Quando si parla di “Via della Seta” si richiama un immaginario fatto di viaggi, viandanti, scambi, leggende, lingue impenetrabili, civiltà sconosciute: l’evocazione di una rete di traffici millenari lungo cui sono transitate appunto la seta, ma anche le giade, i lapislazzuli, il tè, lo stagno, le spezie, la carta; insieme a uomini, idee, credi religiosi, conoscenze e scoperte, durante peregrinazioni che crearono ibridazioni millenarie. Questo fitto intreccio logistico, economico e commerciale assunse solo nel 1877 il nome di Seidenstraße (“Via della Seta” in tedesco), così come coniato dal barone von Richthofen. A questa variegata tela di percorsi si è ispirato il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping nel 2013, annunciando un piano epocale battezzato “One Belt, One Road” (一带一路, pronuncia Yīdài yīlù, “una cintura, una via”) sul tracciato di quelle antiche arterie che, tradizionalmente, partivano da Yumen – la Porta di Giada eretta nel 121 a. C. – e che oggi vengono organizzate in sei corridoi terrestri che costituiscono la Silk Road Economic Belt (SREB), e che si ramificano dall’Asia fino all’Europa collegandosi alla Via della Seta polare, lungo tre rotte che passano attraverso l’Artico. Al fascio di percorsi terrestri si aggiunge inoltre la 21st Century Maritime Silk Road (MSR), costituita dai Blue economic passages che dalle coste cinesi raggiungono l’Oceano Indiano, risalgono fino al Canale di Suez per immettersi nel Mediterraneo e approdare sulle coste italiane, porte millenarie tra Oriente e Occidente, e si agganciano nuovamente alla Via della Seta terrestre.
RETAGGI STORICI E NUOVE EPOPEE
L’iniziativa, ora denominata Belt and Road Initiative (BRI), è stata presentata dal governo di Pechino come la rinnovata rete di connessioni tra passato e futuro, che da millenni collega Oriente e Occidente seguendo il cammino del diplomatico Zhang Qian. È la medesima strada che permise alla Cina del II secolo a.C. di venire in contatto con la cultura ellenistica e di ricevere, nel 166 d.C., l’ambasciata inviata da Marco Aurelio, imperatore di Roma, ammaliato dalla seta (come testimoniato dal VI e XII libro della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio).
Questi canali d’interconnessione, attivi per secoli, raggiunsero l’apice tra il 1405 e il 1433, quando l’ammiraglio Zheng He, con un’immane flotta (le colossali giunche dei tesori), si spinse attraverso le rotte dell’Oceano Indiano fino alle coste dell’Africa orientale. Motivi molteplici portarono dopo pochi anni al definitivo abbandono da parte cinese di ogni interesse mercantile. Ma questa “abdicazione”, che condusse alla lenta e inesorabile dissoluzione dell’Impero Celeste, è oggi il fulcro su cui Pechino vuole fare leva per dare un’ultima, definitiva spinta alla rinascita della Repubblica Popolare Cinese.
LA GLOBALIZZAZIONE SECONDO PECHINO
Le nuove Vie della Seta sono dedicate allo scambio di merci ma, soprattutto, alla costruzione di modernissime infrastrutture, che prevedono: autostrade, ferrovie, vie sotterranee di gasdotti e oleodotti, e un vasto network di trasporti e comunicazioni fatto di tunnel sotterranei e ponti, percorsi marittimi e fluviali, porti e aeroporti, fibre ottiche e linee elettriche (che costituiscono le cosiddette “Vie della Seta digitali”). I finanziamenti dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) dovrebbero così creare lavoro, ricchezza, progresso e scambi culturali anche nelle terre più desolate, in un’ottica di equità. Non esiste ancora un elenco ufficiale dei Paesi partecipanti alla BRI: i dati cinesi sommano i Paesi appartenenti alle “economie di corridoio di Belt and Road” a quelli collocati in America Latina o in Africa, che hanno firmato accordi di collaborazione con la Cina, per un totale di 125 Paesi (dati 2019 del Belt and Road Portal). Il World Bank Group, nel suo rapporto pubblicato il 19 giugno 2019 sottolinea che, dal 2013 al 2018, gli investimenti diretti delle imprese cinesi nelle economie coinvolte nel progetto hanno superato i 90 miliardi di dollari, con un tasso di crescita medio annuo del 5,2%. Si stima, inoltre, un aumento degli scambi tra il 2,8 e il 9,7% per le economie lungo i corridoi e, per quelle non BRI, si evidenziano comunque benefici legati ai collegamenti, che dovrebbero far crescere il commercio mondiale tra l’1,7 e il 6,2%. Questo partenariato globale sarà in grado di aumentare il reddito reale dallo 0,7 al 2,9%, per circa 32 milioni di persone dislocate nelle economie partecipanti, riducendo la povertà moderata e recuperando circa 7,6 milioni di persone dalla povertà estrema. L’impatto positivo per l’economia globale, l’impegno profuso dalla Silk Road Think Tank Association e la volontà di promuovere uno sviluppo sostenibile per creare una comunità dal destino condiviso (come recentemente costituzionalizzato), dovrà però tenere conto dei rischi legati ai grandi progetti infrastrutturali che, per i Paesi con livello di debito elevato, potrebbero causare un deterioramento delle prospettive a medio termine.
AMBIZIONI E SPERANZE
Da questo quadro complessivo emerge la volontà, espressa anche nel corso del Forum II BARF di Pechino, di mitigare i possibili impatti negativi nelle economie beneficiarie con una versione ricalibrata e “green” dell’iniziativa, mirando a standard elevati e a ecosistemi sempre più aperti, equi, trasparenti e stabili. Questi sforzi di compatibilità ambientale, resilienza climatica e inclusione sociale sono innegabili, ma non dissolvono le perplessità legate all’asimmetria dei rapporti con i piccoli Stati, ostaggio del gigante cinese.
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CREDIT: HISTORY ARCHIVE/REX SHUTTERSTOCK
Elisabetta Esposito Martino
Sinologa, ricercatrice, nata nel 1961. Laurea in Scienze Politiche, Indirizzo Internazionale, diploma in Lingua e Cultura Cinese presso l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma, Perfezionamento in Lingua Cinese presso l’ISMEO. Continua a perfezionarsi presso MIP Business School del Politecnico di Milano e dalla SDA Bocconi School of Management, Griffith College di Dublino, Francis King School of English di Londra, EC S.Julians di Malta.
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