Ayman Al Zawahiri, il leader di Al Qaeda, è stato ucciso in un attacco americano compiuto con un drone in Afghanistan. A dirlo sono i media americani. L’operazione è stata condotta dalla Cia a Kabul. Sulla sua testa pendeva una taglia da 25 milioni di dollari offerta dal Dipartimento di Stato Usa. Ecco un ritratto del leader qaedista pubblicato sul libro I semi del male di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi.
Al Zawahiri è colto e molto astuto, e (a differenza di Osama Bin Laden) non si farà più sedurre dal mezzo televisivo, dopo le comparsate dei primi anni. Limiterà il ricorso a video e audio allo stretto necessario. Impossibile quindi localizzarlo e venire a contatto con lui. Vive da recluso e non si lascia avvicinare da nessuno, se non da un ristretto gruppo di fedelissimi. Nato in una famiglia agiata di magistrati, letterati e medici, inizia la sua carriera politica come membro adolescente dei Fratelli musulmani del Cairo.
Lì forma la sua prima cellula sotterranea volta alla creazione di uno Stato islamista, denominata Jihad Islamica Egiziana. Ma la famiglia gli impone di iscriversi alla scuola di medicina, e lui obbedisce. Nel 1985 compie un viaggio religioso in Arabia Saudita, quindi va in Afghanistan per combattere i sovietici. Durante questo peregrinare incontra Osama Bin Laden, che sta fondando il MAK. Quando il saudita compie il salto di qualità creando «La Base», il medico chirurgo gli porta in dote la sua organizzazione. Al Zawahiri diventa così anche il medico personale di Bin Laden, e suo consulente. Negli anni successivi si distinguerà per la pianificazione di diversi attentati: l’attacco del 1995 all’ambasciata egiziana a Islamabad; la strage di Luxor nel 1997; i multipli attentati del 1998 alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania.
Colleziona anche un arresto in Daghestan nel 1996: accusato dai russi di reclutamento al Jihad in Cecenia, sconta appena sei mesi di carcere. La circostanza del suo rilascio verrà descritta così da Sergei Ignatchenko, portavoce dell’FSB, il servizio segreto del Cremlino: «Aveva quattro passaporti, con quattro diversi nomi e quattro diverse attestazioni di cittadinanza. Abbiamo cercato di condurre una verifica in ognuna di queste nazioni, ma non è stato possibile avere nessuna conferma su di lui. Non potevamo trattenerlo per sempre e così lo abbiamo portato al confine con l’Azerbaigian e lo abbiamo rilasciato».
Alla fine del 2001, la prima moglie di Al Zawahiri e due dei suoi sei figli muoiono in un attacco aereo americano in Afghanistan. Da quel momento, Al Zawahiri si dedica esclusivamente alla gestione dell’organizzazione terroristica e agli studi teologici, che nel 2008 lo portano a pubblicare il libro L’assoluzione (Al Tabria), nel quale il medico egiziano teorizza le linee guida per il futuro del Jihad. I servizi segreti occidentali lo cercano inutilmente, anche se per i pakistani è certo che si trovi nelle aree tribali al confine afghano-pakistano (dove, secondo più fonti, si troverebbe tuttora). La maggior fortuna di Al Zawahiri in quest’epoca risiede senz’altro nel fatto che CIA, MI6, FSB, Mukabarat e molte altre agenzie d’intelligence stanno ancora dando la caccia al suo capo, e si curano poco invece del vero leader in pectore. Al Zawahiri prende così ufficiosamente le redini dell’organizzazione – che mantiene tutt’oggi – e, nonostante l’ascesa dello Stato Islamico negli anni Dieci del nuovo millennio, la sua fase alla guida dell’«internazionale del terrore» corrisponde a un consolidarsi progressivo di Al Qaeda nei cinque continenti. Al Zawahiri dimostrerà così che il Jihad ha inaspettate capacità di resilienza e adattamento ai tempi che cambiano.
Alla brutalità e al sensazionalismo degli attentati sferrati dallo Stato Islamico in tutto il mondo a partire da quella data, negli ultimi anni Al Qaeda ha contrapposto una strategia di soft power che ha permesso all’organizzazione jihadista guidata da Ayman Al Zawahiri di confermarsi quale costante minaccia terroristica a livello globale, rispetto al Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi. Campagne militari mirate e radicamento nei territori conquistati attraverso la mediazione con i leader di comunità e tribù locali sono il punto di forza dei qaedisti, su cui sta puntando la leadership.
Questa strategia nasce in realtà dall’esigenza di rifondare a ogni suo livello l’organizzazione e risollevarla da uno stato di debolezza causato dalla massiccia risposta militare degli Stati Uniti agli attacchi dell’11 settembre del 2001 e dall’uccisione di Osama Bin Laden nel 2011. Congelando in questa fase la tattica degli attacchi diretti contro l’Occidente, missione che resta comunque prioritaria per l’organizzazione (come più volte ribadito da Al Zawahiri), Al Qaeda ha prima rilanciato le proprie ambizioni internazionali annunciando nel settembre del 2014 la nascita di AQIS (Al Qaeda nel subcontinente indiano), mentre negli ultimi anni ha sfruttato a proprio favore le battute d’arresto patite dallo Stato Islamico in Medio Oriente e Nord Africa per consolidare la propria presenza in diversi fronti strategici: Afghanistan, Yemen, Somalia e Sahel.
L’attuale elenco dei principali affiliati ufficiali ad Al Qaeda, su cui Al Zawahiri può contare, include: Al Qaeda nel subcontinente indiano (ASIQ, attivo in Pakistan, Bangladesh, India, Myanmar); Al Qaeda nella Penisola Araba (AQAP, che opera soprattutto in Yemen); Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM, attivo in Nord Africa e Sahel); Al-Shabaab (soprattutto in Kenya e Somalia); Tahrir al-Sham (operativo in Siria); le formazioni talebane (Afghanistan e Pakistan).
Redazione
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