Gli Stati Uniti si apprestano a completare il ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan tra molte polemiche e tante preoccupazioni. Con le forze di sicurezza afghane incapaci di prendere in mano la sicurezza del Paese, torna ad allungarsi l’ombra dei talebani pronti a prendere pieno possesso di questo Stato-fallito. Dei talebani e della minaccia dello Stato Islamico in Afghanistan parla il libro Il mondo dopo lo Stato Islamico, edito da Paesi Edizioni nel 2018.
La graduale disgregazione territoriale dello Stato Islamico in Siria e Iraq è andata di pari passo con un incremento del livello di pericolosità dell’organizzazione in Afghanistan. Chiamato “ISIS Khorasan Province” (ISKP), è emerso per la prima volta nella regione alla fine del 2014. Il progetto di espansione di ISIS tra l’Afghanistan e il Pakistan ha però preso corpo solo a partire dal 2015. La denominazione scelta dal Califfato deriva dal termine “Khorasan”, l’antico nome della provincia più orientale dell’impero persiano, che oggi si estende dal nord-est dell’Iran al subcontinente indiano passando per Afghanistan, Pakistan Uzbekistan, Turkmenistan e Tajikistan. In questi tre anni, il Califfato ha allargato la propria sfera d’influenza principalmente nelle province di Nangarhar e Kunar, vicino al confine con il Pakistan. La sua avanzata è stata finora limitata soprattutto dai Talebani, che ne hanno ostacolato da subito il radicamento nell’intera regione.
Secondo le stime del Pentagono, nel momento di massima espansione ISIS in Afghanistan avrebbe raggiunto un picco di 3mila uomini ai suoi ordini nel 2016, che oggi sarebbero scesi a poco più di mille a causa delle cocenti perdite territoriali subite negli ultimi mesi. La concentrazione principale di jihadisti è nella provincia di Nangarhar (circa 600-800), mentre altri 300 si troverebbero più a nord tra i governatorati di Kunar, Jowzjan, Sar-i-Pul e Faryab. A Nangarhar, ISIS presidia il distretto di Haska Mina (chiamato anche Deh Bala) e la Tirah Valley, località dell’area tribale pakistana del Khyber. Da qui in questi anni ISIS ha diffuso messaggi di propaganda attraverso la radio Seda-i-Khilafat (“Voce del Califfato”) che diffondeva messaggi nelle lingue pashto, dari e uzbeko, prima che la sede dell’emittente venisse colpita e distrutta da un drone americano. Nell’area il gruppo dispone ancora di campi di addestramento e può fare leva sul favore di una forte componente salafita avversa ai Talebani. Secondo i loro stessi proclami, i miliziani jihadisti sognano la presa del capoluogo Jalalabad e il controllo della strada che conduce al valico di frontiera di Torkham, al confine tra Afghanistan e Pakistan.
Lo scontro con i Talebani
La maggior parte dei combattenti dello Stato Islamico in Afghanistan orientale è rappresentata da ex Talebani pakistani che sono stati cacciati dalle aree tribali al confine tra i due Paesi. Altre unità dello Stato Islamico stanziate nel nord dell’Afghanistan includono invece combattenti provenienti dall’Uzbekistan, dalla Cecenia e dalla provincia cinese dello Xinjiang, dove è concentrata la minoranza musulmana degli uiguri. Come detto, il principale ostacolo che sta limitando l’espansione di ISIS tra l’Afghanistan e il Pakistan è rappresentato dai Talebani: nella prima metà del 2018 le due organizzazioni si sono lasciate alle spalle una lunghissima striscia di sangue a Kabul e in altre città afghane ciascuno per rivendicare un ruolo e una leadership nel Paese. A differenza dei Talebani però – che in questi anni hanno sempre concentrato i loro attacchi contro obiettivi governativi e militari per ottenere un “confronto alla pari” con l’esecutivo centrale – ISIS ha colpito indistintamente soldati e civili, facendo soprattutto strage di sciiti.
In Afghanistan, in ogni caso, la vera posta in palio non è tanto la leadership jihadista, quanto piuttosto il traffico di oppio: un business enorme, oggi saldamente nelle mani dei Talebani, di altri gruppi tribali afghani e dei signori della guerra locali. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro il traffico di droga e la criminalità organizzata (UNDOC), tra il 2016 e il 2017 la produzione avrebbe avuto un incremento addirittura dell’87%. Al momento, ISIS avrebbe intercettato alcune rotte del contrabbando di marijuana e hashish prodotti in Afghanistan e che poi transitano per i Balcani arrivando in Europa centrale. Finora, però, è sempre fallito sul nascere il loro tentativo di sfidare i Talebani per assumere il controllo dei traffici di eroina. Secondo diversi analisti, la presenza di ISIS tra l’Afghanistan e il Pakistan per certi aspetti si sta rivelando “utile” per i Talebani. Agitando lo spauracchio dello Stato Islamico, i Talebani si sono infatti proposti alle potenze regionali – Iran e Russia in testa – come alleato imprescindibile per impedire che la minaccia jihadista contagi altre aree dell’Asia Centrale. Teheran, in particolare, che in questi anni ha dovuto accogliere migliaia di sciiti afghani in fuga dalle violenze in Afghanistan, negli ultimi mesi ha cercato di aumentare la propria influenza sulla leadership talebana, per ottenere un suo appoggio in funzione anti-ISIS.
Tratto dal libro
Il mondo dopo lo Stato Islamico
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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