Si apre oggi ad Abidjan, capitale economica della Costa D’Avorio, il summit di due giorni che vedrà riuniti i leader dei Paesi dell’Unione Africa e dell’Unione Europea. Un vertice carico di aspettative sulle possibilità di dialogo tra i due continenti e sulle soluzioni su cui puntare per sviluppare la cooperazione nei campi della politica, dell’economia, della sicurezza e della lotta al terrorismo. L’evento si svolgerà nel sontuoso hotel Sofitel Ivory. I partecipanti attesi sono più di mille, tra cui 83 tra capi di stato e di governo di 55 Paesi africani e di 28 Paesi dell’UE.
Il governo ivoriano ha blindato il perimetro nel quale si terranno le conferenze e in cui alloggeranno gli ospiti. Da settimane Abidjan, così come la capitale amministrativa Yamoussoukro e Bouaké, sono presidiate da migliaia di gendarmi della polizia e militari e da agenti delle forze speciali fatti arrivare dalla base di Adiake. Nella Costa d’Avorio l’ultimo attacco di matrice jihadista risale al marzo del 2016, quando un commando formato da miliziani qaedisti fece una strage nella spiaggia di Grand Bassam (19 morti), a soli venticinque chilometri da Abidjan. Motivo per cui il rischio di nuove offensive, specie in occasione di un evento dalla rilevante portata mediatica come quello di oggi e domani, non viene sottovalutato dalle forze di sicurezza ivoriane.
L’Africa si presenta a questo appuntamento in una condizione di instabilità permanente. Le immagini delle tratte di schiavi in Libia mandate in mondovisione da CNN, le stragi di matrice jihadiste (le ultime, in ordine di tempo, avvenute nel Nord Sinai e nella parte nord-orientale della Nigeria), il golpe “dolce” in Zimbabwe (il cui effetto domino su altri Paesi africani non è da escludere), sono solo tre segnali di uno di stato di agitazione rispetto al quale l’Europa non sembra possedere strumenti e piani politici adatti per dare delle risposte concrete.
Nei giorni che hanno preceduto il vertice a Bruxelles e in diverse capitali europee e africane è circolata la voce sul lancio di un “Piano Marshall” per l’Africa: tradotto, significherebbe altri investimenti da parte dell’UE per migliorare le condizioni sociali ed economiche dei Paesi africani, per creare posti di lavoro e mettere così i popoli della sponda sud del Mediterraneo nelle condizioni di non dover più ricorrere a traversate di deserti e mari e andare incontro a violenze e soprusi per cercare in Europa un futuro migliore.
Uno degli accordi che si potrebbe concretizzare riguarda l’impegno comune del governo libico sostenuto dalle Nazioni Unite del premier Fayez Al Serraj, dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e dell’ONU per fermare le reti criminali che hanno in pugno le rotte dei migranti. In quest’ottica alle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite dovrebbe essere garantito un maggiore accesso ai centri di detenzione sparsi lungo le coste libiche. Questa mossa, da sola, non basterà però per arginare un flusso che, sommato a quello che si snoda dalla Turchia, dal 2015 ha portato in Europa 1,5 milioni di migranti.
L’UE sventola un dato secondo il quale grazie ai suoi finanziamenti a sostegno dello sviluppo economico dei Paesi africani nell’ultimo anno circa 10.000 migranti hanno scelto la strada del ritorno. E nonostante le belle parole del presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker («Ciò che succede in Africa è importante per l’Europa, e ciò che succede in Europa è importante per l’Africa»), il dato di fatto è che i leader europei continuano a guardare all’Africa non come a un’opportunità da sfruttare ma come a una minaccia da contenere.
È innegabile che al Vecchio Continente manchi una visione d’insieme di cos’è e di cosa sarà l’Africa nei prossimi anni, quando nel 2050 avrà raddoppiato la sua popolazione portandola a circa 2,4 miliardi di persone. Se non si doterà di una strategia sul lungo termine, l’UE non potrà fare altro che inseguire quei competitor che, badando esclusivamente agli affari, stanno colonizzando l’economia africana influenzandone in modo sempre più evidente anche gli scenari politici: la Cina, ovviamente; Arabia Saudita e Iran, che anche in Africa si sfidano per la leadership del mondo islamico; la Turchia, sempre più presente nel Corno d’Africa; l’India. Senza annunciare alcun “Piano Marshall”, questi Paesi hanno approfittato dell’immobilismo dell’Occidente segnando un vantaggio a loro favore che difficilmente l’Europa potrà recuperare.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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