Joe Biden, candidato del Partito Democratico alle presidenziali del prossimo 3 novembre, ha detto che non riporterebbe a Tel Aviv l’ambasciata americana in Israele in caso di elezione alla Casa Bianca. Di fatto, Biden ha accettato la decisione di Donald Trump di spostare la sede diplomatica a Gerusalemme, anche se non si è dichiarato favorevole alle modalità in cui il presidente Donald Trump ha deciso di trasferirla lì. È una dichiarazione significativa: l’argomento è sempre uno dei più delicati della diplomazia Usa, per la storica alleanza con Israele e le tensioni di quella regione.
Biden ha spiegato la sua idea durante una raccolta fondi – ovviamente virtuale – con i sostenitori della campagna elettorale del Massachusetts, rispondendo alla domanda di un elettore: «La mossa di Trump è avvenuta nel contesto sbagliato – ha detto l’ex vicepresidente – doveva essere parte di un accordo più ampio per aiutarci a raggiungere importanti passi in avanti nel processo di pace. Ma se diventassi presidente non riporterei l’ambasciata a Tel Aviv».
In questa storia, l’ambasciata statunitense è solo un pretesto, non è il vero nodo della questione: per quello bisogna guardare alla volontà di Israele di annettere nuovi territori e alla possibile convivenza con i palestinesi. Non a caso, durante la videoconferenza Biden ha spiegato anche che cercherebbe un dialogo per «coinvolgere i palestinesi» nella speranza di mantenere viva la prospettiva di una soluzione a due Stati. «Sono da sempre un fiero sostenitore di una nazione ebraica sicura e democratica, ma dobbiamo fare passi in avanti nella prospettiva di una soluzione a due Stati», ha detto l’ex vicepresidente, perché spiegando che una decisione “unilaterale” finirebbe per rendere meno probabile un accordo.
Il Congresso statunitense aveva approvato il “Jerusalem Embassy Act”, la legge che trasferisce la sede diplomatica nella Città Santa, nel 1995 durante l’amministrazione Clinton. In quel periodo Biden era senatore del Delaware, e ha votato a favore dello spostamento della sede diplomatica a Gerusalemme. L’atto è vincolante ma, come spesso accade nella politica Usa, c’è una clausola che permette al presidente in carica di rinviare l’attuazione della legge ogni sei mesi per “superiori interessi di sicurezza nazionale”. Quella clausola è stata usata con regolarità da Clinton, Bush e Obama.
Quando Trump annunciò la decisione di spostare l’ambasciata, nel dicembre 2017, fu osteggiato da molti: la scelta, dicevano gli esperti, avrebbe aumentato le tensioni nella regione e cancellato ogni possibilità di un accordo di pace tra palestinesi e Israele, come hanno testimoniato le manifestazioni di quei giorni – poi ripetute anche all’inaugurazione della nuova sede diplomatica nel maggio 2018.
La dichiarazione di Biden, però, va letta e interpretata nell’ottica di una delle campagne elettorali più assurde della storia: a causa delle restrizioni, l’ex vicepresidente non ha possibilità di fare comizi in pubblico; non può parlare di persona ai suoi elettori; la sua visibilità è minima rispetto a quella che dovrebbe avere il frontrunner del partito di opposizione a sei mesi dalle elezioni. Anche il presidente Trump non si trova in un momento particolarmente felice, con l’indice di popolarità che è tornato a calare negli ultimi giorni, ma di sicuro ha una visibilità e un margine di manovra infinitamente maggiore rispetto al suo sfidante (basti pensare che fino a qualche giorno fa teneva conferenze stampa quotidiane).
Alexander Burns, giornalista del New York Times, durante un recente episodio del Daily Podcast del giornale ha definito la campagna elettorale di Biden «super weird», molto strana. «Biden parla dal suo seminterrato, che ha adibito a studio, e da lì fa discorsi agli elettori. Ma è tutto un work in progress», ha spiegato Burns.
Insomma, il candidato Democratico si muove su un terreno difficile e di certo non può permettersi di perdere una buona fetta di elettori della comunità ebraica, importantissima per il suo partito. D’altronde in questo momento, con la campagna elettorale ferma (o quasi), è fondamentale fare quadrato attorno alle proprie certezze. Non a caso i più importanti esponenti del Partito Democratico hanno deciso di mostrarsi uniti nel sostegno a Biden, anche dopo una dichiarazione potenzialmente controversa come quella sull’ambasciata in Israele.
Gli ex candidati alle primarie Elizabeth Warren, Kamala Harris e Bernie Sanders in passato avevano fortemente osteggiato la decisione di Trump di spostare la sede a Gerusalemme, ma non hanno commentato le dichiarazioni di Biden. E poi ancora: il senatore Cory Booker, Amy Klobuchar e Kirsten Gillibrand, Beto O’Rourke e Pete Buttigieg – tutti ex candidati alle primarie del partito, poi ritirati – hanno detto che a questo punto non avrebbe senso riportare l’ambasciata a Tel Aviv. «Mi sono opposto alla mossa dell’ambasciata perché credevo che sarebbe stata inclusa nel più ampio processo di negoziazione», ha detto il senatore Cory Booker ad Axios. «Ora che l’ambasciata è stata spostata, non penso sia pratico o produttivo riportarla a Tel Aviv».
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Tra l’altro la campagna elettorale di Biden vive un momento molto complicato: alcune inchieste giornalistiche hanno riportato a galla notizie importanti su un’accusa per molestie sessuali avanzata per la prima volta a fine marzo. Riguarda fatti accaduti nella primavera del 1993. Negli ultimi giorni i media hanno scoperto dettagli che potrebbero corroborare la tesi dell’accusa. Diversi giornali hanno raccolto dichiarazioni di persone che hanno lavorato nello staff di Biden, rivelando che i suoi comportamenti spesso mettevano a disagio le donne: si parla di abbracci, carezze sulle spalle, baci sulla fronte. Di questi atteggiamenti di Biden ci sono molti testimoni e foto, ed era considerato una specie di “open secret”, una cosa che sapevano tutti a Washington, ma in diversi casi le accuse erano state smentite dalle stesse donne interessate. Ma in questo momento – al di là delle conseguenze dirette delle accuse – certe dichiarazioni possono avere una grande influenza negativa sulla campagna elettorale, nonostante le smentite arrivate dal comitato di Biden.
Democratic presidential candidate former US Vice President Joe Biden speaks about the coronavirus, March 12, 2020, in Wilmington, Delaware. (AP/Matt Rourke)
Alessandro Cappelli
Giornalista professionista appassionato di politica internazionale e sport. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Orientale di Napoli con una tesi in Storia dell'America Latina. Collabora con Rivista Undici e Linkiesta. Ha scritto il libro "STAND UP, SPEAK OUT. Storia e storie di sport e diritti civili negli Usa".
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