L’avanzata delle truppe della SDF ad Hajin (nel governatorato di Deir Ezzor) ha relegato la presenza di Isis ormai nella sola Idlib, in quella che, militarmente parlando, sembrerebbe la parabola discendente dello Stato Islamico.
Dopo mesi di relativa assenza dalle cronache occidentali, i tragici fatti di Strasburgo hanno smentito la percezione dello Stato islamico come minaccia debellata, almeno nella sua dimensione terroristica, riconfermando lo stato di allerta che ha accompagnato l’Europa in questi anni.
Il terrorismo è infatti un tratto sintomatico della strategia di Isis che sembra manifestarsi con questo schema: il ricorrere ad atti di terrorismo in Europa per falsare la percezione delle sue sconfitte in Siria, in un alternarsi di guerra di posizione e guerra delocalizzata.
Ma Isis non nasce ab origine come organizzazione terroristica, bensì come Stato riconosciuto da Allah, come dichiarato da Al Baghdadi (il quale, allo stato attuale, si nasconderebbe proprio a Deir Ezzor) nel famoso discorso ai fedeli dalla moschea di Al-Nusra.
Questo ha reso Daesh un ibrido interessante e forse unico nella storia. Isis è stato infatti da una parte un’entità statale, che per quanto autoproclamatasi e non riconosciuta a livello internazionale, esercitava un potere su di un luogo fisico, ovvero in Siria, Iraq e i wyalat sparsi per il mondo; territori su cui Daesh esercitava un potere sovrano, alternando mistica di guerra e pubblica amministrazione.
L’altra faccia di Daesh si è manifestata nella sua forma parcellizzata: quella dei fedeli radicalizzati sul territorio occidentale, responsabili di stragi e attentati. E’ difficile definire i contorni di questa minaccia, in quanto questi ultimi sono spesso a metà tra soldati politici e disperati, per cui il terrorismo è spesso una risposta estemporanea a un’esistenza precaria e insoddisfacente, senza che vi sia una struttura organizzativa alle spalle.
Questa dimensione liquida del terrorismo islamico lo rende da una parte un fenomeno probabilmente sopravvalutato a livello di nuclei operativi attivi e organizzati sul territorio europeo, dall’altro e forse proprio per questa sua difficile tracciabilità, una minaccia ancora temibile.
Pertanto, nell’economia strategica di Isis il terrorismo è piuttosto una tattica di combattimento a buon mercato (non come per Al-Qaeda un tratto distintivo): se perde nel vero conflitto in cui è impegnato, questi atti di guerra delocalizzati ad alto impatto mediatico falseranno la percezione internazionale circa le sue perdite, aumentandone il magnetismo tra i seguaci e la paura tra gli avversari.
Se dunque Isis non risulta ancora invitto nella sua dimensione terroristica, il manifestato disimpegno di Trump in Siria sembrerebbe confermarne il tramonto militare, dando adito alla percezione che più che a un esercito fondamentalista ci si trovi davanti a nugolo di predoni dediti a razzie e attività criminali poco ortodosse.
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