Con l’assalto finale delle milizie del generale Khalifa Haftar la Libia torna a far notizia, Paese che dalla caduta e successiva morte di Muhammar Gheddafi non ha più trovato pace.
Gli inviati dell’Onu, le tavole rotonde, le conferenze di pace alle quali partecipavano sovente persone che rappresentavano solo se stesse, così come gli incontri bilaterali con tanto di foto ricordo non hanno portano a nessun esito e si sono rivelati inutili per ridare pace al Paese nordafricano. Questi sforzi hanno invece certificato il fallimento di qualsiasi possibilità di ridare alla Libia un minimo di stabilità. In tale contesto va considerata la presenza in crescita del sedicente Strato Islamico e di altri gruppi jihadisti, sempre pronti a sfruttare il caos.
Di quanto accadde nel 2011, anno in cui soffiava il vento delle primavere arabe, e di come si mise in moto la sgangherata coalizione composta da Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Italia, più altri altri Paesi europei e non, sono stati scritti fiumi di inchiostro. Lo stesso è avvenuto per il successivo coinvolgimento della Nato, alleanza vecchia 70 anni tutti sentiti, con la missione “Unified Protector”, che vide persino il Qatar partecipare attivamente ai bombardamenti sulla Libia.
Certo, sono davvero strani gli emiri di Doha. Quando c’è da finanziare una guerra, un gruppo jihadista o c’è da bombardare qualcuno basta suonare il campanello di Doha e da lì qualcuno certamente risponde. Senza contare la quanità di denaro che l’emirato spende da decenni per islamizzare l’Europa. Un compito che gli abbiamo sempre reso agevolato grazie alla nostra debolezza.
Sulla circostanze della morte del “rais” libico però si è preferito non approfondire troppo i fatti, dando per scontato che Muhammar Gheddafi sia stato uccisio dalla “folla inferocita”. Invece, lo sanno anche i sasssi di Tripoli, tra i dimostranti di allora c’erano molti “volenterosi stranieri”.
La recrudescenza della guerra civile libica, oltre a tutti i danni colallaterali dovuti alla presenza dello Stato Islamico nell’area, sancisce anche la definitiva sconfitta politica dell’Italia.
Sia chiaro: non è solo colpa dell’attuale governo giallo-verde. La Libia è stata per gli esecutivi italiani degli ultimi 15 anni una fonte inesauribile di guai e di errori di valutazione. Basti pensare a Silvio Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio, che in poche ore passò dal baciamano a Muhammar Gheddafi al coivolgimento militare dell’Italia nell’avventura militare voluta principalmente da Nicolas Sarkozy. I motivi che spinsero a tale avventura sono ancora oggi oggetto di speculazioni e di indagini da parte della magistratura francese. Lo stesso Silvio Berlusconi anni dopo dovette ammettere: «L’Italia fu costretta a rivedere la propria posizione sulla Libia». In qualsiasi caso, anche nel caso in cui venne costretta, il coinvolgimento dell’Italia fu un grave errore politico perché Gheddafi gli interessi italiani, seppur tra mille problemi, ricatti e protagonismi, comunque li tutelava.
Di seguito, il credito politico dato dagli italiani a Fayez al-Sarraj non ha tenuto conto di chi davvero lo sostenesse a livello internazionale. È vero, l’ENI ha i pozzi petroliferi e i gasdotti nella parte occidentale della Libia e quindi sotto il controllo di al-Sarraj. Tuttavia, meglio sarebbe stato giocarsi le carte in maniera più discreta. Anche perché il 70 enne Khalifa Haftar, tornato in Libia solo nel 2014 dopo essere stato negli USA per vent’anni, è sostenuto da Francia, Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Russia.E gli Stati Uniti? Khalifa Haftar è anche cittadino americano ed in passato ha lavorato per la CIA. Dunque c’è poco da aggiungere.
Le polemiche contro Francia e Germania ed Egitto sono state un altro errore degli italiani, che anche nel passato più recente venivano regolarmente consultati dalla CIA e da altri servizi segreti quando volevano capire qualcosa di questo gigantesco Paese quasi disabitato (1.759 840 km² per 6,2 mio di abitanti) e pieno di risorse.
A isolare l’Italia nel risiko libico un grande peso lo hanno avuto le polemiche strumentali condotte da diversi esponenti del governo italiano contro Emmanuel Macron. Vedi la visita del Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio ai gilet gialli in compagnia dell’attivista Alessandro Di Battista. Poi vanno aggiunti gli insulti ad Angela Merkel e all’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi per la vicenda di Giulio Regeni.
Su questa vicenda la propaganda ha avuto la meglio sull’analisi dei fatti. Poco è stato capito delle spericolate frequentazioni del giovane italiano ingannato, e non certo dagli egiziani, fin dalla sua partenza per l’Egitto. La verità su Giulio Regeni, che la famiglia pretende giustamente da anni, non passa certo attraverso le parole dette in libertà dal Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico: «Al Sisi mi ha mentito, l’Egitto copre gli apparati che lo uccisero». Sta tutta qui la debolezza italiana, debolezza incarnata da una serie di personaggi arrivati in Parlamento con 10 click e che appena eletti si sono lasciati andare a una serie di dichiarazioni inutili e dannose. Impossibile per loro comprendere che attaccare a testa bassa l’Egitto e i due Paesi europei che più vorrebbero sostituire l’Italia in Libia, ovvero Francia e Germania, avrebbe portato all’isolamento di Roma. Attacchi lanciati per giunta in un momento delicatissimo specie per la questione degli sbarchi, che potrebbero riprendere in maniera drammatica.
Non conoscendo la storia se non quella letta su Wikipedia, tali fugure potevano sapere quanto Parigi influenzi da decenni la vita in Nord Africa e quanto francesi e tedeschi contino ancora a Bruxelles. Così, non avendo mai aperto un solo libro di strategia, non potevano capire che l’Italia un tempo abile a giocare su più tavoli anche in Medio Oriente sarebbe finita nell’angolo. Perfetto harakiri quello fatto del premier. Giuseppe Conte, che parlava del 2019 come di “un anno bellissimo”, con il suo recente viaggio in Qatar ha fatto imbestialire – di nuovo – i principali sponsor “in solido” del Generale Haftar, ovvero gli sceicchi di Riad e Abu Dhabi. A breve persino i pentastellati capiranno che Khalifa Haftar non rappresenta solo se stesso. Meglio tardi che mai.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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