La firma dell’accordo di pace tra talebani e Usa a Doha non ferma gli scontri in Afghanistan. Tra tensioni e impasse nei negoziati, il coronavirus aggiunge un elemento di incertezza nel completamento del processo di pace.
1. UNA FIRMA CHE NON FERMA LA GUERRA
L’accordo di pace firmato da Khalilzad – che lo vedeva fin dall’inizio piegato alle imposizioni talebane – e Abudl Ghani Baradar che acconsente a dialoghi intra-afghani solo a ritiro USA avvenuto, concluso a Doha lo scorso 29 febbraio, si sta rivelando fallimentare. La non inclusione del Governo afghano nel processo di pace sta generando violenza e insicurezza, presentando i talebani come entità politica legittima e delegittimando i rappresentanti governativi. A poche settimane dalla firma dell’accordo i talebani hanno ripetutamente violato lo stop alla violenza, conducendo più di 4.500 attacchi terroristici e uccidendo più di 900 persone tra le Autorità afghane. Il gruppo terroristico risponde alle accuse affermando che non ha mai rinunciato all’instaurazione di un emirato islamico in Afghanistan, soprattutto ora che il gruppo ritiene di non avere nessun obbligo verso il Governo afghano circa la fine delle proprie operazioni.
Fig. 1 – Prigionieri talebani vengono rilasciati dal carcere come parte dei tentativi di dialogo intra-afghani, aprile 2020
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2. RILUTTANZE E LAMENTELE
L’inizio del dialogo intra-afghano si è bloccato sulla questione del rilascio dei prigionieri. La recente liberazione di 15 militanti proposta dai talebani, considerati altamente pericolosi, non è condivisa dal Governo, che ritiene la questione del rilascio di sua esclusiva competenza, poiché materia di sovranità nazionale. Infatti a differenza dell’Agreement for Bringing Peace to Afghanistan, che regolamenta solo con gli USA (senza inclusione del Governo afghano) il rilascio di 5mila talebani e mille governativi, la dichiarazione congiunta firmata tra il Governo USA e quello afghano non specifica il numero di prigionieri da liberare, né come e quando. Secondo il Governo di Kabul, però, la questione dei prigionieri è necessaria per la conclusione di un’intesa nazionale e l’esecutivo ha deciso infatti di rilasciare 1.500 detenuti anziché 5mila. Il Governo afghano sta gradualmente rilasciando i prigionieri, ma secondo i talebani il processo è troppo lento e viene rimandato troppe volte. Il portavoce dei talebani Suhail Suhaeen ha dichiarato in un tweet che il comitato tecnico dei talebani non parteciperà più agli incontri sul rilascio, ritenuti infruttuosi. Secondo il gruppo la loro lista è pronta e non va discussa. Vogliono tutti liberi e subito.
Fig. 2 – Covid-19 in Afghanistan: controllo della temperatura e qualche mascherina all’ingresso di una moschea di Kabul, aprile 2020
3. L’INCOGNITA COVID-19
Gli effetti della Covid-19 sui negoziati sono difficili da prevedere. Molti sostengono che i limiti ai viaggi imposti dalla pandemia costringerebbe i negoziatori a una permanenza forzata, producendo discussioni più serie, facilitate anche da un numero ristretto di partecipanti. Altri sostengono che la pandemia sbloccherebbe l’impasse intra-afghano, facilitando lo svuotamento delle carceri necessario per ridurre il contagio. Quello che è certo è che i talebani non rinunciano comunque al loro progetto di costruzione di uno Stato islamico in Afghanistan, che a quanto affermano non è mai stato messo in discussione con la firma l’accordo. Gli attacchi nelle zone rurali di grandi città, dove maggiormente si è sviluppata la pandemia e dove il Governo è debole, vengono effettuati per prendere tempo, in attesa che i negoziati volgano sempre più a loro favore. Herat, Kabul, Kandahar e Balkh sono state accerchiate e i talebani minacciano di occuparle e metterle sotto assedio se non verrano rispettate le loro condizioni, delegittimando di fatto le forze governative e di sicurezza. Nonostante la firma dell’accordo, è chiaro quindi che i talebani non sono disposti a rinunciare ai loro progetti politici in Afghanistan e intendono sfruttare la situazione per aumentare il loro controllo sul Paese.
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