E se inveve di guardare a MbS dovessimo prestare più attenzione a Mohammed bin Zayed (MBZ) quale leader più influente del mondo arabo? MBZ è l’uomo che ha convinto Donald Trump ad appoggiare pubblicamente Khalifa Haftar, determinando il cambio di strategia degli Stati Uniti sulla Libia. E lo ha fatto al telefono, come scrive il New York Times. Ad aprile, il giorno dopo aver conversato con MBZ, Trump ha dato il suo endorsement ad Haftar, anche se il capo della diplomazia Usa Mike Pompeo aveva appena intimato al generale di ritirare le sue truppe che avanzavano verso Tripoli. Il legame tra MBZ e gli Stati Uniti dura nel tempo. Nel 1991, per esempio, nei mesi successivi all’invasione irachena del Kuwait, l’allora giovane principe MBZ convinse gli americani a vendergli missili Hellfire, elicotteri Apache ed F-16 in una quantità tale che allarmò il Congresso che temeva effetti destabilizanti sulla regione. MBZ fu abile a convincere gli americani a fidarsi di lui, li rassicurò sul fatto che non sarebbe diventato un “aggressore”. MBZ ha avuto un buon rapporto anche con l’ex presidente Barack Obama. Un rapporto che si è incrinato quando, con l’avvento delle primavere arabe, Obama appoggiò la richiesta di democrazia contro i leader autoritari. Il colpo successivo ci fu quando divenne chiaro che Obama stava negoziando in segreto un accordo con l’Iran. Per tanti a Washington, MBZ è diventato un partener importante per contenere l’Iran in Libano e per la ricostruzione dell’Iraq,
Di Mohammed bin Zayed e della “piccola Sparta” del Medio Oriente avevamo scritto in Babilon 3:
L’ex Segretario alla Difesa USA James Mattis li ha defniti la “piccola Sparta”, considerandoli tra i migliori alleati USA in Medio Oriente, ed è difficile trovare un ambito regionale dove non siano stati attivi. Gli EAU sono in realtà un insieme di sette emirati differenti, di fatto uniti in un’unica realtà e conosciuti principalmente per essere economicamente dinamici con la caratteristica di forti attrattori d’investimenti. Dubai, uno dei centri principali, è ormai una calamita per investimenti esteri e un hub del business internazionale, seguita dalla capitale Abu Dhabi (anche se con il neo della violazione dei diritti umani dei lavoratori immigrati, soprattutto asiatici, e della repressione del dissenso). Ma negli ultimi anni il lato economico non è stato l’unica area di espansione: politicamente, e anche militarmente, gli EAU sono oggi diventati una realtà che non è più possibile ignorare.
Come in Arabia Saudita, dove a dominare realmente la scena non è il re ma il Principe Mohammed Bin Salman, negli EAU la fgura principale è il cinquantaseienne principe Mohammed bin Zayed (MBZ), fratello dell’Emiro di Abu Dhabi, attuale presidente dell’EAU. Le analogie con MBS non sono poche: entrambi sono di fatto a capo delle forze armate e i veri registi della politica dei rispettivi Paesi, incluso l’interventismo estero. Le analogie però si fermano in gran parte qui, poiché è molto diferente il loro modo di esprimere queste politiche. MBZ ha passato gli ultimi dieci anni a modernizzare e rendere molto più efcienti le proprie forze armate, al punto da guadagnarsi gli apprezzamenti dei partner statunitensi ed europei: l’aviazione emiratina ha partecipato con i suoi F16 sia ai bombardamenti contro la Libia di Gheddafi del 2011 (“Operazione Unifed Protector”) sia a quelli contro ISIS dal 2015. Le sue forze speciali sono considerate davvero competenti e sono intervenute anche in Yemen, conquistando con un difficile assalto anfibio alla città di Aden, il porto conteso nel sud del Paese.
Tutto questo però non spiega bene il reale aumento dell’infuenza geopolitica emiratina nella regione. Gli EAU sono spesso visti come semplice “alleato fedele” dell’Arabia Saudita, che appoggia Riad nelle sue principali mosse: dal boicottaggio del Qatar all’intervento militare in Yemen, fno all’opposizione all’Iran. Il modo in cui si muove sullo scacchiere mediorientale è infatti metodico ed effciente, ma esso rivela una strategia più complessa e anche più silenziosa: ad esempio, Abu Dhabi ha appoggiato militarmente e diplomaticamente il generale libico Khalifa Haftar, inviando anche in Europa suoi emissari in cerca di appoggi internazionali; ha acquisito dall’Eritrea una base ad Assab, che permette ai suoi uomini di meglio operare in Yemen, e dalla Somalia una base a Berbera, considerata fn dal XIX secolo la “porta del Golfo Persico”. La stessa presa di Aden, apparentemente un servigio reso alle forze di spedizione saudite, in realtà ha anche un’altra faccia: gli emiratini la considerano un asset fondamentale nell’area, e sarà da verifcare se saranno disposti a cederla quando mai lo Yemen ritroverà la pace (per ora sicuramente hanno la scusa del confitto in corso).
Sembra dunque che MBZ stia lentamente costruendo una sua propria influenza regionale che, pur non opposta all’Arabia Saudita – non ce ne sarebbe ragione, del resto entrambi condividono gli stessi timori verso l’Iran – rende comunque gli Emirati niente affatto un Paese di sottoposti ubbidienti, ma gente capace di proprie scelte e di una propria influenza.
Non sempre tale strategia è stata priva di errori: è quasi ossessivo l’odio di MBZ verso la Fratellanza Musulmana, con gli EAU che dal 2012 al 2016 almeno hanno commissionato numerose ricerche a centri studi internazionali per capire come essa avrebbe potuto espandersi nella regione e come invece avrebbe potuto essere fermata. Uno di questi studi interessava proprio lo Yemen ma che, tuttavia, ha portato a sottovalutare la realtà dello scontro che cresceva tra governo centrale e ribelli Houthi. Questa è infatti diventata la dinamica chiave che ha portato il Paese nel baratro.
Tutto ciò conduce gli analisti a porsi una domanda: quanto le mosse emiratine sono dipendenti da quelle saudite, e quanto invece si confgurano come un modo per costruirsi una propria infuenza internazionale? La domanda per ora è senza risposta, dato che gli interessi al momento sono sufcientemente convergenti. In ogni caso, qualunque osservatore farà bene a non sottovalutare dove la “piccola Sparta” installerà la sua prossima base: la bandiera degli Emirati potrebbe garrire sempre più lontana dalle sue coste
Di Lorenzo Nannetti, Articolo pubblicato su Babilon n. 3
Foto: account ufficiale di Mohammed bin Zayed, via Twitter
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