Volendo parlare di «geopolitica del terrorismo», si può affermare che il futuro del jihadismo sia nel continente africano. Almeno, questo è quanto credono Al Qaeda e ISIS, che qui stanno concentrando i propri sforzi.
L’espansione dello Stato Islamico in Africa negli ultimi anni è stata rapida e sotto gli occhi di tutti, al netto della perdita delle roccaforti che erano state conquistate lungo le coste libiche. Lo Stato Islamico ha messo radici non solo nella popolosa Nigeria, dove l’affiliazione di Boko Haram al Califfato è stata sancita nel marzo del 2015 con il passaggio del gruppo sotto la nuova denominazione ISWAP (Islamic State’s West African Province). Ma il progetto di Al Baghdadi ha attecchito anche in Tunisia, Algeria e soprattutto in Egitto. Oggi, infatti, la Provincia dello Stato Islamico nel Sinai rappresenta la principale minaccia per la stabilità del governo del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi.
In contrapposizione a questa avanzata, Al Qaeda mantiene l’affiliazione con i somali di Al-Shabaab che, oltre a rappresentare un pericolo costante non solo per il governo di Mogadiscio ma anche per il Kenya, stanno facendo tabula rasa dei gruppi dissidenti annidati nel nord-est della Somalia, principalmente nella regione semi-autonoma del Puntland. Il vero epicentro di Al Qaeda in Africa resta però il Sahel. Nel marzo del 2017 è stata annunciata la nascita della nuova organizzazione Jamaat Nasr Al islam wa Al mouminin («Gruppo per la vittoria dell’Islam e dei suoi fedeli»), quale risultato della fusione tra AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), Ansar Eddine, Al-Mourabitoun («Le sentinelle») e il gruppo salafita Fronte di Liberazione di Macina. Facendo leva su conflitti etnici e tribali – come in Mali – e controllando i traffici di armi, esseri umani e droga che transitano nell’area fino alle coste settentrionali del continente, l’organizzazione è destinata a dettare legge ancora a lungo, forte della centralità al suo interno del signore della guerra algerino, l’imprendibile Mokhtar Belmokhtar, che non disdegna l’appoggio della rete qaedista per alimentare i suoi molteplici traffici criminali.
L’attuale elenco dei principali affiliati ufficiali ad Al Qaeda, su cui Al Zawahiri può contare, include: Al Qaeda nel subcontinente indiano (ASIQ, attivo in Pakistan, Bangladesh, India, Myanmar); Al Qaeda nella Penisola Araba (AQAP, che opera soprattutto in Yemen); Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM, attivo in Nord Africa e Sahel); Al-Shabaab (soprattutto in Kenya e Somalia); Tahrir al-Sham (operativo in Siria); le formazioni talebane (Afghanistan e Pakistan).
Gli affiliati allo Stato Islamico restano, invece: Jemaah Islamiyah (Indonesia, dove l’influente leader Abu Bakar Bashir ha giurato fedeltà, tradendo la storica alleanza con Al Qaeda); gli scissionisti di Abu Sayyaf (o al-Harakat al-Islamiyya, nelle Filippine); Ansar Bayt al-Maqdis e ISIS Wilayat Sinai (in Egitto); Boko Haram (Nigeria, dove però si è verificata più di una scissione interna); Ansar al-Sunna e ASWJ (in Mozambico). Più complessa è la rete di alleanze nel resto dell’Africa, particolarmente in Libia e Tunisia, dove Ansar al-Sharia non ha mai chiarito la propria posizione, pur affermando di voler puntare all’istituzione locale di un Califfato Islamico.
Tratto dal libro
I semi del male
di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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