Un imponente bombardamento delle forze aeree inglesi e americane in Libia di qualche giorno fa ha riaperto il dibattito sulle indiscrezioni che circolano da tempo in merito alla possibile presenza del leader dell’autoproclamto Stato Islamico Abu Bakr Al Baghdadi nel martoriato paese nordafricano. Secondo alcuni alcuni giornali inglesi che avrebbero raccolto informazioni in ambienti militari e di intelligence, il capo dell’Isis – sul quale pende una taglia da 25 milioni di dollari – sarebbe fuggito dall’ultima roccaforte jihadista di Baghouz (in Siria) lo scorso mese di febbraio. Appena in tempo prima di essere catturato o ucciso dalle Forze Democratiche Siriane, che gli danno la caccia incessantemente. La taglia su di lui e i relativi benefici hanno incontrato l’interesse di molti cacciatori di taglie sparsi in tutto il mondo con in mente un solo obbiettivo: catturarlo vivo o morto. Un vasto universo dove c’è di tutto. Tra di loro spiccano gli ex militari russi, i tagiki, i georgiani i ceceni, ma anche molti europei che provano a regarlarsi una seconda vita. Magari negli States, eventualità prevista nel “pacchetto” di premi. Anche se dall’ultimo video non si capisce ancora dove sia stato girato e in quali modalità temporali sia stato prodotto, l’ipotesi che il “Califfo” si trovi il Libia non è certo da escludere. Abbiamo chiesto a Michela Mercuri, ricercatrice ed esperta di questioni libiche, un parere su tali indiscrezioni.
Possibile che il “Califfo” si trovi in Libia? E se cosi fosse, dove potrebbe essere?
«Si tratta di indiscrezioni giornalistiche, tuttavia, oggi in Libia può accadere qualsiasi cosa. Se fosse riuscito ad arrivarci, credo che potrebbe tovarsi nel Fezzan (Sud della Libia), luogo dove i controlli di sicurezza sono molto scarsi e dove hanno trovato riparo circa 3-4000 jihadisti in fuga (oltre a quelli che già c’erano). Senza contare il possibile sostegno delle bande di predoni e contrabbandieri di ogno tipo che operano nell’area. Poi, non vanno dimenticati gli elementi fuoriusciti o ancora contigui ad Al Qaeda o “Ansar al Sharia”, che potrebbero saldarsi attorno ad un nuovo progetto territoriale islamico. Un progetto che però incontrerebbe molte difficoltà di carattere pratico».
Difficoltà di che tipo?
«Mi pare difficile che si possa riproporre il modello usato in Siria e in Iraq. Le milizie sono profondamente divise e per questo la situazione sul terreno è molto fluida. Inoltre, per loro, oggi è molto più difficile finanziarsi rospetto al tempo del “Califfato”. Non va dimenticato che gli “sponsor” del jihadismo globale guardano altrove per evitare problemi o il sequesto di denaro. Per questo non credo alla possibilità della restaurazione, almeno per il momento, del “Califfato” in Libia. Non bastano i traffici e il modesto contrabbando di petrolio per un progetto del genere».
Se Al Baghdadi si trovasse a poche miglia dall’Italia, quali rischi ci sarebbero?
«Tutti corrono rischi enormi, non solo l’italia. C’è, ad esempio, un Paese fragile come la la Tunisia che potrebbe venire destabilizzato ulteriormente. Per l’Italia, il rischio è che con l’arrivo dell’estate gli sbarchi diventino sempre di più numerosi. Senza contare che sui barconi insieme ai disperati ci possano essere anche i miliziani dell’Isis».
Infine, a proposito del Paese che fu di Muhammar Gheddafi destabilizzato da Francia, Inghilterra, Usa e alleati europei, occorre ricordare l’ennesimo incontro a Palazzo Chigi tra il generale Kalifa Haftar e il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Due ore di colloquio cordiale e ancora una volta la richiesta per un cessate il fuoco per trovare una soluzione negoziale alla crisi libica. Promesse e sorrisi di circostanza. L’ipotesi che Abu Bakr Al Baghdadi si possa trovare nel Fezzan, mette semplicemente i brividi.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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