Gli Stati Uniti si trovano attualmente al primo posto nel mondo per il numero di armi possedute. A causa della differenza tra le normative dei vari stati è impossibile ottenere delle cifre in grado di stabilirne il numero esatto. Tuttavia, le stime più recenti ci mostrano che, a fronte di una popolazione di 328,2 milioni di abitanti, potrebbero esserci più di 350 milioni di armi. A conti fatti, più del 30% della popolazione dichiara di possederne una ed il 43% di abitare in una casa in cui sono presenti.
Il Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America asserisce:
Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.
Ad oggi, quella di possedere un’arma risulta ancora una prerogativa intoccabile per ogni abitante del suolo americano, nonostante l’articolo citato sia stato adottato il 15 dicembre 1791 ai tempi del padre della nazione, George Washington. Era quella l’epoca dei moschetti a miccia, in grado di sparare al massimo tre colpi al minuto e arrivare a una distanza di tiro che raramente riusciva a superare i 50 metri. Tempi, insomma, piuttosto diversi da quelli odierni, in cui con un’arma automatica si riesce ad arrivare anche a 100 colpi al minuto, coprendo una distanza media di circa 300 metri.
Osservando i sondaggi di Gallup e del Pew Research Center si riesce a delineare un profilo del possessore ideale, che tipicamente è bianco, maschio e di orientamento repubblicano; queste sono anche le caratteristiche di chi è più propenso a dichiarare il possesso di tale arma. Le categorie più restie a farlo sarebbero invece le donne, i liberali e gli ispanici.
I più armati risultano essere gli stati del sud-ovest, in particolare le zone rurali. Il reddito e il livello di istruzione del detentore sono, in genere, questi: persone che hanno concluso almeno il liceo e che guadagnano dai 40.000 ai 100.000 dollari all’anno.
Nonostante ciò, negli ultimi anni anche molti democratici hanno iniziato ad affermare di sentire la necessità di procurarsi una pistola, usando la principale motivazione che da sempre viene data: la difesa di se stessi e dei propri cari. Questa tendenza mostra una generale e progressiva diminuzione della fiducia verso le istituzioni, che dovrebbero garantire al cittadino l’ordine pubblico.
Approssimativamente, sette persone su dieci affermano di essersi trovate, almeno una volta nella vita, nella condizione di dover caricare una pistola, comprese coloro che dichiarano di non averne mai avuta una. Nonostante il 44% delle persone dica di conoscere personalmente qualcuno che sia stato colpito da un’arma e nonostante sia ormai raro contare un giorno in cui non si verifichi una sparatoria, la considerazione generale riguardo i possessori di armi rimane stabilmente positiva da parte della grande maggioranza dei cittadini.
Si può dire che ci sia una crescita continua di un generale sentimento di paura e quindi una conseguente tendenza all’approvazione di una sorta di giustizia fai da te, tendenza che sta andando via via crescendo anche grazie al grande potere mediatico ed economico detenuto dalle molte associazioni pro-armi. Tra queste, la potente NRA (National Rifle Association), che vanta tra i suoi membri circa un quinto dei possessori totali di armi.
La NRA ha formato il proprio Comitato di azione politica (PAC) nel 1977 con il fine di far convogliare i fondi ai legislatori e da qui in avanti il suo potere nell’indirizzare l’opinione pubblica non ha fatto che crescere. Ad oggi, l’associazione è tra le più potenti lobby degli Stati Uniti, con un budget considerevole che viene utilizzato allo scopo di influenzare direttamente i membri del Congresso sulla politica delle armi da fuoco. Spende in contributi registrati ai legislatori circa 3 milioni di dollari l’anno, ai quali si deve aggiungere l’influenza indiretta che riesce ad esercitare attraverso i suoi membri altamente impegnati in politica, che con i loro voti influenzano notevolmente i sondaggi.
Dall’elezione di Donald Trump nel 2016, la spesa della NRA per le campagne negli Stati Uniti è precipitata, in quanto ritenuta superflua. È stato stimato che i gruppi per il controllo delle armi, spinti in gran parte dalla fortuna di Michael Bloomberg, spesero 20,2 milioni di dollari per le elezioni di metà mandato del 2018, segnando per la prima volta in decenni un superamento di spesa in confronto ai gruppi pro-armi nelle gare federali.
La portavoce dell’NRA Jennifer Baker sentenziò al tempo: «Mentre la lobby per il controllo delle armi è finanziata da un assegno in bianco di un miliardario anti-armi di New York City, l’NRA fa affidamento su milioni di piccole donazioni da parte di uomini e donne che lavorano, I suoi soldi non possono competere con la nostra organizzazione di base».
Per deviare una cultura politica improntata al diritto all’autodifesa a scapito della sicurezza pubblica non basta un investimento una tantum, ci sarebbe da smantellare un intero assetto culturale ormai già formato.
A sottolineare quanto il fenomeno del lobbying goda di un enorme potere nel contesto del sistema capitalistico americano, questi numeri mostrano che l’ascesa della pistola come arma per eccellenza, quanto la visione della difesa personale come prerogativa del proprietario di armi, si siano verificate proprio nel momento in cui, in questi ultimi decenni, la criminalità violenta è scesa ai minimi storici. Un’evidenza quantomeno curiosa che, una volta attualizzata, trova una spiegazione chiara.
A spaventare molti acquirenti di armi non è il crimine comune, ma la possibilità di essere coinvolti in uno dei mass shooting sempre più frequenti e che vengono dettagliatamente mostrati dai media. Realtà e narrazione si sono ormai indissolubilmente intrecciate nella creazione di un moderno Far West, nel quale la responsabilità della propria sopravvivenza sembra lasciata all’individuo, il quale viene costantemente sottoposto a prove di forza personale.
Ulteriori sondaggi ci mostrano quindi che, con il crescere del benessere materiale, cresce anche il numero di armi presenti in casa. Il 66% dei possessori non si ferma ad un’unica pistola, la maggioranza ne possiede circa tre, il 29% arriva ad averne anche più di cinque e una ricerca di Harvard/Northeastern di quattro anni fa ci indica che il 3% della popolazione americana deterrebbe la metà di tutte le armi presenti nel territorio. In accordo con l’enorme disparità di ricchezza presente nel suolo americano, esistono anche dei superproprietari di armi: 7,7 milioni di persone che ne possiedono da otto a 140 a testa.
Nulla di nuovo, dicono gli esperti, non è altro che l’attuazione del Principio di Pareto, che prevede che l’80% delle ricchezze sia in mano al 20% della popolazione. Il commercio delle armi funziona ormai esattamente come quello di qualsiasi altro bene, con la particolarità di rientrare per una percentuale sempre più alta di persone nel gruppo dei beni indispensabili come possono esserlo cibo ed acqua, nel caso di uno scenario disastroso, che l’americano medio non sembra vedere come molto improbabile. Con l’aumentare della ricchezza, aumenta la possibilità di sopravvivenza a scapito del più povero e più debole. Come differenti sono le potenziali situazioni di pericolo, diversa diventa l’arma più adeguata da avere.
Il possesso di armi da fuoco e il loro utilizzo si inserisce in un più ampio discorso sull’approccio a tutti i beni di consumo, che vengono pubblicizzati dai mezzi di comunicazione. In questo quadro, anche l’insoddisfazione per i propri rapporti umani, il difficile accesso a un’adeguata assistenza psicologica dovuto all’apparato sanitario prevalentemente privato, possono avere peso. Due terzi delle morti causate da armi da fuoco sono suicidi e la costante soluzione del problema delle sparatorie con la scusa della malattia mentale ha creato una “verità illusoria” ampiamente accettata, mai davvero affrontata.
Chiara Pretto
Nata in provincia di Vicenza nel 1994. Laureata al Dams di Bologna con una tesi sulla semiotica del potere, si interessa prevalentemente di Nord America e Medio Oriente. Ha lavorato per un po' in Israele.
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