Per comprendere le motivazioni dello stato di crisi in cui versa da anni la Tunisia, è necessario fare un passo indietro nella storia del Paese, per lo meno a partire dai tentativi di modernizzazione impressi da Habib Bourguiba fin dal 1957. Il leader del post-indipendenza tunisina nella sua riforma modernizzatrice, criticò in modo aspro gli ulema, accusati di non avere compreso lo spirito dell’Islam e l’interpretazione del Corano, alla luce delle nuove necessità apportate dalla modernità e dal progresso.
Inizia così la «sacra lotta» del primo presidente tunisino al diffuso sottosviluppo nel Paese, una missione che egli stesso considerava come puro jihad. In questo modo Bourguiba si autodefinisce «leader spirituale dei musulmani» le cui funzioni e responsabilità come capo dello Stato gli permettevano di interpretare la legge religiosa. In questa visione lo Stato diventa ufficialmente il sacro e il legittimo difensore della fede, e il suo presidente il leader spirituale della umma.
La rivoluzione culturale apportata da Bourguiba ha prodotto una generazione di giovani insoddisfatti che, non trovando validi riferimenti islamici all’interno del Paese, decidevano di «emigrare» per poi rientrare in patria e portare avanti opere di proselitismo. Tra questi, uno dei più in vista è stato Rachid Ghannouchi, futuro leader del partito al-Nahda e uomo forte nella Tunisia del post-rivolte arabe.
Nel frattempo, come accaduto anche per la Libia, anche in Tunisia hanno iniziato a radicarsi forme di estremismo che hanno sconvolto il Paese per buona parte degli anni a venire. In particolare va menzionato il Gruppo combattente tunisino (Gct), che è stato uno degli attori principali della stagione di attentati a cavallo tra la guerra civile algerina e il post-11 settembre, per diventare poi una delle anime alla base della formazione di Aqmi, in cui la presenza tunisina è sempre stata seconda solo a quella algerina, e di Ansar al-Sharia, fondato nell’aprile 2011. Seppure abilmente represso dalle autorità tunisine, il Gct ha continuato l’opera di reclutamento e proselitismo soprattutto nelle carceri del Paese e i suoi leader sono stati i più attivi nel territorio dopo la rivolta del 2011. Solo per fare un esempio, il suo capo, Ben Hassine, tornato in patria dall’esilio londinese, è stato uno dei fondatori di Asl in Tunisia che, grazie all’esperienza del suo leader, si è subito inserita nel network internazionale del jihadismo.
Tratto dal libro
Naufragio Mediterraneo
di Michela Mercuri e Paolo Quercia
Michela Mercuri
Docente del Corso in Terrorismo e le sue mutazioni geopolitiche alla SIOI, insegna Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano e Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata
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