Essere presenti nello spazio extra-atmosferico è una necessità strategica imprescindibile per tutti quei Paesi che ambiscono al ruolo di grandi o medie potenze. La Cina ne è consapevole sin dai tempi di Mao, che cercò di non lasciare indietro il Paese nella corsa spaziale tra Stati Uniti e Unione Sovietica, iniziata come noto nel 1957 con il lancio del primo satellite artificiale: lo Sputnik 1.
Nel corso dei decenni, Pechino ha fatto enormi progressi nel settore spaziale, divenendo uno degli attori principali nello scenario internazionale. La strategia cinese è semplice e si basa sul concetto di “secondi a nessuno”. Questo vuol dire sviluppare tutte le tecnologie necessarie a non dipendere da altri Stati e, magari, sorpassarli in qualche modo. Inizialmente, il programma spaziale cinese era gestito dai militari, soprattutto per quanto riguardava lo sviluppo dei razzi. Questi, infatti, hanno la capacità di poter essere usati sia per portare un carico in orbita sia una o più testate belliche (possibilmente nucleari) sul territorio nemico, distante migliaia di chilometri. Anche i primi vettori spaziali sovietici e statunitensi erano progettati come missili balisitici intercontinentali o a raggio intermedio. Con il tempo, però, Pechino ha trasferito sempre più competenze a realtà civili fino a realizzare una vera e propria agenzia spaziale, sempre sotto l’occhio vigile – ma meno invadente – dei militari.
Il Paese è riuscito sostanzialmente a mettere in pratica la strategia del “secondi a nessuno”, mettendo sul tavolo tutte le tecnologie spaziali, sia civili sia per la difesa. Pechino dispone di una discreta gamma di satelliti per la ricognizione sia tramite sensori ottici classici, sia radar. Questi ultimi sono in grado di vedere sia di giorno sia di notte e, a determinate condizioni, anche con meteo avverso.
Dopo aver provato a partecipare al sistema satellitare europeo Galileo la Cina, esclusa dopo pressioni statunitensi, ha deciso di costruire una propria costellazione per la navigazione, il posizionamento e la sincronizzazione temporale, che ha chiamato Beidou. Per capirci, le funzioni svolte da questo tipo di piattaforme spaziali sono quelle del GPS statunitense, che tutti conoscono. La Cina usa questo sistema tanto in ambito militare quanto civile.
Ad arricchire la collezione cinese, ci sono poi i satelliti per il SIGINT (Signal Inteligence – intelligence dei segnali) per intercettare comunicazioni ed emissioni dei radar avversari e per l’early warning (“avvertimento preventivo”, per gli allarmi provenienti da lontano). Questi ultimi sono utili a individuare lanci di missili nemici tracciandone la segnatura termica dei motori al momento dell’accensione e nella fase propulsa di volo. Anche nel volo spaziale con equipaggio la Cina sta muovendo discreti passi: pur non essendo ancora a livello degli altri Paesi, tuttavia ha già fatto volare propri astronauti su veicoli autoctoni (anche se fortemente influenzati dal design russo della Soyuz) di tipo Shenzou, e ha messo in orbita due laboratori abitabili non permanenti chiamati Tiangong (Palazzo Celeste) 1 e 2.
IL FUTURO
Sul piano civile e scientifico, Pechino ha ambizioni proporzionate al suo status internazionale. Per i prossimi anni, probabilmente già a partire dal 2020, inizierà la costruzione in orbita di una stazione spaziale permanente (che sarà comunque più piccola della Stazione Spaziale Internazionale – ISS): questa sarà aperta alla collaborazione di altri Paesi sia per l’invio di esperimenti sia per la costruzione di moduli e per l’invio di astronauti. Per quanto riguarda l’esplorazione tramite sonde automatiche, la Cina ha puntato la Luna divenendo il primo Paese a far atterrare un proprio mezzo (dotato anche di Rover) sul lato nascosto del nostro satellite. Non è un mistero che queste operazioni potrebbero essere propedeutiche a un futuro piano di missioni con equipaggio. Sul piano militare, un test del 2007 ha mostrato al mondo che la Cina è in grado di abbattere satelliti in orbita. Tramite un veicolo impattatore, all’epoca Pechino distrusse un proprio satellite ormai obsoleto, creando però milioni di detriti spaziali che sono tutt’ora un pericolo per piattaforme che orbitano alla medesima quota. L’anno successivo, durante la missione con equipaggio Shenzou 7, fu rilasciato un satellite miniaturizzato che passò entro il raggio di sicurezza della ISS, costringendo la stazione a effettuare una manovra di spostamento di sicurezza. Altri test, questa volta con l’utilizzo di missili, si sono succeduti anche negli anni successivi. Tali capacità, unite a quella di poter effettuare attacchi informatici, hanno messo in allarme gli Stati Uniti, provocando un’accelerazione notevole nella volontà di creare la Space Force, ossia una branca delle Forze Armate (o più probabilmente dell’Aeronautica Militare) dedicata alla protezione degli asset spaziali.
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Emiliano Battisti
Nato a Roma nel 1986, laurea triennale in Scienze Politiche e specialistica in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Stagista presso l’Ambasciata italiana a Washington e presso quella statunitense a Roma. Master in Istituzioni e Politiche Spaziali, esperto di Nord America. Segretario Generale de Il Caffè Geopolitico
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