La Repubblica Popolare Cinese chiude il 2020 con un bilancio più che positivo nei confronti degli Stati Uniti. Il surplus di Pechino su Washington si attesta a 317 miliardi di dollari statunitensi, registrando un aumento pari al 7% rispetto all’anno prima. L’ammontare del surplus è di appena 7 miliardi al di sotto dei livelli del 2018, anno in cui il presidente statunitense Trump ha avviato la feroce guerra commerciale contro la Cina allo scopo di “raddrizzare” un rapporto bilaterale da lui definito squilibrato. Oggi, però, la bilancia commerciale pende dalla parte cinese e le relazioni bilaterali tra le due maggiori economie del mondo appaiano ancora sbilenche, nonostante l’accordo della Fase 1 siglato il 15 gennaio 2020. Il deficit degli Usa con la Cina non ha fatto che espandersi da quando nel 2016 Trump aveva promesso di annullarlo.
Tutti effetti imprevisti della pandemia da nuovo coronavirus, il cui epicentro è stata Wuhan a fine 2019. E proprio nella città cinese giovedì 14 gennaio è arrivato il gruppo di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità incaricato di indagare sull’origine della malattia. Il governo cinese, accusato di aver nascosto i dati sul virus nelle fasi iniziali della pandemia, promette collaborazione. Tuttavia, attraverso le voci dei propri funzionari alla Sanità citati dal Global Times, vicino al Partito Comunista Cinese, fa richiesta all’agenzia Onu di condurre indagini anche in altri paesi. Da settimane, infatti, Pechino cerca di richiamare l’attenzione sui presunti casi di infezione da Covid-19 sviluppatisi in Italia, Francia e Stati Uniti, contemporanei o addirittura precedenti al focolaio di Wuhan.
Anche in Cina per la prima volta da luglio i contagi a livello locale sono tornati a salire, il 13 gennaio la commissione sanitaria nazionale ne ha registrati 115. Per tre città, Shijiazhuang, Xingtai e Langfang, è stato disposto un nuovo confinamento. In totale sono 22 milioni le persone confinate, più del doppio di quelle di Wuhan nel gennaio 2020. A dispetto dei dati sul virus, gli indicatori economici cinesi, però, sono più che confortanti.
Secondo la Dogana cinese, nel 2020 le esportazioni verso gli Stati Uniti sono cresciute del 7.9% rispetto a un anno prima, attestandosi a 451,81 miliardi di dollari, mentre le importazioni di prodotti americani sono salite del 9%, raggiungendo la cifra di 134,91 miliardi. Le esportazioni totali dell’ex Celeste Impero sono cresciute come mai prima. Di contro, il disavanzo commerciale di Washington nei confronti di Pechino per il 2020 è pari a 283,570 miliardi, stando ai dati del Census Bureau.
La spesa per i prodotti al dettaglio e la produzione industriale in Cina hanno tratto beneficio dall’aumento, registrato a livello mondiale, della domanda di beni elettronici, da parte dei lavoratori costretti a casa, e delle esportazioni di equipaggiamento sanitario, in primo luogo mascherine protettive, necessario a contenere gli effetti del Covid. I dati di Pechino aggiornati al 14 gennaio confermano la tendenza positiva già segnalata per i primi 11 mesi del 2020. Ma questi numeri arrivano a pochi giorni dall’annuncio di Pechino del dato relativo al PIL. Ed è molto probabile che per la Cina le buone notizie non finiscano qui. Il Fondo Monetario Internazionale aveva fissato una crescita prevista del prodotto interno lordo cinese pari al 1,9% per il 2020, mentre gli analisti di Reuters stimano una crescita anche maggiore, pari al 2,1%. Ma la notizia che forse ha reso più orgoglioso il presidente Xi Jinping era arrivata lo scorso 26 dicembre, quando il Center for Economics and Business Research ha riferito che secondo le previsioni, la Repubblica Popolare diventerà la prima economia del mondo nel 2028, superando gli Usa con ben 5 anni di anticipo rispetto alle stime precedenti.
Tuttavia, visto il contesto di forte incertezza causato dalla pandemia e dalle dispute commerciali in corso, Pechino ha già un piano B per resistere agli shock in arrivo dall’estero e per diminuire la propria dipendenza dalle esportazioni: la “dual circulation strategy” o “doppia circolazione”, punto fondamentale del piano quinquennale cinese per il periodo 2021- 2025. Così come è stata proposta dal presidente cinese Xi Jinping, la doppia circolazione andrebbe intesa come la ricerca di una dialettica fra la circolazione economica interna e quella internazionale. Pechino punta soprattutto sulla circolazione interna, l’obiettivo è diminuire appunto la dipendenza dai mercati stranieri, per favorire la crescita economica, stimolando i consumi interni e spingendo verso l’innovazione tecnologica.
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I successi per la Repubblica Popolare non sono soltanto economici. A novembre 2020 è stato firmato l’Accordo di Partenariato Economico Regionale (Rcep), il più vasto trattato multilaterale al mondo mai concluso perché comprende Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda e i 10 membri dell’Asean, coprendo un’area che rappresenta quasi il 30% del prodotto interno lordo e della popolazione mondiale, ovvero 2,2 miliardi di persone. Non solo, il 30 dicembre Cina e Unione Europea hanno annunciato un accordo che promette di agevolare gli investimenti cinesi in Europa e le aziende europee in Cina (Cai). Un accordo che dovrà superare lo scoglio della ratifica dei 27 membri dell’Ue ma che viene considerato dalla maggioranza degli osservatori un colpo da maestro della diplomazia cinese. Pechino si è impegnata a ratificare la convenzione sul lavoro forzato dell’Ilo, un punto su cui si erano arenati i negoziati. Ma a detta dei critici, quello cinese è un impegno vago e non obbligatorio. Il Cai appare, dunque, un’intesa contraria ai principi europei ma la conclusione di questi accordi dimostra anche l’incapacità di Trump di isolare diplomaticamente Pechino.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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