Dati, picchi e dettagli delle curve del coronavirus nel continente africano. E una spiegazione del perché alcuni stati confinanti hanno storie di pandemia molto diverse
Secondo i dati dell’Oms, il numero di contagi da Covid-19 in Africa sarebbe più o meno uguale alle vittime registrate in Italia. Al momento in cui scriviamo, si registrano infatti 30.356 contagi e 1.085 vittime, contro i 210.717 casi e 28.884 vittime del nostro paese. La cosa stona fortemente con lo stereotipo del Continente portatore di contagi per cui, all’inizio dell’emergenza, Matteo Salvini sembrava quasi più preoccupato che si bloccassero gli sbarchi dall’Africa che non i ritorni di italiani dalla Cina – origine più presumibile dell’arrivo del coronavirus in Italia.
Va però tenuto presente che il conteggio dell’Oms si riferisce a un’area calcolata in modo strano che comprende l’Africa sub-sahariana assieme all’Algeria. Gli altri paesi del Nord Africa, invece, sono contabilizzati nell’area Mediterraneo Orientale (compreso il Marocco, che sta a ovest dell’Algeria, e che è affacciato su Mediterraneo occidentale e Atlantico). E sono inseriti nel Mediterraneo Orientale anche Sudan, Somalia e Gibuti, che stanno tra Mar Rosso e Oceano Indiano. Lasciando dunque da parte le bizzarrie geopolitiche dell’Oms, un conteggio per tutto il continente lo fa invece l’Unione Africana con il suo Africa Centres for Disease Control and Prevention (Cdc): 44.513 casi, 1.799 vittime e 14.632 guariti.
Cinquantatre sarebbero stati, secondo queste cifre, i paesi africani toccati dal contagio. Unici ufficialmente senza contagi il Lesotho e le Comore. Il Burundi ha invece registrato 19 casi e un decesso, ma è uno dei quattro paesi al mondo dove i campionati sportivi stanno continuando (con Nicaragua, Bielorussia e Tagikistan). In testa per casi è il Sudafrica, con 6.873, e 131 vittime. In testa come vittime è invece l’Algeria, con 463 su 4.474 casi, seguita dall’Egitto, con 429 su 6.456 casi. Come numero di casi, dopo Sudafrica ed Egitto vengono poi il Marocco con 4.903, la già citata Algeria, la Nigeria con 2.388, il Ghana con 2.169, il Camerun con 2.077, la Guinea con 1.650, la Costa d’Avorio con 1.398, il Senegal con 1.273, Gibuti con 1.112, la Tunisia con 1.009. Come vittime, dopo Algeria e Egitto e prima del Sudafrica ci sarebbero le 174 del Marocco. Nessun altro paese africano supera i 1.000 casi e/o le 100 vittime. La Nigeria avrebbe 75 vittime e il Camerun 64. Il Nordafrica avrebbe 16.900 casi, l’Africa Occidentale 11.900, l’Africa Australe 7.200.
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AFRICA: L’IMPATTO DEL CORONAVIRUS SULL’ECONOMIA
La geopolitica della pandemia derivante da queste statistiche concentrerebbe dunque l’impatto all’estremo nord e all’estremo sud del continente. Praticamente l’opposto di quanto paventato a metà aprile dall’Africa center for strategic studies del Pentagono, che aveva costruito una mappa di paesi a rischio individuata in base a nove fattori di rischio: sistema sanitario, conflitti, sfollati, densità urbana, popolazione urbana, esposizione internazionale, età media della popolazione, trasparenza del governo, libertà di stampa. In testa alla classifica venivano dunque collocati la Nigeria e tre paesi nel cuore dell’Africa: Repubblica Democratica del Congo, Sudan e Sud Sudan. E nella seconda fascia di pericolo Egitto, Ciad, Camerun, Repubblica Centrafricana, Uganda, Etiopia e Somalia. Come si vede, solo l’Egitto è finito effettivamente tra i paesi più colpiti.
Il New York Times ha esaminato in un lungo articolo le stranezze nella distribuzione del virus: non solo in Africa, ma in tutto il mondo. In particolare si è soffermato sulla stranezza di coppie di paesi confinanti dei quali l’uno è stato colpito gravemente dalla pandemia e l’altro no. Iran versus Iraq, Repubblica Dominicana versus Haiti, Indonesia versus Malaysia. Sono quattro le risposte possibili che sono state individuate. In primo luogo, popolazioni in media più giovani che resistono meglio al contagio di popolazione più anziane. In secondo luogo, un clima più caldo che ostacolerebbe la diffusione del virus. In terzo luogo, una maggior relatività dei sistemi-paese. In quarto luogo, il semplice fatto che sistemi sanitari meno efficienti non registrano i casi.
Effettivamente l’Africa ha una popolazione più giovane: 7 africani su 10 stanno sotto i 30 anni, mentre 8 vittime del Covid 19 stanno oltre i 60. Inoltre fa caldo. Ma alcuni ministri locali della Sanità hanno ammesso di non avere casi semplicemente perché non hanno risorse per fare tamponi. È forse significativo che Sudafrica, Egitto, Algeria e Marocco hanno i migliori sistemi sanitari del continente. Il Sudafrica ha il record continentale con un migliaio di posti per terapia intensiva, a fronte delle poche decine di molti altri Paesi. Ad aprile era stato capace di fare già 50.000 test, contro i soli 3.800 dell’Uganda e i 5.000 della Nigeria (per 190 milioni di abitanti!). Adesso è arrivato a 245.747: più di 15.000 solo nelle ultime 24 ore. Il Sudafrica aveva anche fatto partire nuovi sistemi di tracciamento per individuare i contatti dei positivi grazie a sistemi di telecomunicazione.
Ma questa è una delle contraddizioni africane più sorprendenti. Proprio la pochezza di infrastrutture di tipo tradizionale in Africa ha favorito la popolarità delle alternative tecnologiche più recenti, per cui gli africani si sono dotati in massa di telefoni cellulari prima ancora che si potessero costruire reti telefoniche fisse, e si sono convertiti in massa al mobile banking per la maggior parte senza avere mai avuto accesso a un sistema bancario convenzionale. Si parla di un 34 per cento di penetrazione di internet, con un 10 per cento di aumento durante l’ultimo anno. E di un 81 per cento di penetrazione della telefonia mobile, pari a 1,08 miliardi di sim: 5,6 per cento in più nell’ultimo anno. C’è dunque grande effervescenza di start-up digitali, e molte si sono messe a disposizione per l’emergenza.
Sistemi di autodiagnostica o di consigli medici sono stati creati ad esempio in Costa d’Avorio da Anticoro e in Sudafrica da Praekelt, con un canale di comunicazione a disposizione del ministero della Salute che l’Oms ha prescelto come modello per un servizio da realizzare a livello continentale. Nella contea kenyana di Kisumu è stata sviluppata una app per identificare le persone esposte a contagio sui mezzi pubblici. La sudafricana epione.net, nata per tenere in contatto medici, si è estesa ai pazienti. La LifeBank, nata per distribuire sangue tra gli ospedali in Nigeria, adesso è diventata una base dati su posti letto e ventilatori. Le kenyana eLimu e Eneza Education e la nigeriana uLessons hanno sviluppato sistemi per l’insegnamento a distanza. La kenyana M-Pesa, la sudafricana Yoco e la nigeriana Paga hanno ulteriormente sviluppato e diffuso il loro sistema di pagamenti a distanza. La nigeriana Jumia e la ugandese Market Garden hanno sviluppato i loro sistemi di eCommerce. La sudafricana OfferZen e il Ghana Tech Lab si sono messi a selezionare progetti che potessero servire per l’emergenza. La sudafricana Zindi si è cimentata su un modello di predizione per la possibile espansione della pandemia.
La difficoltà a tenere statistiche può sembrare in contraddizione non solo con questa effervescenza digitale, ma anche con la stessa capacità di reagire. Ma non bisogna dimenticare che molti paesi africani negli ultimi anni sono stati colpiti da una quantità di pandemie: dall’Hiv a Ebola. Anche in contesti meno innovativi rispetto a Sudafrica, Kenya o Nigeria, popolazioni e governi hanno dunque spesso iniziato ad adottare certe misure di prevenzione in automatico. Il lockdown è così scattato dappertutto, la chiusura delle frontiere è stata rapida, le informazioni sono state diffuse in modo capillare, in un paese con cronica scarsità di acqua come il Burkina Faso sono stati messi nelle strade lavandini collegati a bidoni per permettere alla gente di lavarsi le mani. Lo stesso Burkina Faso e l’Uganda hanno calmierato i prezzi dei generi di prima necessità, e la Costa d’Avorio ha creato una banca alimentare e dei disinfettanti.
Certo, nello schema del New York Times, non mancano altre eccezioni e lo stesso articolo conclude che ancora non si riesce a capire bene cosa sia successo e perché alcuni paesi abbiano registrato così pochi casi. Una teoria su cui alcuni stanno lavorando e che è comunque diventata popolare sui social è quella secondo cui gli africani potrebbero avere un’immunità genetica al coronavirus.
Tra i fattori di rischio in Africa ci sono però 25 milioni di sfollati: l’85 per cento di quali concentrati tra 8 paesi. Il milione di test diagnostici che l’Oms si è impegnata a fornire sono relativi a una popolazione di 1,2 miliardi di persone, 10 paesi africani sono del tutto sprovvisti di ventilatori, e tutti gli altri assieme ne hanno meno di 2.000 negli ospedali pubblici, mentre i letti in terapia intensiva sono 5.000.
Secondo la Cdc i contagi sono in aumento. Tra giovedì e lunedì sia Egitto che Sudafrica hanno registrato 1.400 nuovi casi. In Sudafrica il ministro della Sanità, Zweli Mkhize, ha ammesso che si è registrato un picco di 473 nuovi casi quando sabato si è allentato il lockdown, per consentire a 1,5 milioni d persone di tornare al lavoro. Il direttore del Cdc John Nkengasong usa dunque toni allarmati: “Dobbiamo vincere. Stiamo già perdendo un milione di persone a causa della malaria e della tubercolosi ogni anno. Non dobbiamo perderne altri milioni a causa di questo virus”. La United Nations Economic Commission for Africa ha previsto addirittura la possibilità di 1,2 africani contagiati e 3,3 milioni di morti. Uno scenario per sventare il quale ha chiesto stanziamenti per almeno 100 miliardi.
In realtà, più imminente di un decollo dei contagi sembra la possibilità di rivolte per fame da parte di masse di lavoratori irregolari impossibilitati a lavorare durante il lockdown. Paesi particolarmente a rischio sono Guinea, Nigeria, Burkina Faso, Uganda, Mali, Kenya, Ciad, Niger. Il pil del continente dovrebbe passare dal +2,4 per cento del 2019 a una recessione compresa tra -2,1 e -5,1%. Anche la produzione agricola calerebbe: tra il 2,6 e il 7%. E l’Unione Africana paventa la perdita di 20 milioni di posti di lavoro. Ventisette milioni di africani sarebbero a rischio di povertà estrema.
Per questo i ministri delle Finanze dell’Unione Africana hanno già chiesto un rinvio nel pagamento dei debiti. Ma il primo ministro etiopico e premio Nobel per la Pace, Abiy Ahmed, il presidente senegalese, Macky Sall, e il presidente del Sudafrica e dell’Unione Africana, Cyril Ramaphosa, stanno ora presentando una proposta ancora più radicale: una moratoria completa di tutto il debito africano.
Pubblicato su Il Foglio
Maurizio Stefanini
Romano, classe 1961, maturità classica, laurea in Scienze Politiche alla Luiss, giornalista dal 1988. Specialista in America Latina, Terzo Mondo, movimenti politici comparati, approfondimenti storici.
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