Per la prima vola dal 1987, epoca Pinochet, a Santiago del Cile torna il coprifuoco. La misura è divenuta necessaria per controllare l’ordine pubblico, sfuggito al controllo del presidente Pineira che ha chiesto l’aiuto dei militari. L’inquilino de La Moneda ha ridotto l’emergenza ad una mera questione di ordine pubblico, inveendo contro i saccheggi (che pure ci sono stati), gli scontri e soprattutto gli incendi che hanno devastato la metro della capitale, usata ogni giorno da più di due milioni di persone.
Alla fine l’aumento (il terzo in poco tempo) del costo del biglietto è stato cancellato ma la situazione rimane tesa e soprattutto Pineira non è intenzionato a combatterne le reali cause.
I rivoltosi esprimono un disagio sociale che viene da lontano, dall’adesione alle politiche liberiste del dopo Bachelet. L’istruzione universitaria pubblica è molto carente, le medicine costano, l’inflazione sale ma il livello reale delle retribuzioni no. I lavoratori sono costretti a depositare il 12% delle retribuzioni a misteriosi fondi pensione che però non restituiscono rendite dignitose, il livello della sanità pubblica è sceso ed è diventato piuttosto costoso.
Addirittura nella capitale ed in altre 4 regioni è stato imposto il coprifuoco. Gli scontri con le forze dell’ordine hanno prodotto intanto 11 morti, né la parole del presidente hanno placato gli animi. “Siamo in guerra”, le dichiarazioni ufficiali. Ma non si parla di analisi del disagio sociale, nè di politica economica. Nel mese di novembre il Cile ospiterà il vertice Apec ed in dicembre il COP25, sarà in grado di farlo?
Photo: AP
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