Il gerrymandering è un meccanismo di manipolazione dei confini dei collegi elettorali che ha effetti distorsivi sul voto. Una pratica che consente di agevolare un determinato partito politico alle spese di un altro, attraverso la selezione territoriale dei votanti.
La configurazione dei collegi elettorali è fondamentale nei sistemi uninominali, per i quali ogni collegio deve esprimere un’unica preferenza, cioè deve essere eletto il candidato di un solo partito. Per i sistemi di tipo proporzionale il modo in cui vengono tracciati i confini dei collegi non fa differenza, perché i voti i vengono sommati su base nazionale, ed ogni collegio può esprimere un quadro politico variegato.
Il termine gerrymandering deriva dal nome del governatore del Massachusetts E. Gerry che nel 1812 per favorire il suo partito, quello democratico-repubblicano, disegnò in modo molto contorto i confini dei distretti elettorali del suo Stato. Uno in particolare era talmente bizzarro da essere paragonato ad una salamandra. La parola gerrymandering è nata fondendo insieme il nome del governatore e il termine salamandra. A seguito dell’episodio il nomignolo viene usato per identificare la manipolazione dei confini dei collegi elettorali.
I modi più comuni per praticare il gerrymandering sono due, quello di concentrare gli elettori del partito avversario, in modo tale da farlo vincere nettamente, ma in un numero limitato di collegi, oppure distribuire gli stessi elettori in più collegi, tanto da rendere unitile il loro voto. Il gerrymandering è una pratica assolutamente legale e secondo molti anche difficile da “estirpare”, perchè si basa sulle considerazioni dei dirigenti dei partiti relative alle scelte elettorali dei cittadini, che per la loro stessa natura, sono “previsioni” e non dati di fatto. Anche se storicamente sono sempre esiste aree geografiche in cui gli elettori abbiano manifestano l’affezione per un determinato partito.
Per approfondire: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA: IL GERRYMANDERING NEGLI USA
Redazione
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