Nel complesso progetto cinese One Belt, One Road (OBOR) l’Africa rappresenta la piattaforma di una fitta rete di snodi strategici. Le coste orientali del continente ospitano gli approdi della Via della Seta marittima che, nelle intenzioni di Pechino, devono essere integrati con i grandi porti asiatici divenendo hub di interscambio nei quali si incrociano le direttrici dell’azione cinese verso e dall’Africa, con il sostegno di importanti infrastrutture: come le ferrovie Mombasa-Nairobi (4 miliardi di dollari) e Addis Abeba-Gibuti (stimata in 4,5 miliardi), rilevanti in termini geopolitici per garantire i collegamenti con la base navale cinese nel piccolo Paese, e per assistere l’Etiopia nell’annosa ricerca dello sbocco sul mare. Agli investimenti nelle regioni orientali dell’Africa, basilari per completare l’aggiramento dell’India e rendere sicure le rotte oceaniche, si aggiungono poi quelli marittimi e terrestri nei Paesi occidentali del continente: dai corridoi logistici tra il Mali e i porti di Senegal e Guinea, ai progetti in Ghana, Nigeria, Angola e Namibia. In questo senso è inevitabile che l’avanzamento dell’OBOR sia accompagnato da una progressiva espansione della proiezione militare cinese. A cominciare dalla Marina, che ormai può contare su un costante presidio lungo le rotte per l’Africa e il Mar Rosso sin dal 2009, quando Pechino si unì alle operazioni internazionali di contrasto alla pirateria in Somalia, un impegno oggi esteso ad altre aree sensibili come il Golfo di Guinea. Il volume degli affari del Dragone in Africa e la presenza di quasi 300mila cinesi hanno reso inoltre necessaria una strategia articolata e diversificata per garantire la sicurezza di investimenti, personale e cittadini.
LA PROTEZIONE DEGLI INTERESSI CINESI IN AFRICA
La presenza militare cinese in Africa si fa ormai sentire – direttamente o indirettamente – in tutto il continente, anche se ha subìto un’accelerazione in tempi relativamente recenti, ossia nel triennio avviato con il Libro Bianco della Difesa del 2015, che indicava la priorità di proteggere gli interessi cinesi oltremare, ed è poi proseguito con l’inaugurazione della base navale a Gibuti nel 2017. Il 2018 è stato invece l’anno del Forum Cina-Africa per la Difesa e la Sicurezza che ha visto un deciso superamento della tradizionale politica del “basso profilo” internazionale elaborata da Deng Xiaoping, con i militari cinesi coinvolti in esercitazioni e missioni di addestramento in Camerun, Etiopia, Gabon, Ghana, Sierra Leone, Sudan e Zambia, senza dimenticare l’impegno attivo sotto la bandiera dell’ONU (3mila caschi blu tra Sudan, Mali, Darfur, Repubblica Democratica del Congo, Sahara Occidentale e Sud Sudan). A tutto questo devono essere aggiunti: la promessa di finanziare con 100 milioni di dollari la Standby Force dell’Unione Africana; e l’avvio di numerose iniziative di cooperazione militare con la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), e con singoli Paesi, per un totale di circa 50 progetti che vanno dall’antiterrorismo all’ordine pubblico, affiancati da un’azione diplomatica in aree di crisi quali il Sudan del Sud e lo Zimbabwe. A tutela dei siti OBOR sono impiegate anche compagnie private cinesi, già molto attive in Etiopia, Sudan del Sud, Nigeria e Zimbabwe, Paese che oltretutto ha adottato tecnologie per il riconoscimento facciale e ha condiviso con Pechino i dati di milioni di propri cittadini. In alcuni Stati dell’Africa orientale, infine, si sta assistendo a un impegno diretto delle autorità locali nella salvaguardia degli interessi cinesi, a seguito di episodi di criminalità o di rivolte contro la presenza straniera (soprattutto in Madagascar, Sudan, Sudan del Sud e Zambia). In Kenya, per esempio, è stata creata una task force della polizia a difesa della ferrovia Mombasa-Nairobi, mentre l’Uganda ha schierato i militari a protezione non solo delle infrastrutture sensibili, ma anche delle attività commerciali cinesi.
CHINA PURSUING SECURITY FOR AFRICAN BRANCHES
Within the Chinese One Belt, One Road (OBOR) project, Africa represents a dense network of strategic junctions. The continent’s eastern coastlines are the landing points of the maritime Silk Road, which, for Beijing, must be integrated with large Asian ports to become a hub of exchange where Chinese actions both towards and from Africa cross paths, with the support of important infrastructure works, including railways from Mombasa to Nairobi ($4 billion) and from Addis Ababa to Djibouti (an estimated $4.5 billion). Such works are relevant in geopolitical terms as they would guarantee connections with the Chinese naval base in the small country and assist landlocked Ethiopia in achieving its long-desired connection to the seas. Adding to the investments in Eastern Africa, essential to completely bypassing India and making the ocean routes safe, are the maritime and land investments in the continent’s western countries: from the logistics corridors between Mali and ports in Senegal and Guinea, to projects in Ghana, Nigeria, Angola and Namibia. It is thus inevitable that the OBOR has led to a progressive expansion of the Chinese military. This expansion starting with the Navy, whichhas held a constant presence along the routes to Africa and the Red Sea since 2009, when Beijing joined international operations to combat Somalian pirates, a commitment which now extends to the Gulf of Guinea. The volume of business and the presence of nearly 300,000 Chinese people have translated into an articulated and varied strategy to guarantee the safety of investments, personnel and citizens.
PROTECTION OF CHINESE INTERESTS IN AFRICA
The Chinese military presence in Africa is felt – either directly or indirectly – across the continent. A relatively recent acceleration has been put into action in the three years following the 2015 Chinese Defense White Paper, issued to protect Chinese interests overseas, and with the inauguration of the naval base in Djibouti in 2017. 2018 was then the year of the China-Africa Forum on Defense and Security, which saw a markedly different approach from China’s traditionally low profile on the international scene, favored by Den Xiaoping, with the Chinese military taking part in training exercises and missions in Cameroon, Ethiopia, Gabon, Ghana, Sierra Leone, Sudan and Zambia, in addition to the active commitment under the UN flag of 3,000 blue helmets between Sudan, Mali, Darfur, the Democratic Republic of the Congo, Western Sahara and South Sudan. In addition, we must also consider a promise to finance the Standby Force of the African Union with $100 million and the establishment of numerous military cooperation initiatives with the Economic Community of West African States (ECOWAS), the Southern African Development Community (SADC), as well as agreements with individual countries for a total of 50 projects, varying from counter-terrorism and public order, to diplomatic action in crisis areas such as South Sudan and Zimbabwe. Private Chinese companies have also been sent to protect OBOR sites and are currently quite active in Ethiopia, South Sudan, Nigeria and Zimbabwe, a country that has also adopted facial recognition technology and has shared data on millions of its citizens with Beijing. Some countries in East Africa have also dedicated local authorities to protect Chinese interests following criminal activities or revolts against the foreign presence, especially in Madagascar, Sudan, South Sudan and Zambia. In Kenya, for example, a police-task force has been established to protect the MombasaNairobi railway, while Uganda has charged its military with the protection of sensitive infrastructure and Chinese commerce.
Beniamino Franceschini
Classe 1986, toscano, laureato in Studi Internazionali e dottorando di ricerca in Scienze Politiche all’Università di Pisa, specializzato in geopolitica e marketing elettorale, analisi politica con focus sull’Africa subsahariana.
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