La Cina ha minacciato di sanzionare alcune aziende americane in risposta alla vendita di armi Usa a Taiwan. L’accordo siglato tra Washington e Taipei include l’acquisto di 108 carri armati M1A2T Abrams e 250 missili Stinger, con le relative attrezzature, ed è il più rilevante mai sottoscritto da quando il presidente Donald Trump è alla Casa Bianca. Le sanzioni cinesi dovrebbero essere dirette alle aziende fornitrici di missili e carri armati coinvolte nel pacchetto, vale a dire Raytheon, General Dynamics, BAE e Oshkosh. Il portavoce ufficiale del ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese Geng Shuang aveva minacciato gli americani annunciando una reazione della Cina a difesa degli interessi nazionali. Wang Yi, il Ministro degli Esteri cinese, venerdì scorso durante la visita in Ungheria è stato ancora più esplicito con Washington: «Gli Usa smettano di giocare col fuoco».
Tutto questo accade mentre le forze navali e aree dell’esercito cinese si preparano a condurre esercitazioni militari vicino allo Stretto di Taiwan. «Una routine», come specificato dal Ministero della Difesa cinese. La scorsa settimana Pechino aveva chiesto la «cancellazione immediata» dell’accordo, dal valore di 2,2 miliardi di dollari secondo il Pentagono, non appena era stata diffusa la notizia della conclusione dell’affare da parte di un’agenzia del Dipartimento della Difesa a stelle e strisce. Per la Cina, la vendita di armi americane a Taiwan rappresenta una violazione del principio dell’unica Cina, in base al quale Washington dovrebbe riconoscere e avere relazioni diplomatiche solo con Pechino. Taiwan è la provincia ribelle dove si rifugiarano i nazionalisti nel 1949, un’isola che la Cina vuole riannettere al resto del territorio ad ogni costo, anche facendo ricorso alla forza. La riunificazione è uno dei punti più importanti del programma del presidente cinese Xi Jinping.
L’acquisto di armi non è una novità nelle relazioni tra gli Usa e la piccola isola. Ma l’amministrazione Trump sin dall’inizio ha spinto per un maggiore sostegno a Taipei, suscitando l’ira dei cinesi. Il mese scorso Taiwan aveva richesto l’acquisto di un nuovo pacchetto di armamenti dagli americani, che avrebbe previsto anche 1240 sistemi missilistici anti-carro BGM-71 TOW e 409 missili Javelin, come aveva anticipato Scmp. Se l’acquisto del nuovo lotto di armi non rappresenta una novità, è certamente un passo ulteriore degli Usa nel progressivo avvicinamento a Taipei, una mossa che infiamma le relazioni tra Stati Uniti e Cina quando il contenzioso commerciale è solo in stand by e non del tutto risolto. Resta da capire quale sarà l’effetto reale della risposta di Pechino, visto che l’embargo del 1989 impedisce alla Difesa Usa di stringere accordi con la Cina. La presidente progressista di Taiwan Tsai Ing-wen, alla ricerca di un secondo mandato, ha espresso la sua «sincera gratitudine» agli Usa, impegnati a «difendere la sicurezza dello Stretto di Taiwan». Tsai sta cercando di rafforzare le capacità difensive dell’isola in relazione alle tensioni crescenti nello Stretto e fa appello alle Nazioni Unite e agli alleati come conseguenza dei tentativi cinesi di isolare diplomaticamente Taipei.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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