A giudizio pressoché unanime degli studiosi e degli analisti, nell’ambito delle Primavere arabe la Tunisia rappresenta il caso di maggiore successo, a causa della sua transizione non sanguinosa che ha portato ad un sistema costituzionale riformato.

Uno dei “gioielli” della riforma risulta però appannato: la Corte costituzionale.

l’Instance provisoire chargée du contrôle de la constitutionnalité des projets de loi (IPCCPL), prevista dall’art. 148-7 Cost. (2014), doveva essere sostituita dalla Corte costituzionale. L’IPCCPL, ancora attiva, ha il compito di controllare i progetti di legge non ancora promulgati dal Presidente della Repubblica, provenienti dall’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP) o dall’Assemblea Nazionale Costituente.

Il limite dell’IPCCPL è che non si può pronunciare su leggi già promulgate, poiché concepito come organo provvisorio nelle more della formazione della Corte costituzionale. L’IPCCPL è composta da 6 membri: i presidenti della Corte di cassazione, del Tribunale amministrativo, della Corte dei conti e da 3 membri con competenze giuridiche eletti dal Presidente della Repubblica, dal capo di Governo e dal Presidente dell’Assemblea nazionale costituente (attualmente sono: Brahim Majri, Faouzi Ben Hamed, Abdellatif Kharrat, Sami Jerbi, Leila Chikhaoui e Lotfi Tarchouna).

La Corte Costituzionale, che avrebbe avuto il ruolo fondamentale di controllare la costituzionalità delle leggi, è prevista dall’art. 118 della Costituzione del 2014, che la definisce: istituzione giurisdizionale indipendente composta da 12 membri, con esperienza di almeno 20 anni. Almeno i 2/3 dei membri devono essere esperti di diritto. Dei 12 membri, 4 vengono scelti dal Presidente della Repubblica, 4 designati dal Consiglio Superiore della Magistratura e 4 dall’ARP. Ogni membro per essere eletto deve ottenere un minimo di 145 voti su 217 seggi.

Ci sono stati diversi tentativi di formare la Corte. L’ultimo risale al 14 marzo 2018 ed il suo fallimento è stato causato dalla mancata elezione di 3 membri da parte dell’ARP. Finora solo il candidato Raoudha Ouersighni è stato eletto, mentre nessuno degli altri ha ottenuto la soglia minima prevista.

La mancata nomina è riconducibile al conflitto politico tra i conservatori di Ennahda e i modernisti di Nidaa Tounes, entrambi interessati ad avere i propri rappresentanti nella Corte.

La Corte costituzionale andrebbe così a sostituire il vecchio e inutile Conseil d’État e ciò rappresenterebbe, a detta di molti costituzionalisti, un grande successo per la Tunisia.

In merito, il Professor Ciro Sbailò, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi internazionali di Roma – UNINT, ha più volte fatto notare come l’introduzione di una vera Corte Costituzionale andrebbe a dissuadere i movimenti islamici dall’insistere sull’inserimento della Sharia nella Costituzione, poiché una Corte laica avrebbe il potere di stabilire se una norma è coerente o meno con la Sharia.

Il Professore ci spiega, inoltre, che l’Islam ha un ruolo molto importante in Tunisia. L’art. 1 della Costituzione del 2014, infatti, ribadisce: “La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano, la sua religione è l’Islam…” Il Presidente della Repubblica deve essere tunisino, musulmano, figlio di genitori tunisini. L’Islam, in ogni caso, non è solo religione di Stato, ma anche elemento “identitario” e di coesione per il popolo.

Non a caso, uno dei principali partiti è quello di Ennahda: un partito affiliato ai Fratelli Musulmani, sostenitore dell’Islam popolare e dello Stato “civile”, ovvero della possibilità di una via islamica alla democrazia.

Per questo motivo, Ennahda non ha insistito per l’inserimento della Sharia al vertice del sistema delle fonti, ma ribadisce comunque la sua volontà di garantire la coerenza dell’attività legislativa con i principi sciaraitici.

Il bicefalismo dell’esecutivo, inoltre, permette l’equilibrio dei rapporti tra laici e islamico-popolari: l’Assemblea Costituente, composta in maggioranza dal partito islamico, ha eletto alla carica di Presidente il leader laico Moncef Marzouki che, a sua volta, ha nominato il Primo Ministro Hamadi Jebali, leader di Ennahda; mentre il partito islamico si è battuto per un rafforzamento della figura del Primo Ministro, i laici hanno insistito per una forma semipresidenzialistica, caratterizzata dalla prevalenza della figura del Presidente.

Siamo, dunque, di fronte a una vera “crisi costituzionale”, i cui effetti sono imprevedibili, non solo per quel che riguarda la Tunisia, ma per tutta l’area. Non dimentichiamo che la Tunisia è il cuore delle Primavere arabe, nel 2010 un venditore ambulante tunisino di nome Mohammad Bouazizi si diede fuoco in una piazza di Sidi Bouzid (Tunisia). Il suo era un disperato gesto di protesta contro le difficili condizioni economiche e sociali in cui versava il Paese. Da allora iniziò un periodo di manifestazioni che coinvolsero gran parte del Nord Africa e dei paesi arabi del Medio Oriente.

Se analizziamo gli esiti della Primavera araba tunisina, possiamo sostenere come la transizione democratica in Tunisia abbia finora avuto un’evoluzione positiva.

Resta da chiedersi quanto durerà ancora questa eccezione.

Ornella Giardini