Tartarughe prigioniere dei sacchetti, balene senza vita con lo stomaco pieno di microplastiche. Sono alcune delle immagini che ricordano drammaticamente il problema dell’inquinamento dei mari. Se n’è discusso anche all’ultimo G20 di Osaka, in Giappone, tra il 28 e 29 giugno. “Osaka Blue Ocean Vision” è il nome dell’iniziativa globale lanciata dal gruppo dei G20 che mira a ridurre la quantità di rifiuti in plastica negli oceani, contenuta anche nella dichiarazione finale del summit. Il tema della plastica nei mari era uno di quelli al centro del vertice, anticipato anche da un incontro che si è tenuto nel villaggio giapponese di Karuizawa tra il 15 e il 16 giugno tra i ministri dell’ambiente dei Paesi del G20. In quell’occasione si è discusso di sicurezza ambientale ed energetica e i rappresentanti dei 20 Paesi più industrializzati del mondo hanno dato il loro consenso alla creazione di una cornice comune e di un organo internazionale che si occupi di coordinare gli sforzi e le pratiche tesi a ridurre lo scarico di rifiuti in plastica negli oceani entro il 2050.
Secondo studi ENEA, entro il 2050 il rischio è che nei mari ci siano più plastiche che pesci. Prodotti di degradazione delle plastiche sono stati ritrovati anche nel fegato delle spigole e nello stomaco dei pescespada, le microplastiche sono presenti addirittura nel sale da cucina. Un rapporto recente della World Bank stima che nei prossimi 30 anni i rifiuti in plastica aumenteranno del 70%. La “Osaka Blue Ocean Vision” è stata accolta con favore da organizzazioni come il WWF, che ha sottolineato l’importanza di ridurre a zero la dispersione della plastica nei mari come unica misura utile a combattere la crisi ambientale in corso. Il consenso dei rappresentanti dei G20 per il WWF è un primo importante passo, ma ci sarebbe bisgno di azioni immediate e concrete per porre traguardi raggiugibili entro il termine più vicino del 2030. Il WWF propone di aprire i negoziati per un nuovo trattato sull’inquinamento dei mari.
Il Giappone per la prima volta ha assunto la presidenza del G20 e la produzione nazionale giapponese di rifiuti in plastica è diventata un argomento comune sulla stampa internazionale prima dell’apertura dei lavori del summit di Osaka. Gli Stati Uniti hanno il triste merito di primo Paese prroduttore di rifiuti in plastica, ma il Giappone, dove si impacchettano anche le singole verdure, viene subito dopo. Washington e Tokyo si sono rifiutate di firmare il documento “Ocean Plastics Charter” durante l’ultimo G7, documento che le avrebbe impegnate a riutilizzare e a riciclare tutta la plastica entro il 2030, come riferisce DW. Quasi 60,000 dei 12.7 milioni di tonnellate di plastiche disperse in mare ogni anno arriverebbero dal Giappone, riporta il Washington Post. Il governo giapponese starebbe tuttavia correndo ai ripari per potenziare i sistemi di riciclaggio. Alcuni governi locali si organizzano e sono in grado di fare di più. Il villaggio di Kamikatsu, ad esempio, dove esistono 45 categorie di separazione dei rifiuti, sta per diventare la prima comunità completamente “Plastic Free” del Giappone.
VIDEO: ?? Plastic, paper, metal? In Japan’s Kamikatsu, sorting recyclable waste isn’t that simple. Residents face a mind-boggling 45 separate categories for their rubbish as the town aims to be “zero-waste” by 2020. pic.twitter.com/tkFfCwctzc
— AFP news agency (@AFP) 16 giugno 2019
Illustration image for ocean plastic pollution ©AP images/European Union – EP
Pubblicato su Il Mattino
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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