Il giorno 24 dicembre 1951 la Libia diventa uno Stato indipendente sotto la guida di re Idris I, emiro della Cirenaica e capo dell’ordine politico-religioso dei Senussi. È l’inizio di una storia violenta e difficile che sembra ancora oggi ben lontana da una conclusione positiva per il Paese.
Ceduta dalla Turchia all’Italia nel 1912, la Libia conosce per diversi decenni dure politiche coloniali volte a sottometterla definitivamente al controllo di Roma. La principale spina nel fianco per il Governo italiano è l’ordine politico-religioso dei Senussi, attivo soprattutto in Cirenaica, ma non mancano anche fermenti nazionalisti in Tripolitania, conquistata militarmente nel 1911. L’arrivo al potere di Mussolini porta prima alla sottomissione di Tripoli e poi alla sconfitta dei Senussi, schiacciati brutalmente dalle “campagne di pacificazione” del generale Graziani nei primi anni ‘30. Successivamente il regime fascista investe ingenti somme nello sviluppo economico del Paese nordafricano, sperando di trasformarlo in una destinazione primaria per l’emigrazione italiana, ma i risultati sono assai limitati e consentono solo l’insediamento di circa 150mila coloni nella fascia costiera. La seconda guerra mondiale mette poi fine a questi tentativi di colonizzazione: nel 1943 il Paese viene infatti occupato integralmente dagli Alleati che danno avvio a una graduale emancipazione politica sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Dopo un periodo piuttosto incerto e convulso, segnato anche dal tentativo di creare uno Stato federale con parlamenti regionali separati, l’assemblea nazionale libica elegge il principe Sidi Muhammad Idris al-Mahdi al-Senusi come re del Paese e la Libia viene ufficialmente proclamata indipendente la vigilia di Natale del 1951. Ma l’indipendenza non allevia i tanti problemi interni del nuovo Stato, dalla povertà diffusa al conflitto tra differenti gruppi etnico-religiosi. Inoltre la marcata preferenza politica e personale di re Idris per la Cirenaica alimenta il risentimento di Tripoli, che ha accettato il predominio politico dei Senussi solo per evitare un eventuale ritorno politico dell’Italia nel Paese.
Nel 1959 la scoperta di significativi giacimenti petroliferi consente alla Libia di liberarsi dagli aiuti internazionali e di espandere servizi sociali e infrastrutture a beneficio dei propri abitanti. Ma il petrolio accresce anche la rivalità tra potenze straniere per il controllo dei giacimenti locali e l’insofferenza tripolina per il regime di re Idris. Nel 1969 un golpe militare pone fine alla monarchia e porta al potere il giovane colonnello Muammar Gheddafi, che lancia un’ambiziosa politica estera per trasformare la Libia in un attore di primo piano sullo scacchiere internazionale. Sfruttando i proventi dell’industria petrolifera, Gheddafi sostiene infatti diversi gruppi armati in Medio Oriente, tra cui quelli palestinesi, e cerca ripetutamente di porsi a capo dei Paesi africani. A livello interno, invece, il leader libico dà vita a una repubblica di tipo socialista e promuove svariati schemi per migliorare le condizioni di vita della popolazione, ma tali sforzi sono in parte vanificati dalle fluttuazioni dei prezzi petroliferi. Anche il crescente conflitto con gli Stati Uniti finisce per limitare lo sviluppo economico libico: nel 1986 il Presidente Reagan ordina persino il bombardamento di Tripoli e il Paese resta soggetto a sanzioni internazionali per anni, sia per il suo sostegno ad organizzazioni terroristiche che per il sospetto sviluppo di armi chimiche. Nei primi anni Duemila Gheddafi sfrutta però il nuovo contesto internazionale sorto dagli attentati dell’11 settembre per riavvicinarsi ai Paesi occidentali e ottenere un graduale allentamento delle sanzioni. Ma è una tregua di breve durata: nel febbraio 2011 la Cirenaica si rivolta apertamente contro il regime e ottiene presto il vitale sostegno politico-militare di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Cacciato da Tripoli, Gheddafi viene ucciso brutalmente dai ribelli e il Paese sembra avviarsi verso una difficile ma promettente transizione politica, testimoniata dalle elezioni relativamente pacifiche del luglio 2012. Ma tensioni regionali, terrorismo fondamentalista e giochi di potere internazionali finiscono per affondare ogni speranza democratica e per gettare il Paese in una sanguinosa guerra civile che continua ancora ai giorni nostri.
Simone Pelizza
Ricercatore, piemontese doc, laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano, poi gli studi in Gran Bretagna. Asia e Russia, le aree di maggiore interesse. Membro della Società Italiana di Storia Militare, autore di brevi contributi su alcuni giornali accademici.
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