Entro quale limite una proiezione di potenza possa ritenersi valida come elemento di regolazione delle relazioni internazionali, è sempre un punto controverso. A proposito della Germania, uno degli interrogativi a cui possiamo dare risposta è quanto la sua geopolitica e la sua politica estera (due materie ben distinte) rappresentino chiavi di lettura indispensabili per osservare il presente e predire il futuro a partire dall’analisi del passato. Comprendere le scelte della Germania e il suo orientamento di lungo periodo significa capirne la storia e la vocazione all’espansionismo sin dal 1806, quando finì il Sacro Romano Impero; significa mettere a fuoco i reali rapporti di forza, e quindi d’interesse, tra la Germania e gli altri paesi della NATO, a cominciare dagli Stati Uniti, nonché quelli con la Russia e la Cina; significa interpretare il ruolo-guida tedesco nel blocco europeo che non può disinteressarsi al Mediterraneo allargato, dove l’East Med non vuol dire solo approvvigionamento energetico, ma anche scenari di rotte commerciali che richiedono stabilità e influiscono sulla sfida valutaria cinese alla supremazia del dollaro.
Bisogna premettere che il concetto di Westbindung rappresenta il perno del rapporto Germania e Stati Uniti d’America. È un fatto in sé, un elemento storico ed organico, con origini ben determinate. Negli USA i Deutschamerikaner, i cittadini che discendono da ceppi germanici, sono circa 45 milioni su oltre 300 milioni di abitanti. L’immigrazione tedesca negli Stati Uniti iniziò intorno alla metà del XIX secolo, allorché le comunità germaniche si stabilirono prevalentemente negli Stati del Midwest e presero a coltivare vaste superfici di terra libera. Pfizer, Boeing, Steinway, Levi Strauss, Heinz, sono multinazionali fondate da germano-americani. Tornando all’Europa di oggi, va sottolineato come i progetti che ineriscono la difesa comune europea, che hanno segnato una sensibile accelerazione con l’attuazione graduale delle proposte seguite alla dichiarazione congiunta NATO-UE, firmata a Varsavia nel luglio 2016, confermano che l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea sono diventate per molti versi complementari, seppur con un percorso ancora da completare. Ma per quale ragione il futuro della Germania (e dell’Europa) dipende ancora e in larga misura da una tesi storica che potrebbe apparire superata?
Restando in epoca contemporanea, l’equidistanza tra Est e Ovest è la trappola in cui l’Urss e poi la Russia hanno cercato di attirare la Germania dagli anni Cinquanta del XX secolo. I tentativi spaziano dalla reiterata offerta di Stalin del 1952 di garantire la neutralità tedesca in cambio dell’unificazione, alla strategia di lungo periodo di Brežnev di strumentalizzare la dipendenza energetica tedesca per legare Berlino agli interessi russi, fino allo sfruttamento attuale, con l’Infowar, delle paure tedesche su questioni come la difesa missilistica intesa quale strumento di pressione psicologica, l’immigrazione e l’invasione dell’Ucraina. In tutti questi casi, l’obiettivo di Mosca è stato ed è quello di promuovere una qualche azione di distanziamento della Germania dall’Occidente. Ma il concetto di Westbindung, che fu elaborato da Adenauer e finalizzato ad integrare la Germania Ovest nel blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, è ancora oggi l’unico modo per la Germania di riappacificarsi con la propria Storia e di mitigare la sua proiezione (e politica) di potenza, che più di uno studioso ha confuso con “aggressività”.
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Westbindung, storicamente, è stata la precondizione della riconciliazione tra francesi e tedeschi e dell’integrazione nell’UE. Molti hanno creduto che dopo la riunificazione tedesca, la Westbindung avrebbe avuto meno rilevanza, giacché l’equilibrio apodittico della Guerra Fredda volgeva al termine e il mondo stava diventando “più occidentale”, libero a tutte le latitudini, secondo la tesi di Fukuyama. La Westbindung tedesca si fonda classicamente su sette pilastri: il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti; quello speciale di non belligeranza con la Francia; l’adesione all’UE; l’appartenenza alla NATO, il multilateralismo, l’imprinting culturale “renano” intrecciato al Luteranesimo come ideologia del rispetto dello Stato e delle istituzioni; la proiezione di potenza verso l’esterno, che deriva dallo Standestaat e dall’organizzazione cetuale.
Gli Stati Uniti di Trump sono stati guardati con ostilità, soprattutto a causa della guerra commerciale condotta contro l’export tedesco; la Francia vagheggia un’uscita improbabile dalla NATO ed ha una proiezione di potenza (grazie alla guerre économique) dal Sahel alla Russia fino alla Cina, ma non ha altra scelta che preservare il patto franco-tedesco (peraltro, in Africa, può fare poco senza il supporto militare americano AFRICOM); l’UE è stata voluta sostanzialmente da Berlino come mezzo di condizionamento delle politiche monetarie e commerciali dell’Unione, ma questo ha indebolito la percezione della Germania quale Stato-guida del continente; la NATO da taluni è stata ritenuta obsoleta, anche se continua a rappresenta il seccante promemoria che là fuori non ci sono solo mercati e flussi finanziari, ma anche minacce, terrorismo, focolai di guerre anche convenzionali, cambiamenti geopolitici e geoenergetici.
La Germania non può rinunciare alla sua proiezione di potenza commerciale e geoeconomica, in tutti i continenti, eppure la sua politica estera e quella di difesa, lungo tutto il corso dei mandati di Angela Merkel, hanno confermato due aspetti nodali: in primis, lo scetticismo permanente nei confronti delle posizioni della Russia, che non è stata elevata a rango di partner strategico ma è rimasta una fonte di approvvigionamento energetico (il gas, anche se va rilevato che il progetto Nord Stream 2, criticato da Stati Uniti, Commissione Europea, Ucraina e altri Stati dell’Europa orientale, sarà lentamente accantonato); in secundis, l’impossibilità di coniugare i valori liberali dei padri fondatori della Repubblica Federale con la visione imperiale, confuciana e distopica della Cina.
Fine Prima Parte. Continua.
Questo saggio breve è dedicato alla memoria del Prof. Marco Giaconi Alonzi, recentemente scomparso.
Marco Rota
Consulente strategico e analista delle Relazioni Internazionali
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