Ha la forza di un terremoto geopolitico la decisione di Google di sospendere la licenza per il sistema operativo Android utilizzato su tutti gli smartphone del colosso cinese Huawei. Martedì 21 maggio il Dipartimento del Commercio Usa ha sospeso per tre mesi le restrizioni previste contro l’azienda cinese. Un’esenzione temporanea del divieto alle imprese Usa di vendere tecnologia a Huawei e non una pausa nella guerra in corso tra Usa e Cina. La decisione di Google risponde a una richiesta precisa dell’Amministrazione Trump e avrebbe effetti determinati sui programmi di Pechino, che mira a strappare a Washington il primato di potenza tecnologica. In futuro gli smartphone Huawei potrebbero non avere servizi chiave come Gmail, Youtube, Drive e molti altri. Così, molti consumatori sarebbero portati a scegliere alternative a Huawei, in primo luogo Samsung.
Il 15 maggio il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti aveva detto di aver aggiunto il gigante delle tlc e molte altre affiliate alla sua “lista nera”, la cosiddetta “Entity List”. Nella giornata del 15 maggio il presidente Trump aveva emesso un ordine esecutivo dalla portata più generica, non diretto quindi a Huawei, che prevede il divieto alle società americane di installare apparecchiature straniere sospettate di costituire una minaccia per la sicurezza nazionale. L’ordine esecutivo di Trump non nomina la Cina e nessuna compagnia specifica, ma è stata un modo per mettere al bando la concorrenza cinese e bloccare lo sviluppo di Huawei. L’accusa formale del governo americano contro Huawei è di aver violato le sanzioni all’Iran. Ma per Washington, il colosso cinese spia i segreti americani, per via degli stretti legami con il partito comunista, e costituisce una minaccia alla sicurezza. Accuse sempre respinte dall’azienda e non supportate fino a questo momento da alcuna prova concreta.
Fino ad oggi Huawei ha usufruito della versione Android aperta e più completa (open source). Anche se l’affare Google-Huawei è un tsunami per la geopolitica, l’azienda cinese si preparava da tempo alla prospettiva di perdere la licenza per il sistema Android. A marzo 2019 il colosso cinese ha detto di aver iniziato a sviluppare un proprio sistema, alternativo ad Android e Windows di Microsoft, come ha raccontato il Die Welt. Un riparo per i giorni di pioggia a cui Huawei starebbe lavorando dal 2012, aveva riferito invece il giornale South China Morning Post. L’azienda avrebbe iniziato a sviluppare il proprio sistema quando gli Stati Uniti hanno dato il via alle indagini sulla sorellina ZTE Corp, ovvero nel 2012. Le aziende americane produttrici di chip e microchip, Intel, Qualcomm, Xilinx e Broadcom, si sono allineate alle posizioni dell’attuale Amministrazione Usa, ma pare che il terremoto scatenato da Trump avrà effetti meno dirompenti. Il bando alle esportazioni statunitensi di chip verso l’azienda cinese di telecomunicazioni ZTE, aveva spinto l’anno scorso Huawei ad intraprendere un programma per aumentare la produzione di chip e semiconduttori. HiSilicon, sussidiaria per i progetti dei semiconduttori consociata di Huawei, ha prodotto chip alternativi per ridurre la dipendenza cinese a lungo vista come il punto debole delle aspirazioni tech di Pechino. Il piano B di Huawei sarebbe diventato il piano A.
Quanto la decisione di Trump inciderà sul futuro di Huawei è argomento oggetto di analisi. La strategia di Pechino Made in China 2025 ha lo scopo di trasformare la Cina in una potenza leader nei settori dell’intelligenza artificiale, “internet delle cose” (IoT), biotecnologia e aerospazio, tra gli altri. Huawei è il fiore all’occhiello di Made in China 2025 e l’azienda che potrebbe dominare il campo delle reti 5G. L’arresto a dicembre 2018 del direttore finanziario e figlia del fondatore dell’azienda – la “principessa Meng” – era stata sangue agli occhi per i cinesi. Dopo l’arresto di Meng, gli stati Uniti hanno pressato gli alleati, in primo luogo gli europei, per escludere Huawei dai progetti delle reti 5G. Pressing che tuttavia non ha dato a Washington i risultati sperati.
La competizione per la leadership tecnologica è la questione centrale dello scontro geopolitico e geoeconomico tra Stati Uniti e Cina, ovvero lo scontro visto come inevitabile tra una potenza egemone e una in ascesa. A giudizio di alcuni, le mosse di Trump rallenteranno il raggiungimento degli obiettivi cinesi e frenano i piani di Huawei per le reti 5G. Secondo altre analisi, anche se sotto attacco degli Usa, Huawei non avrà problemi a trovare altri fornitori in Asia. The Diplomat scrive ancora che nonostante investa più del 10% dei ricavi in ricerca e sviluppo, Huawei dovrà compleatare il processo di internazionalizzazione prima di arrivare a dominare il settore tech. Un articolo del New York Times la settimana scorsa aveva fatto notare che mentre Hauwei veniva bandita negli States, il colosso delle tlc sarebbe stata sul punto di controllare tra il 40 e il 60% delle reti mondiali, aumentando la propria presenza in Africa e in alcune zone dell’Asia. A giudizio degli americani, la Cina offre prestiti a basso tasso di interesse per mettere fuori gioco i competitor occidentali, tra cui le europee Nokia ed Ericsson. Huawei si era appena aggiudicata un nuovo contratto con il Messico per lanciare le reti mobili super veloci in alcune aree del Paese. Il Messico e l’Argentina puntano a sviluppare la prima rete 5G della regione. Il Brasile è un caso particolare vista l’amicizia tra Donald Trump e il presidente Bolsonaro, che ha fondato la sua linea di politica estera sul presupposto di legami più stretti con l’Amministrazione Trump e che potrebbe perdere i privilegi di alleato se non rinuncerà a collaborare con Huawei.
Infine, Free Software Foundation Europe (FSFE) ha lanciato un monito agli europei a pochi giorni dalle elezioni. L’Unione, secondo FSFE, dovrebbe investire più risorse nello sviluppo di software, evitando di lasciare le infrastrutture europee esposte ai pericoli determinati da fattori esterni.
FOTO: AFP
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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