Voci insistenti vogliono il presidente della Federazione Russa ormai isolato e distaccato dal vero potere. Le recentissime speculazioni sulla sua salute – «ha il parkinson», giurano fonti anonime del Cremlino – sono ovviamente un attacco per indebolirne la posizione. Ma da dove provengono? C’è chi giura che si tratti di una fazione dell’elite di Mosca, che sta cominciando a mettere in dubbio la sua capacità di guidare il Paese attraverso la pandemia di Covid e i bassi prezzi del petrolio. Sempre più stanchi delle tattiche pesanti della cerchia ristretta di Putin, sono in aperta competizione con l’intera fazione di San Pietroburgo, che ha il controllo delle parti più succose dell’economia russa: petrolio, banche e finanza, commercio estero.
Nel gruppo di San Pietroburgo, a esercitare la maggiore influenza su Putin si dice sia l’ex capo del FSB e attuale capo del Consiglio di sicurezza, Nikolai Patrushev. Ovvero uno dei principali teorici dell’uso del capitalismo e delle debolezze occidentali per espandere il potere geopolitico della Russia in Europa e in America. Insieme a Patrushev, il fondatore di Mežprombank Sergei Viktorovich Pugačëv e all’affarista e amico Sergei Pavlovich Roldugin (finito nei Panama Papers, oggi è accusato di riciclaggio), hanno contribuito forse più di tutti all’ascesa al potere di Putin.
«Il presidente ha un peso rilevante in quel gruppo. Ma per le questioni chiave, come la possibilità di dimettersi o meno, è ostaggio delle loro decisioni comuni. Oggi, di fatto, è più che altro un arbitro tra queste fazioni in competizione tra loro». È l’opinione autorevole di Catherine Belton, corrispondente da Mosca per il Financial Times e autrice del bestseller «Putin’s People» (edito in Italia da La Nave di Teseo), che ha svelato i nomi del cerchio magico del presidente e che riferisce in esclusiva a Panorama: «Si tratta di un cerchio interno, piuttosto che magico. Quando Putin salì al potere per la prima volta, il suo gruppo ristretto era per lo più costituito da ex alleati del KGB di San Pietroburgo, ma si trattava di un Politburo di cui Putin era solo il volto. In realtà, le decisioni erano prese collettivamente».
Chi sono questi «loro» e come puntano a influenzare l’Occidente? Oltre che dai succitati fedelissimi, la cerchia ristretta del leader russo è costituita da Igor Sechin, Gennady Timchenko, Arkady Rotenberg, Sergei Chemezov e Yury Kovalchuk. Tutti uomini che Putin conosce dagli anni Ottanta e che sono in un modo o nell’altro collegati al KGB. Sono loro, i silovikis di San Pietroburgo – la versione sovietica dei boiardi di Stato – a gestire tutti i flussi di cassa strategici e a promuovere l’interferenza del regime di Putin nella politica internazionale. Come accaduto nelle elezioni americane del 2016, che hanno portato alle peggiori relazioni tra la Russia e gli Stati Uniti dal 1983, e al crescente isolamento della Russia dall’Occidente.
Nel 2020 il gruppo di Putin ha cercato nuovamente di influenzare le elezioni americane offuscando l’immagine di Joe Biden attraverso informazioni sul figlio di Biden, Hunter, le cui attività nel consiglio di amministrazione di Burisma, la società ucraina per l’energia, sono finite nell’occhio del ciclone per via di supposte frodi e persino di cospirazioni contro gli Stati Uniti. Simili accuse si basano sulle informazioni rinvenute nel computer portatile di Hunter Biden, misteriosamente trovato in un negozio di riparazione di computer di New York e consegnato a Rudy Giuliani, l’avvocato personale di Donald Trump. Tuttavia, i media statunitensi sono diventati più scaltri e sofisticati nell’identificare le campagne di disinformazione russa. Stavolta, infatti, le fughe di notizie non hanno ottenuto molta attenzione.
Simili tattiche sono considerate dalla fazione di Mosca come inefficaci e, in definitiva, foriere di un ritorno negativo per il Paese: «C’è una coorte crescente all’interno dell’élite moscovita che ha visto i propri interessi economici calpestati, e teme di non risollevarsi dopo un decennio di mancata crescita economica. Sono loro i più interessati a destabilizzare il leader. La fazione di Mosca vede il circolo interno di San Pietroburgo che Putin ha portato con sé alla presidenza come troppo spietato, troppo pesante, inetto, essenzialmente di una classe inferiore» dice ancora Belton.Di riflesso, anche i servizi di sicurezza sono profondamente divisi. Lo sono fin dai tempi del KGB, in realtà.
In epoca sovietica i servizi stranieri, noti come Primo Direttorato, svolgevano un ruolo molto più progressista di quelli delle divisioni interne del KGB, che si concentravano sull’eliminazione dei dissidenti politici e sul mantenimento del controllo politico. I membri del Primo Direttorato hanno guidato la spinta a trasformare l’economia pianificata sovietica in un’economia di mercato. Sapevano di doverla riformare per poter competere con l’Occidente e hanno cercato di controllarne il processo, ma non ci sono riusciti.
Così, le divisioni all’interno dei servizi russi si sono fatte ancora più profonde. L’afflusso di denaro nero in Occidente, ad esempio, è stato uno dei percorsi principe che il regime di Putin ha utilizzato per minare le democrazie liberali. Ma, proprio per questo, i servizi si sono spaccati su chi dovesse averne il controllo. La chiave è il dipartimento di criminalità economica dell’FSB: una delle divisioni più strategiche e ricche di liquidità dei servizi, dove gli ufficiali sorvegliano i canali di riciclaggio del denaro sporco in Occidente. «Oltre a prendere i propri tagli e le proprie commissioni per chiudere un occhio sui flussi di cassa», come sottolinea la scrittrice. Che aggiunge : «I maggiori banchieri russi coinvolti nel processo mi hanno riferito che una parte significativa del flusso di denaro appartiene all’FSB ed è utilizzato per “scopi strategici”. Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad arresti eccellenti, che hanno coinvolto alti funzionari di questo dipartimento. In un caso, sono addririttura stati trovati 185 milioni di dollari in contanti in un appartamento. Tali arresti sono dovuti proprio alle crescenti lotte intestine per la leadership di questo dipartimento, che a quanto pare hanno anche esacerbato la divisione tra le fazioni di Mosca e San Pietroburgo, così come tra le generazioni più anziane e quelle più giovani, e tra i membri della cerchia ristretta di Putin, come Arkady Rotenberg e Igor Sechin».
Non sappiamo come cambieranno esattamente le relazioni tra Russia e Occidente sotto la presidenza di Biden. Ma a Mosca hanno una certezza: e cioè che ormai dovrebbe essere chiaro allo stesso Vladimir Putin che i suoi sforzi per sostenere Trump e per cercare di minare l’alleanza transatlantica del post Guerra fredda, si sono ritorti contro di lui. «Solo l’anno scorso Putin ha detto al Financial Times che il liberalismo era diventato obsoleto, mentre acclamava l’ascesa di leader populisti nazionalisti proprio come Trump. L’elezione del presidente Biden dimostra, invece, che il liberalismo è tutt’altro che esaurito come forza politica, e con ogni probabilità Joe Biden cercherà di ripristinare l’alleanza transatlantica e rafforzare la partnership USA con l’Europa. Cercherà di combattere gli sforzi della Russia e di altri Stati autoritari per minare le democrazie liberali» conclude Catherine Belton.
Una via per farlo è quella di cooperare più strettamente con l’Europa contro il riciclaggio di denaro sporco. Così come è probabile che l’Amministrazione Biden imponga ulteriori sanzioni contro l’economia russa, in conseguenza degli sforzi del Cremlino di interferire nel processo politico statunitense. Questo aumenterebbe ulteriormente l’isolamento russo, aggravando la recessione economica del Paese e favorendo così la fazione di Mosca anti-Putin. Ma da San Pietroburgo hanno fatto capire di avere già un «loro» possibile successore: si chiama Sergei Naryshkin ed è il capo dei servizi segreti stranieri. Putin lo vedrebbe come un servitore obbediente, cui è possibile consegnare il potere senza perturbare l’equilibrio da lui creato. In effetti, Naryshkin è stato messo sotto i riflettori nelle ultime settimane, e ha rilasciato diverse interviste di rilievo. Chissà come reagirà la fazione moscovita al larvato protégé del presidente.
Di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi. Articolo pubblicato sul settimanale Panorama
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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