Sudan

Si intensificano le pressione diplomatiche sul Sudan a seguito della strage negli ultimi tre giorni, costata la vita a oltre 100 manifestanti. Il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione Africana ha decretato che la partecipazione del Sudan è sospesa fino a quando non sarà istituita un’autorità di transizione guidata dai civili.

«Il Consiglio militare transitorio deve ritirare immediatamente tutti i membri delle Forze di supporto rapido dalle strade, soprattutto della capitale Khartoum, esonerarli da ruoli di controllo dell’ordine pubblico e confinarli nelle caserme», ha detto Il segretario generale di Amnesty International Kumi Naidoo. «Amnesty International – ha aggiunto – continua a chiedere l’immediato sblocco di Internet e dei social media per consentire alla popolazione sudanese di ricevere informazioni ed esercitare il diritto alla libertà di espressione». Anche l’Unione Europea ha chiesto la fine immediata delle violenze. Il primo ministro etiope è arrivato in Sudan venerdì 7 giugno per incontrare i leader delle contestazioni e i vertici militari al potere dopo il colpo di Stato che ha deposto al Bashir lo scorso 11 aprile.

In Sudan dal 3 giugno scorso le Forze di supporto rapido hanno attaccato i manifestanti pro-democrazia con proiettili veri, gas lacrimogeni e manganelli in tutto il territorio del Paese. Due giorni fa almeno 40 corpi sono stati ripescati dalle acque del Nilo, vicino alla capitale Khartoum, portando a oltre 100 il numero di vittime da quando è iniziata la repressione delle proteste per mano dei militari. A Khartoum il numero dei morti a causa della repressione sarebbe salito a 113, secondo Jeune Afrique.

Il Comitato centrale dei medici sudanesi, organizzazione a capo delle manifestazioni, aveva affermato che le vittime sarebbero state almeno 108, mentre i bilanci ufficiali citati dal Consiglio militare transitorio (Tmc)  avevano riferito di un numero di morti nettamente inferiore. Le forze di sicurezza hanno cercato di nascondere i cadaveri gettandoli nelle acque del fiume Nilo, dopo averli appesantiti con dei mattoni. Nonostante questi tentativi di occultamento, almeno 40 corpi sono riemersi in superficie.

«Girano sui social media foto di cadaveri appesantiti da pietre legate alle caviglie per fare in modo che non potessero affiorare. Ma le correnti ne avrebbero diretto alcuni verso una secca, svelando così il crimine compiuto dalle Rapid support forces (Rsf) che ormai i sudanesi indicano con il loro nome precedente, janjaweed, feroci milizie tristemente famose per le atrocità commesse in Darfur», ha scritto Bruna Sironi sulla rivista Nigrizia.

Negli ultimi tre giorni ci sono stati centinaia di arresti. Delle persone arrestate si sono poi perse le tracce, fa sapere ancora Amnesty. Tra queste ci sarebbe anche Yassir Saeed Arman, uno dei leader dell’opposizione e vicepresidente del Movimento popolare di liberazione del Sudan – Nord. Yassir Saeed Arman partecipò ai negoziati che nel 2005 posero fine alla guerra tra nord e sud del Sudan.  Nei suoi confronti è stata emessa una condanna a morte.

I leader militari avevano offerto la riapertura del dialogo ai gruppi di opposizione, due giorni dopo i raid che avevano dato alle fiamme il sit in dei manifestanti accampati nel centro della capitale. L’opposizione ha rifiutato l’offerta perché non crede nelle buone intenzioni dell’esercito. I raid dei militari avevano cancellato in maniera violenta gli accodi raggiunti con l’opposizione a metà maggio che avrebbero dovuto condurre a una transizione democratica del Sudan. Gli accordi prevedevano un periodo di transizione di tre anni, durante i quali i poteri sarebbero passati in maniera graduale dai militari ai civili. Il Consiglio militare transitorio al potere dopo il colpo di Stato di aprile due giorni fa aveva tuttavia annunciato elezioni entro 9 mesi. L’opposizione ha reagito con nuove proteste che hanno coinciso con la fine del Ramadan. Le strade della capitale sono state bloccate per via delle proteste e ovunque si sentivano colpi di arma da fuoco.

Scrive ancora Sironi: «Sul piano internazionale è intanto cominciato il gioco dei veti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una risoluzione di condanna della sanguinosa repressione dei giorni scorsi è stata bloccata dal voto contrario di Cina e Russia. La Cina ha infatti investimenti notevoli nel paese ed è praticamente l’unico importatore del petrolio sudanese. La Russia ha accordi militari che prevedono il trasferimento di licenze di fabbricazione di armamenti, training e altro. All’inizio delle dimostrazioni, molto si è parlato della presenza di militari russi a fianco delle forze dell’ordine che cercavano di controllare le piazze con l’uso della forza. Il Consiglio di sicurezza Onu e il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana hanno esortato “ad assumere iniziative urgenti per interrompere il bagno di sangue, porre fine all’impunità e pretendere che i responsabili della strage di manifestanti siano assicurati alla giustizia”».

FOTO: AFP