Nelle prossime elezioni, che si terranno in Tunisia ad ottobre, il popolo è chiamato alle urne per la terza volta nella storia democratica del Paese. Lo scorso 2 settembre, la campagna elettorale per la Presidenza e per i seggi parlamentari è ufficialmente iniziata, con le dovute difficoltà.
Nel giorno dell’avvio ufficiale della campagna elettorale un gruppo terroristico ha aperto il fuoco e ucciso un ufficiale della sicurezza tunisina. Nonostante il Presidente ad interim Mohamed Ennaceur abbia prorogato lo stato di emergenza nazionale fino al 31 dicembre 2019, l’apparato di sicurezza tunisino non sembra riuscire ad anticipare le mosse degli attentatori.
Gli attacchi minano gravemente alla percezione di stabilità che il Paese si sforza di preservare, elemento chiave per poter attrarre turisti e investimenti esteri per riempire le casse dello Stato e alleviare le dure condizioni socio-economiche della popolazione.
Quest’ultima risente fortemente dell’andamento del settore turistico, unica fonte di reddito visto lo scarso successo da parte del Governo ad attuare le politiche di sviluppo necessarie. In particolare la situazione dei giovani tunisini rimane estremamente delicata, con tassi di disoccupazione intorno al 35%.
Fig. 1 – Istituto dell’Independent High Authority for Elections (ISIE) a Tunisi, dove si è tenuta la conferenza stampa per l’annuncio dei risultati ufficiali del primo round delle elezioni presidenziali, 17 settembre 2019
Nel 2011 le insostenibili condizioni di vita avevano portato al rovesciamento del regime di Ben Alì, nella speranza di una vita migliore per il Paese. Le proteste erano fortemente localizzate nelle aree più marginalizzate e rurali, nelle quali le comunità locali praticavano il contrabbando di merce al confine con l’Algeria. Tuttavia questo interscambio era tollerato indirettamente dallo Stato tunisino di Ben Alì attraverso relazioni clientelari in virtù della criticità della situazione. L’abolizione di tale meccanismo di sussistenza e l’introduzione di politiche economiche molto austere hanno accentuato le divergenze economiche tra centro e periferia, oltre ad aver suscitato una forte rassegnazione nel nuovo sistema politico.
Le forti differenze sociali e regionali e l’alto tasso di disoccupazione hanno di certo contribuito a creare un terreno fertile per i gruppi salafiti, che introducono nuovi adepti all’indottrinamento jihadista, e a mettere in discussione l’attuale Governo. Un documento ufficiale pubblicato dall’esecutivo stima che fino a 7mila tunisini sono partiti per combattere in qualità di foreign fighters in Libia, Iraq e Siria.
Fig. 2 – I due candidati indipendenti Kais Saied (a sinistra) e Nabil Karoui, con i risultati elettorali mostrati durante la conferenza stampa del 17 settembre 2019
Il risultato delle elezioni presidenziali del 15 settembre non ha indicato una maggioranza assoluta, di conseguenza l’appuntamento per l’elezione del nuovo Presidente è rimandato al ballottaggio, che si terrà entro il 23 ottobre. I risultati indicano come vincitori le forze alternative, rispetto ai partiti ‘tradizionali’ come quello d’ispirazione islamista Enhahda e quello di matrice laica Nidaa Tunes.
I candidati indipendenti come Saied, professore di diritto costituzionale, e il magnate dei media Kairoui, hanno ottenuto rispettivamente il 18,4% e il 15,58% dei voti. Il messaggio è chiaro, la popolazione si è espressa per una svolta nella gestione della cosa pubblica affinché vengano affrontati la disoccupazione e il crescente costo della vita. Questo voto di protesta verrà molto probabilmente ripetuto alle legislative, risultato che potrebbe ostacolare la formazione del nuovo Governo.
Infine, qualche preoccupazione per la salute della democrazia tunisina. Nelle settimane precedenti, la campagna elettorale è stata caratterizzata da una forte propaganda personale piuttosto che dal dibattito sui programmi politici ed economici. In aggiunta la popolazione è chiaramente disillusa nei confronti del sistema democratico, come dimostrano i tassi di affluenza, in calo dal 64% del 2014 al 45%.
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