Come morire nel Paese più corrotto e pericoloso del mondo
Nonostante siano passati alcuni giorni dai drammatici eventi nei quali lo scorso 22 febbraio (intorno alle 10 ore locali, le 9.00 in Europa), nei pressi della città di Kanyamahoro, a pochi chilometri a nord della capitale regionale Goma hanno perso la vita l’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo uccisi da un commando armato, restano ancora molte zone d’ombra e veri e propri misteri su quanto accaduto. Intanto, prima dei funerali di Stato, i corpi delle vittime sono stati rimpatriati per essere sottoposti all’autopsia.
I misteri
Primo mistero: perché le due auto – ma c’è chi ha parlato di tre – del World Food Programme (WFP), non erano blindate? Perché non erano scortate da uomini armati? Per quale motivo gli occupanti dei veicoli non indossavano dei giubbotti antiproiettile?
Secondo mistero: per quale motivo non erano stati attivati i contatti radio tra il convoglio che secondo alcune ricostruzioni era partito da Goma e si dirigeva a Rutshuru dove c’è una scuola interessata dal progetto del WFP e le autorità locali?
Eppure il documento ufficiale dell’ONU che disciplina i protocolli di sicurezza delle missioni all’estero denominato “ HARDSHIP CLASSIFICATION – Consolidated List of Entitlements Circular ICSC/CIRC/ HC/27” aggiornato all’11.02.2021, dice chiaramente che chi opera nell’area di Goma, deve spostarsi con “mezzi blindati e scorta armata”. Una circostanza che ci conferma anche Roberto Calandrelli già Casco blu in Africa e attuale operatore di sicurezza privata diplomatica che non ha dubbi sul fatto “che in quel quadrante sia prevista la classificazione D, quindi scorta armata e auto B6, ovvero blindatura dell’auto che tra l’altro protegge dai colpi di un Ak 47 usato nell’assalto, e da esplosivi leggeri”. Quindi tutto chiaro? Sulla carta.
I dubbi sulla missione “non ufficiale” in Congo. Ma cosa intende dire chi ha parlato di “missione non ufficiale?”
Questo è forse il mistero più grande; i funzionari dell’ONU a ridosso dell’attaccco, hanno dichiarato che il convoglio in transito in una delle zone più pericolose al mondo poteva contare sull’autorizzazione delle autorità congolesi, una circostanza che il Governo di Kinshasa (ex Léopoldville) ha smentito seccamente in un lungo comunicato in francese a firma del ministro dell’Interno, Aristide Bulakali Mululunganya:“ I servizi di sicurezza e le autorità provinciali non hanno potuto assumere delle misure di messa in sicurezza del convoglio, né venire in loro soccorso tempestivamente, dal momento che erano all’oscuro della presenza del convoglio su cui viaggiava l’ambasciatore in una regione ritenuta instabile e dove si registrano attività di gruppi ribelli armati nazionali e stranieri”.
Chi mente?
L’ONU o il Governo congolese? E come si sono svolti davvero i fatti? Mentre sul web iniziano a circolare dopo le cruente foto anche alcuni filmati girati durante l’assalto armato – le versioni si sprecano – c’è chi ha parlato di un assalto mirato all’auto dell’ambasciatore ucciso immediatamente con il carabiniere e l’autista, e chi ha dichiarato che le vittime sarebbero state prima catturate e poi uccise in una zona boschiva dove erano state portate dal commando composto (forse) da 7-8 persone.
Altri dubbi: chi erano gli assassini e quanti facevano parte del commando?
Predoni locali oppure terroristi islamici? E qui la storia si complica di nuovo perché sempre secondo quanto dichiarato dal ministro degli Interni congolese a compiere il massacro sarebbero stati i miliziani delle sanguinarie “Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda” (FDLR), ribelli di etnia Hutu attivi nel nord-est del Congo, ma nemmeno il tempo di battere la notizia che il gruppo si è fatto vivo per comunicare che i loro combattenti non hanno avuto niente a che fare con gli omicidi chiedendo alle autorità congolesi e alla missione di pace dell’ONU denominata MONUSCO di “fare luce sui responsabili di questo vile omicidio invece che ricorrere ad accuse affrettate”. Vero o falso? A queste latitudini è quasi impossibile poter contare su qualcuno che racconti come siano andate davvero le cose, tuttavia, è davvero possibile che miliziani dell’FDLR non c’entrino nulla con quanto accaduto perché secondo alcuni cronisti locali non sarebbe questa la loro zona di attività. Ma anche qui occorre andare con i piedi di piombo.
Ma allora chi è stato? Forse una delle tante bande di delinquenti che volevano rapire l’ambasciatore per ottenere un riscatto? Possibile, ma perché ucciderlo? Misteri, false piste e tanta confusione in una drammatica vicenda sulla quale i PM di Roma Sergio Colaiocco e Alberto Pioletti che hanno aperto un’indagine per sequestro di persona con finalità di terrorismo dovranno fare luce.
Per cercare di capirne di più abbiamo raggiunto Claudio Moruzzi, già Ufficiale dei Paracadutisti dell’Esercito italiano con missioni in Kosovo, Libano ed Afghanistan (dove tra l’altro venne ferito durante un attacco kamikaze) che lavora tra Nigeria e Mozambico come responsabile della sicurezza per una società di logistica, garantendo quindi l’incolumità’ del personale e dei materiali in ambienti considerati ostili, come la provincia di Capo Delgado, il Delta del Niger ed il Middle Belt nigeriano.
Che idea si è fatto di quanto accaduto all’ambasciatore italiano e alle altre vittime?
Tra comunicati ufficiali e notizie raccolte da fonti locali si ha solo la certezza che un gruppo armato abbia assaltato il convoglio del WFP ed ucciso 3 persone. Si parla di possibile rapimento andato male… Molto probabile, visto il personale mal addestrato e con armi non ‘azzerate’ (ovvero quando spari senza sapere dove vanno i colpi) che gira nell’area. Si parla di attacco dimostrativo di cellule ISCAP (Islamic State of Central Africa Province): ipotesi plausibile vista l’area. Si parla di attacco del FDLR: possibile ma remota come possibilità visto che non hanno basi operative nell’area specifica.
Quindi tralasciando il ‘movente’ ma analizzando l’evento in quanto tale, si capisce solo che tutto non era stato pianificato, ma il personale era salito sui mezzi e via, come va, va. A conferma di ciò c’è il fatto che il personale viaggiasse su mezzi e con autisti non ‘istituzionali’, il che è contro qualsiasi prassi e procedura, soprattutto in un Paese considerato rischioso. Il WFP ha dichiarato ufficialmente che l’area era stata controllata e quindi il convoglio aveva avuto l’autorizzazione a muoversi senza scorta: frase folle, se si pensa solo agli eventi accaduti in quell’area (recenti e passati), al fatto che il governo congolese stesso la dichiari un’area insicura e che nel convoglio ci fosse un alto dignitario straniero.
Per poi non parlare della composizione del convoglio e della dotazione dei mezzi stessi (niente vetri oscurati, niente ambulanza/ personale medico ad hoc, niente back-up, etc). La foto dell’ambasciatore senza neanche una benda israeliana (materiale basico per trattare ferite d’arma da fuoco o comunque ferite che richiedono una pressione diretta sul ‘foro/taglio’) su un pick-up dei ranger e dell’autista del WFP su una moto di civili sono l’emblema del fatto che nessuno sapesse cosa fare e non ci fosse un reale supporto, né pianificato, né valutato come presente nell’area (come comunque poi anche confermato dal governo congolese stesso).
Analizzando poi le foto degli eventi passati a cui l’ambasciatore ha partecipato in DRC si capisce come fosse uso e costume ‘andare in giro’ senza un’adeguata preparazione e pianificazione. Perché è vero che non aveva l’auto blindata, seppur l’avesse chiesta, ma ciò non vieta quindi di cancellare le missioni e/o farle con ad esempio giubbotti anti-proiettili, mezzi aggiuntivi, assetti dedicati eccetera, eccetera. Dalle foto sembra più che si ‘comportassero’ come se fossero in Italia con una tutela istituzionale (dovuta quindi alla figura, non in base a minacce specifiche) che in un Paese considerato ‘Hostile Environment’.
Quali sono le normali procedure di sicurezza da implementare in questi luoghi?
Alla base di tutto ci deve essere un Risk Assessment che deve portare all’elaborazione di un piano dove i rischi arrivano a livello ALARP ovvero ‘as low as reasonably practicable’, e ci si giunge attraverso l’implementazione di misure di mitigazione. Il Risk Assessment si fonda sullo studio delle informazioni, della mappa, delle strutture in essere… Nonché, quando possibile, anche di ricognizioni. Una volta che sono stati analizzati tutti i rischi (e non parlo solo di quelli di ‘security’ ma anche ad esempio delle comunicazioni – in quella zona i telefoni non hanno copertura di rete e le radio VHF non hanno copertura -, o sanitari – il protetto soffre di asma, ha gruppo sanguigno 0 Neg- eccetera) ed ho valutato le mie potenzialità/assetti in dotazione rispetto all’obiettivo che la missione si prefigge, allora si decide se procedere o meno. Quindi anche se la missione è di assoluta priorità dopo aver messo in atto tutte le misure affinché sia un successo (ad esempio: dispiegamento di forze a creare un cordone di sicurezza, falsi convogli su itinerari diversi…), valuto qual è il rischio residuo e se è troppo alto, allora si cancella la missione e la si posticiperà a quando ci saranno tutte le misure che ho valutato necessarie.
Crede che si arriverà alla verità?
Sinceramente no. Ci sono troppi gruppi armati nell’Area senza un vero e proprio coordinamento ed il Congo non ha nessun interesse che emerga una verità diversa da quella già annunciata: ‘Sono stati i guerriglieri del FDLR’. Mentre l’Italia dal canto suo non ammetterà mai le lacune in tutto il sistema (in passato abbiamo già avuto svariati esempi negativi) e soprattutto non vorrà mai attribuire le responsabilità alla superficialità di qualche ente / figura governativa preposta alla sicurezza. È un discorso, per quanto riguarda l’Italia, che va avanti da anni; il comparto ‘Security’ non può essere ancora visto come ‘il tentativo di costituire milizie’ ma, come in quasi tutti i Paesi, dev’essere visto come un comparto essenziale al Sistema Paese e quindi valorizzato e le professionalità riconosciute: in Italia ci sono decine e decine di validissimi professionisti della Security.
Pubblicato su Il Mattino della Domenica il 28/02/2021
PHOTO: United Nations and Congo Armed Forces soldiers secure a road near the scene of an attack on the edge of the Virunga National Park where Italy’s ambassador to the Democratic Republic of Congo and two others were killed, in Nyiragongo, North Kivu province, Democratic Republic of Congo, 22 February 2021. According to the Italian Foreign Ministry, the Italian Ambassador to the DR Congo, Luca Attanasio, and a security member were killed in an apparent attack on a UN convoy near Goma, Democratic Republic of the Congo. A statement by the World Food Programme (WFP) said that a WFP driver was also among the dead. EPA/STR
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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