Lo scontro in Donbass è silenzioso ma duraturo. Nonostante la scarsità di notizie, dovute anche dalla necessità mediatica di coprire l’evoluzione della pandemia da Covid, il conflitto non è mai realmente terminato. A poco sono i “cessate il fuoco”, violati da entrambe le parti: Kiev e Mosca. Mentre i due governi litigano sull’accordo di Minsk su un’eventuale risoluzione, le milizie continuano a sparare.
A più di un anno dall’elezione di Zelensky, è possibile valutare i cambiamenti sul fronte europeo orientale. Grazie a Zelensky i rapporti con Mosca sono ora assidui, ma questo non vuol dire che siano necessariamente migliorati. Anche perché nonostante i presunti sforzi dei governi centrali, intenti ad appianare le loro divergenze e garantire i reciproci interessi, le milizie in campo non sembrano essere intenzionate a seguire i diktat governativi. Ogni volta che una di queste agisce in maniera indipendente, si rischia un passo indietro nelle trattative.
Ci eravamo lasciati a febbraio nella più totale incertezza. L’ordine di cessare le schermaglie veniva violato dalle milizie, mentre il Cremlino era impegnato a violare nuovamente l’accordo di Minsk trasportando, su un Tupolev militare, armi non previste dall’accordo. In concomitanza, sul fronte burocratico, Zelensky aveva rifiutato il piano di pace, stilato in 12 punti da ex membri governativi americani, europei e russi, redatto durante conferenza di Monaco. Come ha fatto capire il Presidente ucraino a più riprese, Kiev non ha intenzione di restare in secondo piano rispetto alla Federazione Russa.
Ancora più esplicito è stato Vladimir Pystako, che non ha esitato a esprimere il malcontento sia riguardo la situazione in Donbass, oltre che in Crimea, anche per il lassismo delle organizzazioni internazionali. La sua voce ha tuonato in due diverse riprese. Alla fine di febbraio, durante l’Assemblea generale ONU, Pystako ha rimarcato le proprie preoccupazioni riguardo le violazioni del diritto internazionale da parte del Cremlino. Nel suo discorso ha così definito le conseguenze dell’atteggiamento dell’ONU:
La mancanza di una risposta adeguata alle violazioni e l’impunità per queste violazioni hanno creato un precedente di portata globale – oggi nessuno di noi può sentirsi al sicuro e protetto dalla Carta delle Nazioni Unite, a meno che non si inverta la tendenza.
In contesti meno istituzionali, Pystako ha poi confermato la linea di Kiev, determinata a non arrendersi ai presunti soprusi russi, rivendicando la Crimea, oltre che il Donbass, come territori ucraini.
Ad aprile, un nuovo report dell’OSCE ha confermato la presenza di nuove attrezzature elettroniche militari russe nelle regioni dell’Ucraina orientale, sempre controllate dai separatisti. Le forze ucraine hanno avvistato attrezzature simili in altre aree all’interno della zona controllata dai separatisti, confermando i precedenti rapporti sulla costante presenza russa sul territorio. Questo corrobora anche l’ipotesi di un continuo doppio gioco da parte delle due parti che, nonostante siedano ai tavoli diplomatici, non cedono sul fronte militare.
Nel mese di maggio, invece, c’ è stato un nuovo stop a livello burocratico, che anche se questa volta si potrebbe definire come un’ autoflagellazione ucraina. Come riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, il presidente del Parlamento ucraino, Dmitrij Razumkov, ha confermato l’impossibilità di avere una seconda votazione in merito alla richiesta di intensificazione delle pressioni sul Cremlino. Questo voto era ritenuto necessario al fine di ottenere supporto dai governi stranieri e dalle organizzazioni internazionali, perché le aggressioni militari russe sul territorio ucraino potessero interrompersi. A fermare questa operazione c’è anche «l’umore della società», come ha affremato lo stesso Razumkov.
Nonostante la mancata realizzazione del voto, la comunità internazionale si è comunque mossa attivamente nei confronti degli atteggiamenti russi. Il 30 giugno, l’Unione Europea ha prorogato le sanzioni contro la Russia per sei ulteriori mesi, colpevole di non aver finalizzato un accordo di pace con l’Ucraina. Le sanzioni riguardano i settori dell’energia, della difesa e della finanza della Federazione, nonché i beni che possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari.
Pensare però che il Cremlino sia l’unico attore che spinge prepotentemente per l’annessione dei territori del Donbass e della Crimea è sbagliato. Indicativa ed importante rimane la percezione del popolo residente nelle aree occupate, che raccontando due diverse narrazioni nelle rispettive aree del Donbass e della Crimea. In occasione del referendum costituzionale russo del 1° luglio, la Crimea, considerat da Kiev territorio ucraino ma temporaneamente occupato dalla Federazione, ha votato a favore delle modifiche, favorendo Putin. Kiev ha reagito nervosamente, dichiarando di non riconoscere le votazioni, dopo che il Ministero degli esteri ucraino aveva già richiesto sanzioni internazionali per gli organizzatori del voto, considerato illegittimo. D’altrocanto, il primo vicepresidente del parlamento della Crimea, Efim Fiks, ha affermato di non avere bisogno di un riconoscimento ucraino riguardo alle votazioni in Crimea. Ciò corrobora la visione russa, secondo la quale la vicenda della Crimea è stata democraticamente chiusa con il referendum del 2014.
L’impegno della comunità internazionale, specialmente negli ultimi mesi, pare però aver sbloccato la situazione di stallo vigente in Donbass. Grazie all’opera di intermediazione dell’OSCE, il 22 luglio le rispettive delegazioni di Kiev e Mosca hanno raggiunto l’accordo per un armistizio definitivo, almeno nelle intenzioni. L’accordo è stato accolto con giubilo dalla presidenza ucraina, la quale ha affermato che:
Il regime di cessate il fuoco completo e definitivo, se osservato dalla controparte, è un prerequisito fondamentale per l’attuazione degli accordi di Minsk e apre la strada all’attuazione di altre disposizioni di questi accordi
Nei giorni seguenti, le milizie hanno proseguito con qualche sporadico attacco, specialmente con armi bandite dall’accordo di Minsk come i mortai da 120mm. Come precedentemente sottolineato, i governi e le milizie agiscono su due diversi livelli e in maniera totalmente asimmetrica. In questo frangente, le frange dubitano in merito alla realizzazione, soprattutto a livello definitivo, dell’accordo.
Ciò nonostante, l’accordo ha raggiunto la sua realizzazione il 27 luglio, data ufficiale di inizio dell’ordine di cessazione definitiva delle schermaglie. Nonostante il raggiungimento di questo accordo, le forze militari russe continuano ad essere concentrate intorno al confine con il Donbass, mentre il Cremlino continua a negare la sua presenza nella suddetta area.
Due giorni dopo l’implementazione dell’accordo, Vladimir Putin ha voluto contattare telefonicamente Zelensky. Sebbene le due parti si trovino rinfrancate dalla possibile fine del conflitto, Putin ha espresso disaccordo e preoccupazione per due azioni ucraine. La prima consiste nella risoluzione parlamentare ucraina volta ad attuare elezioni locali nel 2020, poichè, secondo Vladia, ciò mina gli accordi di Minsk e le future stipulazioni. Il Presidente russo ha negato la possibilità di avere consultazioni elettorali, ucraine, nei distretti di Donetsk e Luhans’k. In secondo luogo, Putin ha sottolineato come le affermazioni di alcuni alti funzionari Kiev, riguardo la necessità di revisione di alcune disposizioni previste dalle misure stilate a Parigi nel 2019, mettano a dura prova il raggiungimento di una pace definitiva. Si ricordi che il pacchetto di misure stabilito ha lo scopo di riconsegnare i distretti separatisti del Donbass all’Ucraina, a patto che vi sia una sostanziale devoluzione di poteri.
Utile ricordare, infine, la gravità del conflitto dal punto di vista umanitario. Come riportato da CFR infatti, dal 2014 si stimano più di 10.000 vittime civili e 1,5 milioni di sfollati nella regione contesa. Il conflitto si è esteso per 450 chilometri.
Luca Mazzacane
Nato a Pavia nel 1994, Dr. in Lingue e Culture Moderne presso Università di Pavia (BA), Dr. in Global Studies presso LUISS Roma, diplomato in Analisi del rischio politico presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma; diplomato in Multimedia Journalism presso Deutsche Welle, a Berlino, tirocinante presso Formiche Edizioni. Appassionato di geopolitica, specialmente del mondo Est europeo. Parla fluentemente francese, inglese, russo e spagnolo.
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