Tra dipendenza e spinte autonomiste rispetto alla generosità saudita, l’Egitto di Al-Sisi sta cercando di farsi strada nello scenario regionale, al fine di garantire la sicurezza nazionale, economica ed energetica, che gli permetterebbero di recuperare quel ruolo di guida politica e forza centripeta all’interno dell’area.
1. IL PILASTRO DELLA POLITICA ESTERA EGIZIANA
In uno scenario regionale preda di competizioni geopolitiche e profonde trasformazioni, l’Egitto di al-Sisi può essere considerato una Giano bifronte: da un lato dipendente dalla generosità dei Paesi del Golfo, dall’altro influenzato da valutazioni pragmatiche che lo spingono ad aggiustare i suoi obiettivi (interni ed esterni) in base alle sfide del momento. In tal senso la porosità dei confini mediorientali e la paura di un rinnovato revival islamico spingono il Paese a adottare una linea comune di politica estera che si basa su un unico principio: la sicurezza, che ne costituisce il pilastro principale. Essa va intesa sia come lotta al terrorismo di matrice islamica e all’opposizione ai movimenti islamisti organizzati, sia come sicurezza economica ed energetica. Così come Mubarak prima di lui, al-Sisi riconosce, sia in teoria che in pratica, che la sicurezza del Golfo è e rimane parte integrante della sicurezza nazionale egiziana. Questi i presupposti che hanno portato alla stipula della Cairo Declaration tra il Presidente al-Sisi e il Principe ereditario Mohammed bin Salman volto a rafforzare i legami economici e militari tra i due Paesi arabi. La politica estera egiziana si lega a doppio filo con gli scenari di conflitto in territorio yemenita e libico da cui dipendono la sicurezza commerciale ed energetica egiziana. Nulla di nuovo sul fronte turco, dove continuano le contrapposizioni (ideologiche, militari e strategiche) nei vari scenari di conflitto dopo il breve periodo di distensione attuato dalla presidenza Morsi, data anche l’appoggio di Ankara alla Fratellanza Musulmana.
Fig. 1- Il primo venerdì di Ramadan nella città del Cairo, 24 aprile 2020
2. L’IMPORTANZA DEI CONFLITTI ESTERI
Mentre nella guerra per procura che si combatte tutt’ora in Yemen la mano invisibile del settarismo ha messo in luce per l’Arabia Saudita l’importanza di un Egitto schierato a favore della coalizione anti-iraniana (che supporta i ribelli Houthi), l’economia del conflitto ha costretto l’Egitto ad adottare una linea più intransigente per difendere i suoi interessi commerciali nella regione. Geograficamente confinante con il Canale di Suez, lo stretto di el-Mandeb è uno dei chokepoint marittimi più importanti per il commercio globale. L’attacco da parte di ribelli Houthi (nel 2018) e la conseguente sospensione del traffico navale da parte dell’Arabia Saudita hanno costituito una seria minaccia per il commercio egiziano, dal momento che il 10% del traffico commerciale marittimo globale e le petroliere provenienti dai Paesi del Golfo passano per il canale di Suez, che negli ultimi anni è stato oggetto di lavori d’ampliamento al fine di consentire il passaggio a navi porta container di ultima generazione. Il conflitto yemenita e i suoi recenti sviluppi non solo vanificherebbero gli investimenti fatti per la costruzione di un “nuovo Egitto”, ma più in generale minerebbero il ruolo di hub energetico e commerciale che faticosamente l’Egitto cerca di ricoprire nello scenario regionale.
Fig. 2 – Il Presidente egiziano al-Sisi durante un meeting a Londra, 20 gennaio 2020
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3. QUESTIONE LIBICA E GAS NEL MEDITERRANEO
Schierato a sostegno della coalizione che supporta l’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar, il coinvolgimento egiziano nel conflitto libico risale al 2014, anno cui si è dato avvio all’Operazione Dignità per liberare Bengasi delle milizie islamiste. Iniziato per securizzare il confine che separa la Libia dall’Egitto ed evitare l’infiltrazione di milizie ribelli e commercio d’armi, il coinvolgimento egiziano ha preso un’altra piega nel momento in cui l’ENI ha annunciato la scoperta di un nuovo giacimento di gas sottomarino (Nour) nel Mediterraneo egiziano, andando a destabilizzare gli equilibri già precari all’interno del Mediterraneo allargato. La commercializzazione di gas liquefatto proveniente dai giacimenti sottomarini egiziani di Nour e Zohr non solo permetterà all’Egitto di soddisfare il consumo di gas interno alla regione, ma rilancerebbe il suo ruolo politico ed energetico nel Mediterraneo. Rilancio che permetterebbe da un lato di svincolare la sua politica estera dai dettami sauditi ed emiratini e dall’altro di contenere le mire espansionistiche turche nella regione. Il sostegno turco al Governo di Tripoli e il recente accordo marittimo tra i due Paesi volto a ristrutturare i confini a est del Mediterraneo non solo limiterebbe le attività cipriote, greche ed egiziane nell’area, ma comprometterebbe in maniera significativa la politica egiziana del rilancio energetico. Il triumvirato Egitto-Cipro-Grecia con l’aggiunta di Israele ha portato alla formazione di una partnership geo-strategica per l’esportazione di gas liquido verso i mercati europei, escludendo la Turchia dall’Eastern Mediterranean Gas Forum (2019), il quale sancisce una maggiore cooperazione energetica tra i Paesi firmatari per la creazione un mercato “unico” del gas nel Mediterraneo e che per la sua esportazione utilizzerebbe proprio le infrastrutture egiziane di liquefazione del gas. Il futuro ruolo di hub energetico dell’Egitto dipende non solo da una maggiore cooperazione inter-regionale, ma anche dalle incertezze del conflitto libico. Più in particolare dalle posizioni del generale Haftar che oscillano tra spinte plebiscitarie e irrefrenabile autonomismo, come dimostrato dal post-conferenza di Berlino e dal rifiuto del Generale di adottare un cessate il fuoco permanente all’interno della regione. Considerati i recenti sviluppi, si direbbe proprio che l’Egitto si trovi in una posizione (militare e non solo) di assoluto svantaggio rispetto al rivale turco e costretto a ricalcolare le sue mosse.
Di Valentina Ricco, pubblicato su Il Caffè Geopolitico
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