I violenti scontri avvenuti in Siria nei giorni scorsi tra le forze governative e i ribelli nella provincia di Idlib hanno causato oltre 80 morti, per lo più civili. La Siria uno scenario sanguinoso e purtroppo ancora incerto. La città strategica di Khan Sheikhoun – zona nel nord-ovest della Siria al confine con la Turchia – risulta essere l’ultima roccaforte in mano ai gruppi jihadisti affiliati ad Al Qaeda. Un’area chiave densamente popolata e completamente dipendente da aiuti esterni che si trova sull’autostrada che porta a Damasco, secondo un percorso che passa da Aleppo e da Homs. L’esercito siriano, sostenuto dall’aviazione russa e dall’Iran, ha quindi lanciato una controffensiva verso Maaret al Numan, nonostante l’accordo per la creazione di una zona demilitarizzata tra le province di Idlib, Hama, Latakia e Aleppo e mentre Erdogan e Trump discutono gli sviluppi e la de-escalation delle tensioni.
Assad – pur non beneficiando di un appoggio da parte degli USA e dell’Europa – continua a godere di un certo sostegno popolare che legittima il suo potere e lo porta ad essere ancora il perno degli equilibri della Repubblica Araba. Un autocrate di lunga durata che per molti non ha mai tradito i progetti di mantenere uno Stato unitario, evitandone la disgregazione e opponendosi alle cospirazioni americane, turche e saudite. L’opposizione, dal canto proprio, urla con disperazione le responsabilità del presidente siriano che si sarebbe macchiato di crimini gravissimi pur di ottenere la vittoria.
La guerra civile siriana iniziata il 15 marzo 2011 – a seguito delle proteste popolari contro Bashar al Assad nate per chiedere più diritti e represse barbaramente dallo stesso presidente – si appresta ad entrare nel suo nono anno senza ancora vedere una fine certa. Quasi 400mila morti e oltre 13 milioni di profughi, questi i numeri e le conseguenze del conflitto. Le dimensioni della guerra e il peso degli attori coinvolti, prima a livello locale, poi regionale e internazionale, hanno fatto assumere al Paese arabo una posizione centrale nei giochi di potere nel Vicino e Medio Oriente. Un banco di prova per le potenze regionali e successivamente per le superpotenze mondiali interessate a confrontarsi circa i propri piani espansionistici e a mantenere con la forza una leadership strategica, legittimando alcuni regimi o frenandone altri. Nel mezzo c’è l’ascesa e il declino di Daesh.
La Siria di oggi appare come un enorme rebus di difficile interpretazione, una realtà complessa e variegata dove coesistono molte etnie e confessioni religiose diverse. Una realtà contraddistinta da una composizione geografica, storica e socio-economica particolare che ha agevolato in alcuni frangenti e in determinate zone il sedicente Stato Islamico ad espandersi, come ad Est, dove la presenza di Damasco è venuta meno e con essa la tutela e la sicurezza delle fasce sociali più deboli. Dopo tutti questi anni di conflitto e instabilità – capace di provocare una delle più gravi catastrofi umanitarie al mondo – i disordini interni hanno spinto un numero esorbitante di persone a rifugiarsi nelle zone limitrofe e confinanti. Paesi come la Turchia, la Giordania e il Libano hanno accolto in questi anni milioni di siriani. Il governo di Damasco deve inoltre rapportarsi con l’impossibilità di assicurare una stabilità ai propri cittadini, per non parlare della scarsità dei servizi essenziali e della quasi totale assenza di strutture sanitarie adeguate, il tutto ostacola e scoraggia il rientro in patria dei tantissimi profughi costretti nel corso del tempo ad abbandonare le proprie famiglie e case. In conclusione, possiamo trovare la risposta dello status quo nella mancanza di alternative reali al leader alauita, il tutto allontana la possibilità di una risoluzione nel breve periodo.
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