Come scrivemmo già un anno fa – dopo cioè che i colloqui per la formazione di un governo di larghe intese in Germania erano finiti nel peggiore dei modi in seguito al voto popolare che aveva visto il centrodestra CDU-CSU retrocedere di ben 65 seggi in parlamento e i socialisti dell’SPD lasciarne per strada altri 50 – è iniziata la parabola discendente di Angela Merkel (per sua stessa ammissione) e la fine di un lungo corso politico.
Il colpo di grazia per la sua leadership è arrivato dal voto in Assia, dove il partito CDU della Cancelliera e l’SPD in coalizione nel governo di Berlino, hanno visto un crollo verticale, con il centrodestra crollato di 11 punti percentuali nelle urne. «I risultati delle elezioni sono estremamente amari e deludenti» ha affermato una Merkel molto amareggiata, che poi ha sganciato una “bomba politica” per il futuro della destra tedesca: «Questo quarto mandato è il mio ultimo da Cancelliera, nel 2021 non mi presenterò più come candidata, non mi candiderò neanche al Bundestag e non voglio più ricoprire incarichi politici».
Insomma, Fräulein Merkel perde voti, ma non la dignità. E l’annuncio del suo passo di lato, signorile e probabilmente premeditato, conferma da un lato la necessità di rinnovamento nel panorama politico tedesco, ma soprattutto la crisi del centrodestra europeo, che soccombe – come del resto in Italia – sotto il peso di nuovi protagonisti e leader molto più agguerriti e affamati di potere che, volenti o nolenti, rappresentano l’avanguardia di un nuovo movimento (ormai non più carsico, ma già mainstream) che punta a sostituire le vecchie élite europeiste per rimpiazzarle con ricette non ancora del tutto chiare. Sono loro, i populisti, i veri protagonisti del nostro tempo. E, anche se di soluzioni alternative ne esistono – in Germania, ad esempio, l’astro nascente è il partito dei Verdi, che anche stavolta ha confermato il trend di crescita gfià registrato da alcuni anni a questa parte – nessuno più dei sovranisti sembra riuscire a interpretare i mal di pancia della grandi masse europee, deluse da anni di recessione e incertezze economiche.
Singolare che a farne le spese sia il paese più stabile e che meno ha patito la crisi disoccupazionale che si è abbattuta sull’Unione Europea in seguito al contagio americano. Tuttavia, la Germania è spesso specchio delle nuove tendenze, come Berlino lo è per l’arte contemporanea. L’eredità che Angela Merkel lascia al paese (che comunque spera di guidare ancora fino al 2021) è pesante, dato il suo ventennio ricco di successi. Chi le succederà nella leadership è presto per dirlo. Perché non si tratta di guidare un partito, ma un intero paese la cui stabilità è indispensabile alla serenità dell’intera Unione.
Ecco quanto scrivevamo il 20 novembre 2017:
“La sua uscita di scena significherebbe un reset politico in Europa e l’inizio di tempi incerti per l’intera Unione. In mancanza di una leadership forte come quella rappresentata da Angela Merkel, ci si aspetta cioè una corsa al “riarmo politico” di quanti nel cerchio magico dei poteri forti europei, a cominciare dal presidente francese Emmanuel Macron, ambiscono a un ruolo guida per un’Europa che negli ultimi anni è stata notoriamente a trazione tedesca.
Non solo. La Germania e la Merkel nel bene e nel male hanno rappresentato un simbolo di stabilità nel difficile percorso di uscita dalla crisi economica in Occidente. Adesso, tutto questo non c’è più. E, se sono in molti a gioirne, l’Italia non può permettersi di essere tra questi. Visto che Roma non potrà e non saprà approfittare in alcun modo della situazione.
Il perché è tutto nel nuovo sistema elettorale votato dal parlamento italiano, che il prossimo marzo condurrà verosimilmente a esiti non dissimili dal quadro politico tedesco: cioè a una maggioranza risicata di un partito che, proprio come la CDU della Merkel, non ha alcuna possibilità di governare, se non in coalizione con un altro. E che, ai primi capricci del partner politico, potrebbe cadere, costringendo il presidente della Repubblica a ulteriori consultazioni e il paese a probabili nuove elezioni in meno di un anno.”
Insomma, a ben guardare, nell’odierna compagine politica europea, i sistemi elettorali senza doppio turno rappresentano un vero salto nel buio e sono più spesso garanzia d’instabilità e non invece di alta rappresentatività. Che rimane una chimera, almeno in Italia, dove i piccoli partiti rappresentano particolari interessi, quasi sempre del tutto personali, e quasi mai quei valori che esigono i cittadini che li votano. Motivo per cui il futuro politico italiano farebbe bene a guardare con molta attenzione al caso di “Fräulein Merkel” per non ritrovarsi senza un’exit strategy il giorno dopo il risultato delle urne.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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