Edizioni. Il…
Come fare impresa nel Golfo
16 Ott 2024
Come aprire una società in Arabia Saudita? Quali sono le leggi specifiche che regolano il business nel Paese del Golfo…
La crisi della democrazia negli Stati Uniti
14 Lug 2024
Che America è quella che andrà al voto il 5 novembre 2024 per eleggere il suo presidente? Chi vincerà lo scontro tra…