di Maria Zuppello*
Stato canaglia per gli Stati Uniti al pari di Iran, Siria e Corea del Nord, il Venezuela lasciato da Hugo Chávez è un narcostato che ha fatto della cocaina la sua economia principale, nonostante non la produca. E che si è trasformato nel più grande paese importatore di armi del continente, soprattutto dalla Russia e recentemente anche da Miami: il secondo di tutte le Americhe, dietro solo agli Stati Uniti. La sua popolazione, a causa di politiche economiche scellerate, oggi muore letteralmente di fame mentre il governo di Nicolás Maduro non cessa di arricchirsi insieme all’élite militare che della cocaina ha fatto il suo principale reddito, creando un vero e proprio cartello, quello de Los Soles, con evidente riferimento alle mostrine delle più alte gerarchie militari coinvolte, i generali.
Cosa lega la presidenza Maduro alle formazioni terroristiche, al riciclaggio e alla corruzione? La cocaina, secondo la DEA americana.
I boss della malavita venezuelana
E chi è il capo dei capi del narcotraffico venezuelano? La Dea non ha dubbi: Diosdato Cabello, ex presidente dell’Assemblea Nazionale, numero due di Chávez, vicepresidente del PSUV e presidente adesso della Costituente. È, secondo il governo degli Usa, il vero stratega della fitta rete di riciclaggio attraverso banche e società controllate dal regime. Per il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti «ci sono ampie prove per giustificare che sia una delle teste, se non la testa del cartello de Los Soles» tra i cui membri figura persino Rodolfo McTurk, ex direttore dell’Interpol in Venezuela. Accuse tutte rispedite al mittente da Cabello che ha dichiarato di essere «addolorato» perché non ha ricevuto «neanche una parola di scuse». Eppure, secondo un ex narco colombiano ora in carcere negli Stati Uniti, Javier Cardona Ramìrez, Cabello è paragonabile a “El Chapo” e venderebbe droga persino all’Isis e ad Al Qaeda che, una volta in Africa, la stoccano e poi ne gestiscono il traffico. Anche il nipote di Iván Marquez, uno dei capi delle Farc, ha testimoniato contro l’ex presidente dell’Assemblea Nazionale rivelando i suoi business con i guerriglieri colombiani.
Un legame stabilito da Chávez che ha permesso loro in territorio venezuelano di trasportare cocaina, addestrarsi e persino nascondersi. La Colombia, del resto, gli appariva geograficamente come il cruciale tassello mancante del suo progetto pan bolivariano che si nutriva del mito di Simón Bolívar. Ma sia Uribe che Santos, i due presidenti colombiani a lui contemporanei, non avevano mai mostrato interesse. Da qui l’idea di indebolirli appoggiando i gruppi guerriglieri a loro opposti, tanto le Farc quanto l’ELN, che si finanziavano con il traffico della cocaina e che videro con interesse l’apertura di nuove rotte per sottrarsi alla pressione del Plan Colombia.
Il narcoterrorismo
Così il 90% della polvere bianca delle Farc finì con l’essere distribuita nel mondo a partire dal Venezuela. La lista dei coinvolti presentata alla Dea nel 2012 dal giudice Eladio Aponte Aponte, rifugiatosi negli Usa, è impressionante: il ministro dell’interno Néstor Reverol; il fratello di Chávez Adán; Rafael Ramírez, presidente della Pdvsa (la petrolifera nazionale); Tarek el Aissami; Henri Rangel Silva, allora ministro della difesa; Manuel Barroso, ex presidente del Cadivi, la commissione che gestisce i cambi; e Wilmer Flores, ex direttore generale della polizia scientifica. E poi governatori e generali. Il tutto indorato con l’ideologia della guerra “asimmetrica” contro il nemico yankee. Tonnellate di cocaina provenienti dalla Colombia hanno inondato così il Venezuela: cinque a settimana, quasi metà di tutta la polvere bianca prodotta in Colombia (tra il 2008 e il 2014 sono state distrutte 447 piste clandestine per i piper della coca).
Il paese non si sottrae neanche al business della raffinazione, con vari laboratori clandestini nascosti nella foresta. Il Venezuela si è trasformato, così, in un’autostrada della coca. Nel 2015 Joaquin Pérez, un avvocato di Miami che ha come clienti molti trafficanti colombiani, ha dichiarato che «la maggior parte dei narcos colombiani di alto profilo si sono trasferiti in Venezuela». Non stupisce, perciò, la reazione del presidente Maduro nel 2013, quando nell’aeroporto parigino di Charles de Gaulle vengono sequestrate 1,3 tonnellate di cocaina dentro una trentina di valigie arrivate con un aereo Air France partito da Caracas, droga destinata secondo gli inquirenti all’italiana ‘Ndrangheta. Finiscono in manette otto militari della Guardia Nazionale Bolivariana e nove dello staff di Air France. Maduro non prende per niente bene la notizia e accusa la Dea di aver agito in incognito.
Oggi di tutto questo non si parla, ma è l’altra faccia del Venezuela, il suo volto più oscuro.
*estratto dal libro “Il Jihad ai Tropici” (Paesi Edizioni, 2019)
Diosdato Cabello e Mauro, Foto: VOA
Redazione
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